A margine delle ricerche effettuate sul campo di calcio della “Unione Sportiva Aldini” di Quarto Oggiaro, in quanto utilizzato anche dalle pioniere del calcio femminile milanese e italiano, le “Calciatrici del ’33”, leggo che detta società, fondata nel 1930, fu sciolta ed il suo campo di gioco, in via Edmondo Aldini al 2, “espropriato” dai fascisti nel 1932, per essere affidato alla squadra del Gruppo Rionale Fascista “Loris Socrate”. Dopo la Liberazione, la “Aldini” fu ricostituita e, proprio per una sorta di rivalsa nei confronti dei fascisti, lo fece assumendo la denominazione “Renzo Novelli”, in onore di un “partigiano di prim’ordine” della zona, il cui nome fu dato anche al campo sportivo.

La biografia di Renzo Novelli è in effetti interessante, ma è la sua conclusione a farmi sobbalzare letteralmente, quando, recando data e circostanza della sua morte, afferma: “La sua uccisione è legata a un tentativo di eliminare Giovanni Pesce”, una frase lapidaria, ma che lascia aperto un enorme spazio a quesiti e a dubbi. A parte la curiosità che una simile frase conclusiva può già di suo suscitare, il sussulto nasce prima di tutto dall’apparizione inattesa ed imprevedibile di quel nome.

Negli anni Sessanta, abitavo vicino a piazza Bonomelli e il punto di ritrovo con gli amici era il bar Stella. Lì di fianco, al numero quattro, abitava Giovanni Pesce, comandante partigiano, organizzatore dei GAP e medaglia d’oro al valor militare. Ogni tanto appariva al bar, scoprimmo chi fosse e ci facevamo raccontare qualche sua avventura. Egli lo faceva con modestia, con distacco, con estrema sintesi e sempre sorridendo: sembrava un ragioniere in pensione che raccontava dei suoi trascorsi lavorativi in ufficio, tra contabilità e scartoffie.

Sono sorpreso, dunque, dall’incontrare il nome di Giovanni Pesce quale vittima designata di un attentato nell’agosto del 1945, ma anche perplesso, per il contesto temporale in cui il fatto si sviluppa: la guerra è finita da quasi quattro mesi, perché mai si tenta di assassinare un capo partigiano?

Partendo da tale domanda, si è sviluppata una ricerca che, nata con l’iniziale scopo di ottenerne una risposta già pronta, è via via diventata sempre più intrigante e misteriosa, alla luce di nuove e sorprendenti scoperte. Da un tragico fatto di sangue nel quale morirono tre persone, in via Triboniano l’11 agosto 1945, si dipana un intreccio che, da un lato ci cala in pieno nel clima della “transizione” del secondo dopoguerra, dall’altro pare orientarci alle trame oscure della repubblica, coi suoi morti, i suoi silenzi, le sue verità negate. Il tutto molto recentemente ripreso con ricostruzioni falsamente retoriche e palesemente antistoriche.

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Prima che sia troppo tardi...

L’ultima spiaggia è un film di Stanley Kramer del 1959, con Gregory Peck, Anthony Perkins, Fred Astaire e Ava Gardner, tratta dall’omonimo libro di due anni prima.

Ero ancora bambino, ma mi turbò molto e mi trasmise, per sempre, quella sensazione, quella percezione, quell’atmosfera di fine ineluttabile della vita sulla Terra. Non fui un’eccezione, evidentemente, se il titolo del film ha dato origine al comune modo di dire “essere all’ultima spiaggia”.

Lo videro sicuramente anche i detentori degli arsenali atomici che, voglio credere, ne trassero un forte messaggio contro il loro impiego.

Oggi si va egualmente verso la fine del pianeta, e non mi riferisco alle guerre, in atto e probabili, in quanto esse ci avvicinano “solo” alla possibilità della fine. Mi riferisco al cambiamento climatico, che, invece, è ormai senza ritorno: basta aspettare, così, facendo finta che tutto sia normale, a parte prendersela con quelli che lo sanno o che han fatto due conti, anzi tre equazioni…