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Si parva licet componere magnis
Edizione speciale per il referendum
8/9 giugno 2025
L’Italia che non vorremmo
C’È ANCORA DOMANI?
Chi non ha votato? Anatomia dell’astensione - Una mappa sociale degli oltre 35 milioni di italiani che hanno scelto – o sono stati costretti – a non partecipare alla consultazione referendaria
Italia sì, Italia no...
Il dato ufficiale è noto: solo il 29,8% degli aventi diritto ha espresso il proprio voto al referendum dell’8–9 giugno 2025. Ma chi sono, realmente, i 35,8 milioni di italiani che si sono astenuti?
Questa proposta di analisi si basa su di una suddivisione ragionata e documentata degli astenuti, sulla base di dati pubblici, stime incrociate e analisi sociologiche. Ne emerge un quadro complesso, in cui all’astensione per apatia o protesta si affianca quella determinata da interessi diretti, difficoltà materiali o esclusione sociale.
Un’Italia divisa non più tra destra e sinistra, ma tra partecipanti e assenti, tra chi ancora spera di contare qualcosa – e chi si è già ritirato dal gioco democratico.
Referendum
Nel 1946, milioni di italiani e italiane si recarono alle urne. Per molte donne fu la prima volta, per l’intero Paese un risveglio. Votarono persino i fascisti, quelli non condannati o non interdetti, che decisero di esercitare un diritto conquistato da altri. Ipocrisia? Un modo di onorare i loro morti? Ma anche, per qualcuno di essi, forse, bisogno di riscatto: dopo vent’anni, chi aveva negato la libertà di voto e combattuto chi moriva per lei e, dietro quel gesto, forse, si nascondeva la speranza di una redenzione. Di tornare a contare, nel bene o nel male. (1)
Oggi, nel 2025, quella speranza sembra sbiadita nella paura, nel cinismo, nell’apatia.
Il referendum non è stato boicottato. È stato ignorato. Una Repubblica nata dalla partecipazione si trova, ottant’anni dopo, abbandonata dall’indifferenza. E allora la domanda, oggi più che mai, resta aperta: C’è ancora domani?
Se Paola Cortellesi ce lo consente, al titolo del suo bel film “C’è ancora domani”, nel quale il referendum è icona e tema centrale, aggiungeremmo oggi un punto interrogativo. Perché ora, dopo un’astensione di massa e il pensiero a quel 2 giugno illuminato, quella domanda è diventata urgente.
Non più un titolo, ma un dubbio collettivo. E forse, un altro film da girare: “C’è ancora domani?”
(1) – Ha raccontato Vittorio Foa, considerato uno dei padri fondatori della Repubblica:
“A me è capitato, una volta, di partecipare ad una trasmissione televisiva insieme ad un senatore fascista [Giorgio Pisanò], che faceva dei grandi discorsi di pacificazione: ‘In fondo eravamo tutti patrioti… Ognuno di noi aveva la patria nel suo cuore…’
Io lo interruppi dicendo: ‘Un momento. Se si parla di morti, va bene. I morti sono morti: rispettiamoli tutti. Ma se si parla di quando erano vivi, erano diversi. Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore.’ Questa è una differenza capitale”.
Intervista di Isabella Insovibile, in occasione della commemorazione di un 25 aprile. L’intervista integrale è pubblicata in “Meridione. Sud e Nord nel Mondo”, anno IX, numero 1, gennaio-marzo 2009.
Voto e non voto
Il 70% degli italiani non è quindi andato a votare. Non ha esercitato un diritto per il quale altri, in tempi non così lontani, hanno combattuto e sono morti. Un diritto guadagnato col sangue e con la dignità, che oggi viene gettato nel cestino con la stessa leggerezza con cui si spegne il televisore. Eppure, se la guardiamo da un’altra angolazione, forse ne è valsa la pena.
Abbiamo infatti il 70% della popolazione che, coerentemente, ha scelto di non avere più diritto di lamentarsi. Non potrà più dire “non mi va bene”, “non sono d’accordo”, “la politica fa schifo”. Non ne avrà più titolo, né motivo. E quindi abbiamo davanti degli anni nei quali il 70% degli italiani sarà felice e non avrà alcun motivo di lamentarsi: lontani gli anni delle file ai seggi, della voglia di migliorare il Paese, delle piazze piene per chiedere di più – magari sbagliando, ma partecipando.
Un bel risultato, tutto sommato: una società che, almeno in larga parte, ha deciso di farsi da parte, di non disturbare il manovratore, seguendo l’invito degli appositi cartelli sul tram, ossia dei “politici” che stanno guidando il paese.
Ma il problema non è il sì o il no. Non si tratta di idee, di posizioni, di schieramenti: entrambe le opzioni erano rispettabili. Il problema è chi ha scelto l’irrilevanza. Chi ha detto, nei fatti “decidano gli altri, non mi interessa”. Perché lo ha fatto?
Per rispondere, possiamo solo provare un’analisi induttivo-deduttiva non convenzionale, tralasciando l’aspetto dell’appartenenza politico-partitica: si tratta quindi di analizzare gli individui, dopo averli suddivisi in categorie omogenee per interesse (cui prodest?), come riportato nel seguito.
"Io non voto" 1 – Esercenti attività illecite
Per questa categoria occorre un ragionamento che va dal particolare al generale, e costruisce un modello probabilistico, quindi un’analisi induttiva. L’analisi deduttiva viene poi a supporto invece per fare la seguente considerazione: “Se uno vive in un sistema che rifiuta la legalità, non ha interesse a partecipare al voto”, in quanto non interessato a che le cose cambino per davvero. In generale, chi vive fuori dal patto sociale non partecipa agli strumenti della democrazia, se non per interesse diretto ed illecito; in particolare il mondo criminale rifiuta le regole comuni.
Partendo da un dato osservabile e reso disponibile da Eurispes (2) secondo il quale le mafie hanno un giro d’affari di 220 miliardi all’anno e riducendolo per facoltà di calcolo, si arriva a questo risultato (considerando solo gli occupati, che nelle attività criminali spesso occupati non lo sono, pur avendo diritto di voto):
Quindi, potenzialmente oltre due milioni di italiani potrebbero vivere a vario titolo di attività collegate alla criminalità organizzata, magari non tutti “mafiosi”, ma che sicuramente da essa traggono reddito. Il numero si raddoppia aggiungendo quello dei congiunti aventi diritto al voto.
"Io non voto" 2 – E non pago tasse!
Un’altra buona parte – e lo dico senza ironia, ma con amarezza – è composta senz’altro da chi, pur non avendo a che fare con la categoria di cui sopra (o presumendolo in buona fede) vive ai margini della legalità quotidiana, in quella zona grigia dell’“alla buona” che tanto piace a molti italiani. Non è un mistero che tra chi non è interessato al referendum ci sia una nutrita rappresentanza di evasori fiscali e artigiani dell’elusione, quelli che:
Sono gli stessi che poi si lamentano della sanità pubblica, delle scuole che crollano, dei servizi che mancano: ma se non partecipi, non paghi, non voti, che cosa pretendi? Alcune fonti concordanti (ISTAT, UPI, Censis) stimano che tra 6 e 8 milioni di persone beneficino direttamente di evasione. Qui i dati ci sono già, quindi, senza estrazioni induttive: resta solo da dedurre che, non essendo nemmeno costoro interessati a migliorare il Paese (ché finirebbero nei guai), il loro numero va ad aggiungersi a quelli già considerati nella categoria della criminalità. In tutto fanno già circa 10 milioni di (non) votanti, almeno al referendum.
Poi ci sono i lavoratori precari/poveri invisibili, dei quali molti non votano per mancanza di tempo, stress, senso di esclusione sociale, o perché non più residenti regolari. Comprende riders, badanti, braccianti, lavoratori irregolari (es. edili “a giornata”), giovani con contratti a termine, spesso non residenti stabili e senza fiducia nelle istituzioni. Una stima prudente della categoria: 1,5–2 milioni.
"Io non voto 3" – Precari e irregolari
Dobbiamo quindi aggiungere i cittadini italiani residenti all’estero (AIRE), circa 5,9 milioni iscritti AIRE (ma molti non aggiornano dati), dei quali partecipano al voto in media solo il 30–35%, per motivi di disorganizzazione postale, disinteresse o disillusione. Quindi oltre 3,5 milioni di italiani all’estero non votano, pur avendo diritto: non sono disinteressati per ideologia, ma per impossibilità materiale o distacco culturale.
"Io non voto 4" – Residenti all'estero
Si tratta di una vasta categoria, comprendete diverse specie di cittadini collaterali al percorso civico del paese. Vi troviamo innanzitutto giovani apatici/disillusi, di età tra i 18 e i 29 anni, con un’astensione di oltre il 50% (ma alcuni studi parlano di punte del 70%), per i quali le motivazioni sono costituite da: disillusione, senso di inutilità del voto, il fatto che nessun partito “li rappresenti”, digitalizzazione delle opinioni, ma non della partecipazione. Una stima, non sovrapposta (esclusi precari), degli appartenenti a questo gruppo porta ad una stima almeno 1–1,5 milioni di giovani astensionisti attivi.
Altri gruppi sono poi costituiti da:
"Io non voto 5" – Apatici e disilllusi
Riepilogo
Ecco una tabella, con il totale del 100% su 51 milioni di aventi diritto e con la composizione stimata dei gruppi della platea degli astenuti. L’analisi è stata condotta sulla base di dati reali disponibili e di stime elaborate dall’intelligenza artificiale (ChatGPT).
REFERENDUM 8–9 GIUGNO 2025 | ||
CATEGORIA | NUMERO (milioni) | % |
Votanti effettivi | 15,2 | 30% |
Non votanti (totale) | 35,8 | 70% |
– Totale aventi diritto | 51,0 | 100% |
1 – Esercenti attività illecite e congiunti | 4,6 | 13% |
2 – Evasori fiscali | 7,0 | 20% |
3 – Precari e irregolari | 1,5 | 4% |
4 – Residenti all’estero | 3,5 | 10% |
5 – Apatici/disillusi | 2,0 | 6% |
6 – Giovani | 2,2 | 6% |
7 – Indifferenti totali/Qualunquisti | 6,0 | 17% |
8 – Ceto medio in decadenza – Apatici/disillusi | 6,5 | 18% |
9 – Malati, anziani e altri impossibilitati al voto | 2,5 | 7% |
– Totale astenuti | 35,8 | 100% |
Edizione speciale per il referendum
8/9 giugno 2025
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