Calvairate era il campo fisso della domenica mattina e del pomeriggio solo quando l’Inter non giocava in casa. Al mattino giocavano di solito le giovanili, al pomeriggio la prima squadra. Qualche volta capitava di vedere incontri nei quali la squadra ospitante non era la Calvairate (allora si diceva al femminile, oggi non so), ma altre squadre cui era concesso anno per anno l’uso del campo.
Si pagava l’ingresso solo quando si disputavano partite importanti della prima squadra, altrimenti si entrava gratis.
Passava però un signore che agitava una cassetta-salvadanaio. Si avvicinavano quella voce “Pro campo! Pro campo” e quel tintinnar di monete e così molti infilavano monete da 10 o da 50 lire in quella fessura nella cassta di legno.
Anche mio padre lo faceva, ma non sempre.
Poi passava l’omino dei croccanti, che li portava in un cestino coperto da un panno. Io allora tiravo mio padre per la giacca e lui, quasi sempre, metteva la mano in tasca e fermava l’omino.
La partita si guardava ai bordi del campo, in piedi, dietro una corda tirata tra pilastrini sottili. Quando la palla usciva, lì vicino a me, non mi pareva vero di poterla prendere, infatti spesso ero anticipato dai grandi, per poi darla ad un giocatore che l’aspettava. Tendeva le braccia verso di me, a sollecitarmi la consegna di quella sfera così importante e guardava fisso il pallone che avevo tra le mani mentre accorrevo. Io invece cercavo il suo sguardo.