Luoghi e tempi in cui non è più possibile andare, perchè non ci sono più. Non ci resta che scriverne, anche perché...

«La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla».  (Gabriel García Márquez)

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MILANO, 25 APRILE 1945: UNA STORIA VERA Capitolo 1 – QUALCHE GIORNO PRIMA… Secondo l’intenzione dei suoi capi, di quelli che l’hanno veramente fatta, la Resistenza doveva costituire per il popolo italiano l’elemento di unità e di coesione dal quale, attraverso la lotta contro l’occupazione tedesca, poter attingere la necessaria fiducia in sé stesso, la concordia per la ricostruzione del paese dopo la guerra e lo slancio verso la libertà e il progresso. Se questo sia avvenuto e in quale misura in questi ottant’anni di dibattito è difficile dirlo e forse sarà sempre più e soprattutto un’opinione. Io non c’ero, ma, per passione, per curiosità, per amore della storia e soprattutto, credo, per aver a lungo ascoltato quelli che c’erano stati, ho cercato, sempre e più di conoscere e di capire, di avere le risposte a tutto, anche a quello che, a mano a mano, rimaneva poco chiaro e definito, specialmente nel rapportare la Storia, raccontata, dei libri, alle storie, quelle vissute, delle strade, quella

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In che modo si riesce a superare la paura? Vedendo a destra e a sinistra la gente fucilata, impiccata, deportata, e questo dà la forza e il coraggio di fare quello che ho fatto. Io, quando mi hanno incaricato… arrivo in questa casa, mi vengono a parlare i dirigenti del partito di Torino: “Bisogna andare in pieno giorno a uccidere un gerarca fascista, una spia”. Fra di me ho detto: “Come si fa?”. Non riuscivo a capire, io abituato là, alla guerra di Spagna, in compagnia… ci ho riflettuto molto, sono stato 20 giorni a riflettere, poi sono venuti una serie di altri compagni, è venuto anche Amendola. Allora mi hanno fatto capire: “Tieni conto che il problema non è tanto di colpire la spia, più importante è questa fiducia, il coraggio agli operai della fabbrica, alla gente che è passiva, così ha fiducia, vede che c’è anche… Allora, su questo, ho superato questo stato animo e ho cominciato a lavorare per l’azione.

Giovanni Pesce

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Aspettammo, guardando verso la pianura, in fondo alla quale, nei giorni più limpidi, si poteva vedere Milano ed io immaginare, il papà e la mamma, piccoli piccoli, che attraversavano la strada.

Chi guardava in cielo, chi guardava verso le montagne dietro Montù; un po’ angosciato, il giorno prima, io avevo spedito una cartolina ai miei: “Se non ci sarà la fine del mondo, ci vediamo domenica”. Mi venne anche il pensiero di una telefonata, l’ultima, nell’imminenza dell’evento, ma la bottega, a quell’ora, era chiusa.

Era anche un giorno decisivo per il giro di Francia: un italiano, Gastone Nencini, stava per vincerlo e quel giorno c’era la diciottesima tappa, probabilmente decisiva. Allora era normale mettersi alla radio a metà pomeriggio e attendere il collegamento per la radiocronaca diretta. Tra l’altro pareva strano che Dio, avesse decretato la fine del mondo sul più bello del Tour… I miei amichetti di Zenevredo cercavano di saperne di più e, un po’ come sempre, di rivolgevano a me: io ero di Milano, sapevo tante cose, andavo a San Siro, leggevo il giornale. E proprio dai giornali avevo appreso da tempo e riferito loro la notizia della fine del mondo prevista per il 14 luglio di quell’anno: naturalmente ci avevo messo del mio nel dosare un po’ di più l’ineluttabilità dell’evento, ma, del resto, ero a mia volta preoccupato dall’eco notevole riservata dai giornali a Fratello Emman e alla sua profezia.

«La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla».  Gabriel García Márquez