Stop Talking
New Album
assdfsdf
New Album

Si parva licet componere magnis
STORIELLE DI SAN SIRO
CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO
(E MAI AVVENUTO!)
Una storia personale e pubblica, di fatti e coincidenze, di cemento e di cuore.
Un giro tra i gradoni di San Siro, tra emozioni da derby e vibrazioni sospette, fino a ritrovarsi – per caso e per lavoro – a testare i materiali stessi del famoso mensolone. Ne nasce un racconto unico, che unisce ricordi familiari, cronaca documentata e una paura mai del tutto sopita. Perché lo stadio tremava. E e io con lui.
🟨 Il crollo (mancato) del secondo anello
Storia vera tra emozione, cronaca e calcestruzzo
A CHI È RIVOLTO
✔️ A chi ha vissuto San Siro negli anni d’oro
✔️ A tifosi sensibili, ingegneri strutturisti, nostalgici documentati
✔️ A chi ama i racconti dove la vita privata si intreccia alla storia urbana
PERCHÉ LEGGERLO
✔️ Perché è una testimonianza unica: un bambino che correva giù con il padre diventa uomo e si trova tra le mani le “carote” del calcestruzzo incriminato.
✔️ Perché parla di Milano, di fede sportiva, ma anche di vibrazioni vere, di paure vissute e di una memoria che trema ancora oggi.
PUNTI DI FORZA
Le vibrazioni ai “popolari”
Ho sempre avuto un rapporto complicato con il secondo anello di San Siro. Non tanto per la vista – che era ottima – quanto per quella strana sensazione di tremolio che, negli anni ’70, sembrava più che una suggestione.
Ci ero salito per la prima volta il 4 settembre 1955, in occasione della sua inaugurazione. Era in programma un’amichevole di lusso per quei tempi (e per la guerra fredda): Milan vs Dynamo Mosca. Nonostante non giocasse l’Inter, mio padre non resistette alla novità, alla curiosità di veder completate quelle ardite costruzioni che si erano già intravviste già dal precedente campionato, tra gru, ponteggi, scomodità e una partita giocata in trasferta… all’Arena (Inter-Catania 3-0 il 1° maggio 1955), e all’emozione di salire così in alto per vedere la partita.
In realtà non vidi nulla: la gente era talmente tanta che passai tutto il tempo, a tratti sulle spalle del papà, dietro uno degli imbocchi agli spalti presso il quale ci fermammo dopo molti tentativi inutili di trovare uno spiraglio accettabile: così dovetti rinviare la vera “prima volta” ad un successivo Inter-Pro Patria 4-0.
Mi consolai comunque: primo perché il Milan aveva sonoramente perso contro i russi per 4-1, poi per la inattesa vista esterna sull’ippodromo del trotto (sarebbe stato l’appuntamento fisso degli intervalli delle partite) ed infine per via di quella inebriante esperienza di gioia e di leggerezza provata a fine partita correndo giù per la rampa a rompicollo con mio padre fino alla parte opposta dello stadio, un rito finale di tanti fine-partita perpetuato fino all’età adulta dei miei figli.
Quel brivido che saliva dai piedi
Ma, facciamo un salto di circa un quarto di secolo, quando, già con bambino al seguito, al secondo anello si cominciò a ballare un po’ troppo, anche se non c’era ancora la moda suicida di saltellare all’unisono. Qualcuno ci rideva su e si divertiva; io no, anche perché la sensazione di giramento di testa era inquietante.
Un giorno, poi, lessi sul Corriere una notizia che mi fece sudare freddo: un ingegnere, Adriano Griner, aveva scritto al Comune per segnalare che quel mensolone – la parte sporgente del secondo anello – dava segni di cedimento. Era il 1977. La lettera finì sulla scrivania dell’assessore Accetti, ma passò un anno prima che qualcuno decidesse di chiudere parte dello stadio.
Nel frattempo, io ci andavo ancora. Ma ogni volta che entravo allo stadio, avevo un peso in testa, Già…
I fatti documentati
Ecco la cronistoria sintetica degli eventi attorno alla stabilità del secondo anello:
Maggio 1977 – L’ing. Adriano Griner segnala per iscritto il pericolo statico del mensolone.
Settembre 1978 – L’ing. Egone Cegnar propone un intervento riduttivo, respinto per motivi estetici.
Luglio 1979 – Il Corriere titola: “Saranno dimezzati i posti a San Siro”.
Settembre 1979 – Ultimati i lavori con piastre d’acciaio imbullonate ai fianchi delle travi.
Una coincidenza straordinaria e… preoccupante
In quegli stessi anni, per motivi di lavoro, mi capitò una coincidenza singolare: fui coinvolto direttamente nella verifica dei calcestruzzi utilizzati proprio in quelle travi sotto osservazione. Mi furono consegnate le carote di calcestruzzo prelevate dalla struttura, con l’incarico di sottoporle a prove di resistenza a compressione presso l’Istituto Masini di Rho, con cui collaboravo. Data la mia interessata curiosità, chiesi di assistere alle prove e mi spaventai non poco nel vedere la pressa rompere così presto quelle carotine.
I risultati diedero valori molto bassi, inferiori a 150 kg/cm². La cosa non mi stupì del tutto: anche visivamente, osservando i campioni frantumati, la granulometria risultava scadente, il diametro massimo degli inerti ridotto e l’assenza quasi totale di ghiaia. Con le norme attuali, quei valori non consentirebbero nemmeno di raggiungere una Rck 15 – e stiamo parlando di una struttura di notevole luce e carico e non dimentichiamo che, all’epoca della costruzione (1955), non esisteva il calcestruzzo preconfezionato: tutto veniva gettato in opera in condizioni spesso disomogenee per componenti e miscelazione.
Il rumore dei trapani
Quando iniziarono i lavori, nel 1979, gli operai montarono ponteggi e iniziarono a forare i fianchi delle travi. Quei bulloni non erano solo elementi tecnici: per me erano simboli di urgenza e preoccupazione. Sapevo cosa c’era sotto. Avevo visto le carote. Avevo letto i risultati: la struttura era già pericolante e fu poi giocoforza ulteriormente indebolita dai carotaggi stessi, dai lavori successivi di traforo e fissaggio, per la costruzione del terzo anello e dalle installazioni successive (seggiolini, accessori, impianti). Una fragilità evidente, vissuta anche tecnologicamente.
Povero secondo anello!
Era triste vedere lo stadio affollato in ogni settore per un derby e con quel mensolone vuoto! Triste non solo per l’aspetto estetico (e per il cassiere), ma perché sentivo tutta la tristezza, la precarietà e il declino di quello che per me era, era stato e sarebbe stato il luogo più bello del mondo, per avervi vissuto le attese più lunghe ed ansiose della mia vita, le emozioni e gli slanci di gioia irripetibili, che intender no li può chi no li prova.
E dovetti farmi una promessa: mai più su quel mensolone ondeggiante prima e compromesso poi. Addio San Siro? Mai! Bisogna fidarsi dei tecnici.
Da allora, anche per via di qualche lira in più in tasca, cominciai a frequentare i “distinti”, settore che poi sarebbe diventato il “primo anello” (sì, perché il termine “anello” è stato coniato solo negli anni Novanta, con l’avvento del terzo, di anello: prima c’erano la tribuna, i distinti, con i parterre, seminterrati dove vedevi i giocatori vis-à-vis, e i popolari. (A proposito di termini violentati: come si fa a chiamare “curva” un tratto di spalti perfettamente rettilineo?)
Certo al “primo anello” non è che si stia molto più al sicuro, se crolla il primo, ma, scegliendo una fila un po’ avanzata e non sottostante la parte a sbalzo sovrastante, si può sempre sperare di farla franca e poi, almeno, non si balla ad ogni sussulto collettivo (“chi non salta è…”, quante imprecazioni, quante mani tra i capelli!).
Una memoria che vibra ancora
Non è successo nulla, per fortuna e, sino ad oggi, dagli spalti sono caduti solo uno sfortunato e imprudente spettatore e, a momenti, un motorino bergamasco.
Oggi, quando, addirittura, si parla di abbattere San Siro, qualcuno applaude, qualcuno si dispera. Io dovrei disperarmi, perché minacciano la cattedrale centenaria dell’unica mia fede: ma, proprio perché non ho mai potuto pregare, penso ai bulloni. A quei trapani. A quei campioni di calcestruzzo che mi passarono tra le mani. Penso alle mille partite, sì, ma anche al tremolio, a quell’ondeggiar di capo e di piedi, che per me fu più eloquente di qualunque perizia. Lo stadio tremava. E io tremavo con lui. Risultato a parte.