Dante: “Sono in arrivo le reclute e si incomincia…” E la recluta Scalone conferma l’arrivo in caserma.Â
La vita della mia prima giovinezza è finita a Torino, nella caserma La Marmora del 4° Reggimento Bersaglieri il giorno 18 marzo 1940. Giunto al comando reggimento dopo aver passato una visita sommaria, fui assegnato alla settima compagnia fucilieri. Quindi, presentatomi alla fureria della settima compagnia, fui infine assegnato alla seconda squadra. Il comandante di battaglione era il Maggiore Mennuni. (*)
Il giorno 19 marzo mi diedero in consegna il corredo che consisteva in: un paio di scarpe, due paia di pantaloni, due paia di mutande, due fazzoletti a maglia, tre paia di calze, una giacca grigio verde, una giacca di tela, un berretto a “fez”, il cappello nero piumato, un pezzo di sapone, una borsetta con dentro un paio di forbici del filo e degli aghi, la gavetta e gavettino, cucchiaio e forchetta in alluminio. Il giorno successivo incominciarono le istruzioni a piedi con ritmo crescente ogni giorno, ogni giorno aumentavano la dose. Ginnastica, corse, salti in lungo, salti a capovolta, salti in alto. Per ben dieci giorni ci tormentarono dalla mattina alla sera. Tutte le adunate avvenivano di corsa. Le nostre camerate si trovavano al 3° piano, dalle finestre penzolavano quattro grosse corde ed era da lì che dovevamo scendere, non appena suonava la tromba di adunanza per andare fuori a marciare nel cortile. Scendere svelti, pestarci le mani l’uno con l’altro. Da dentro, i capi squadra ci spingevano a calarci giù dalle corde e da fuori gli Ufficiali strillavano discendere alla svelta. Al ritorno, all’ora di pranzo, portavano su nelle camerate il rancio, ma chi voleva consumare il pasto doveva salire sulle corde!
(*) – Nota di trascrizione – Qui e anche in successivi brani del suo diario, Scalone sostiene di appartenere alla settima compagnia del XXVI battaglione, che è in effetti comandato dal maggiore Mennuni e che Dante nominerà più volte. Ma la settima compagnia risulta in realtà appartenere al XXIX battaglione. Solo più avanti, sul fronte greco-albanese e su quello jugoslavo, egli dirà invece di appartenere effettivamente al XXIX battaglione ed il racconto dei fatti in cui è coinvolto lo confermeranno senza alcun dubbio.
Per il trasferimento al campo estivo c’era la bella abitudine, al 4o bersaglieri, di partire di notte, su “allarme”. Era un allarme per modo di dire, poichĂ© non arrivava all’improvviso a svegliare di soprassalto i bravi bersaglieri nelle camerate, ma anzi era giĂ previsto, direi quasi atteso con impazienza e simpatia. C’era sempre una certa una strana agitazione in caserma quella sera: intanto il “silenzio” non veniva suonato; poi nel cortile c’erano gli automezzi raggruppati in ordine di marcia, giĂ carichi e col pieno fatto, al circolo ufficiali regnava infine una insolita animazione… E ciò sino a quando, finalmente, la tromba suonava l’allarme, ed allora tutta quella impazienza, che si notava ovunque, poteva al fine sfogarsi. I bersaglieri si affacciavano alle finestre delle camerate, scavalcavano il davanzale e, dalle funi, si lasciavano scivolare velocemente in cortile; gli ufficiali e i sottufficiali accorrevano da ogni parte per inquadrare i reparti; gli autisti mettevano in moto i motori, mentre dappertutto erano grida, richiami, ordini. Poi arrivava il colonnello comandante. Infine, fanfara in testa, il reggimento usciva dalla caserma in bicicletta, seguito in coda dall’autodrappello. Usciti tutti, tra i saluti e gli applausi dei parenti che attendevano sino a notte inoltrata per vedere i propri famigliari partire per il campo, il grande portone si chiudeva e la caserma diventava ufficialmente il “deposito”. Â
Un’analoga partenza per il campo, così come l’abbiamo descritta, avvenne anche la sera del 31 maggio 1940 e, per chi l’ha vissuta, essa fu un evento memorabile, poichĂ© il 4o  bersaglieri uscì quella notte dalla caserma di via Asti e non vi fece piĂą ritorno. Cominciava così quel lungo peregrinare che avrebbe portato il 4o  bersaglieri, per tutta la durata della guerra, a lasciare i suoi morti e i suoi eroi in terra di Francia, di Albania e di Jugoslavia, fino al fatale 8 settembre 1943, che nella sua tragedia travolse, sulla costa dalmata, anche quelli che erano i reparti gloriosi del 4o Reggimento bersaglieri ciclisti.
Eppure si era tutti allegri, quella notte del 31 maggio 1940! Nessuno pensava in modo particolare alla guerra, poichĂ© sino a quel momento tutto lasciava prevedere, pur tra alterne vicende, un avvenire piuttosto tranquillo per noi. Mentre quasi tutta l’Europa era un immenso campo di battaglia, mentre la guerra, divampando come un incendio, aveva seminato morte e distruzione un po’ dappertutto, mentre le armate tedesche erano giunte in Francia dopo aver invaso il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo e aggirata la linea Maginot e gli inglesi avevano subito la disfatta di Dunkerque, in Italia, con la non belligeranza, si respirava una un’aria piĂą serena, anche se, confinando con la Francia, ci si poteva trovare sempre nella situazione di dover intervenire su quel fronte. Ma, con l’avanzata in territorio francese delle armate tedesche che puntavano su Parigi, questa preoccupazione era alquanto svanita, poichĂ© si riteneva che il comando supremo francese avrebbe buttato nella fornace della battaglia tutte le truppe possibili per fermare il nemico, sguarnendo naturalmente anche il fronte italiano, dal quale non si dovevano temere attacchi, data la nostra condizione ti non belligeranti.Â