C’era una volta un uomo che rincorreva il tempo. Non perché volesse fermarlo, né perché si illudesse di poterlo riscrivere, ma perché sentiva che troppe voci erano rimaste indietro, dimenticate nelle pagine che nessuno sfogliava più. Aveva passato la vita a lavorare tra numeri e qualità, cercando di portare ordine dove regnava il caos. Ma il vero disordine che lo inquietava non era nei processi industriali, bensì nelle storie dimenticate, nei volti svaniti, nelle vicende inghiottite dall’oblio.

Aveva scoperto troppo tardi—o forse proprio nel momento giusto—che il suo destino non era solo quello di ricordare, ma di ridare voce a ciò che era stato messo a tacere. E così si immerse in una ricerca quasi ossessiva, scavando tra documenti sepolti dal tempo e dagli uomini, giornali sbriciolati, lettere che non avevano più destinatari. Ogni parola era un frammento di passato che poteva ancora pulsare di vita, se solo qualcuno avesse avuto il coraggio di ascoltarlo.

Ma mentre riportava alla luce queste storie, sentiva un’ombra dietro di sé: il tempo, sempre lui, che gli ricordava che ogni recupero era anche una corsa contro la dimenticanza. Avrebbe mai fatto abbastanza? Ogni storia, ogni nome che riusciva a strappare all’oblio, primo quello del padre, lo gratificava, ma gli ricordava anche quanti altri restavano ancora senza voce.

Eppure, c’era qualcosa di profondamente giusto in quel suo lavoro tardivo. Perché la memoria, quando trova il suo custode, non chiede il permesso: si lascia raccontare, si aggrappa alla pagina scritta, si infila tra le righe di una ricerca ostinata. Forse non si arriva mai “troppo tardi” quando si cerca la verità. Forse il destino di alcuni è proprio quello di far parlare il passato quando nessun altro lo sta più ascoltando.

E così, continuava a scrivere, in un percorso di memoria e di ricerca, sollecitato dalla costante tensione tra passato e presente, con dentro tutto, con gli eventi e i luoghi che spesso si incrociano e si fondono: i ricordi dell’infanzia, che appare dilatata nel tempo fino a costituire un’intera vita vissuta, le storie di secondo piano, figlie della Storia con le quali è venuto a contatto, i campi e le squadre di ogni livello che hanno fatto la gloriosa storia del calcio a Milano, la città stessa in bianco e nero, le estati nell’Oltrepò e altro ancora.

 Non per cambiare la storia, ma per restituirla a chi l’aveva vissuta.