Avvertenze
Il testo dei Diari è affiancato a da contenuti e immagini di contesto e complemento (“riferimenti”). In particolare, sono riportati ampi stralci di due testimonianze “speciali”, lasciateci da due persone che hanno condiviso da vicino con il papà quelle tragiche vicende e che ne hanno voluto, come il papà, lasciarne testimonianza e ricordo: sono quelle del tenente Sergio Quaglino e del bersagliere Luciano Scalone. Il primo ha scritto un libro di qualificata valenza memorialistica e storica, descrivendo fatti, luoghi e persone in un perfetto equilibrio tra il mito patriottico, la passione determinata dagli eventi e il succedersi di questi nel loro contesto storico-militare. Il secondo, un semplice ragazzo del Sud gettato nella tragedia, ha sentito il bisogno e realizzato il forte desiderio di raccontarne la sua partecipazione ad essa, con sincerità di sentimento e semplicità di linguaggio.
La ricerca prima e la disponibilità poi di tali elementi di riferimento storico-fattuale ha reso l’attività di trascrizione dei Diari ancora più emozionante ed ha conferito ad essi un più consistente valore memorialistico, attraverso confronti, chiarimenti e contestualizzazioni di fatti, luoghi e circostanze, oltre ad aver dato spunto ad inaspettati approfodimenti e consentito sorprendenti scoperte storiche, che altrimenti sarebbero andate perse. Almeno per me.
Su PC e tablet, il testo del diario e il contenuto delle colonne a lato sono visibili affiancate, per quanto possibile cronologicamente, mentre su smartphone, i “riferimenti” appaiono alla fine di ciascun blocco contenitore.
[NdT] indica una “Nota di Trascrizione” inserita direttamente nel testo.
Il testo di Quaglino è su sfondo verde, quello di Scaglione su sfondo giallo.
Nei Diari
Il Racconto
Il caporale, destinato all’undicesima compagnia, si sentiva perso: non gli sembrava vero di trovarsi ancora in mano un moschetto quale strumento del suo lavoro. Subito si usciva in bicicletta, ancora sotto il comando del vecchio maggiore Benso[1]. Il giorno 12 settembre Dante è destinato alla quarta compagnia e l’indomani, 13 settembre, in un bel numero si partiva in bici per Pragelato, anche questa volta sotto una bella pioggia, che ci accompagnò a raggiungere i nostri amici da noi istruiti, compresi i quindici bersaglieri della mia squadra coi quali ci stringemmo con gioia la mano, sorpresi di esserci ritrovati. Nonostante il freddo e l’addestramento, a turno ci fecero ancora due punture che, aggiunte alle tre da permanente, facevano un totale di cinque, ma coraggio, la salute è sempre ottima. Il freddo aumentava: vicino alle nostre tende c’era un campo di artiglieria e molti cavalli erano già morti proprio per il freddo.
Il 29 settembre venne un generale tedesco, con il campo messo tutto a fiori. Chiusi i lavori, si fece una gran festa. Alla domenica la messa al campo, celebrata sulla piazza del paese. Il 9 ottobre ci fu la visita del principe e fu di nuovo festa, coi i lavori, coi fiori e con la notizia che si doveva ritornare alla bella Torino, al che, sembravamo tutti pazzi. Il giorno 19 ottobre il reggimento ritornava alla sua caserma: la tappa fu dura, ma, con l’entusiasmo della città, tutto ci riuscì col minimo sforzo. I cittadini torinesi già sapevano del nostro arrivo e già l’indomani Dante riceveva una cartolina della Giuditta: «Domenica sarò al Passatempo a ballare». Dante già pensava: «Qua ci siamo!» E così fu. Ma sul più bello della festa arriva anche Rosetta: sempre le solite cose d’invidia l’una dell’altra, del resto con tante non si può andare d’accordo. Ma Dante sapeva lui come cavarsela nei casi gioiosi! Così intanto si divertiva e, una sera via l’altra, permessi in quantità. Siamo alla prima domenica di novembre e Dante sapeva che le due amiche erano libere e tutte e due dirette al Passatempo. Dante cambia idea: «Lasciale al Passatempo!» e me ne sono andato al Righino[2]. E si balla! Nel ballo incomincia un valzer e m’incammino verso una signorina bionda, alta ma diritta, né bella né brutta, così così e, con le mie mani in tasca, le domando se balla: lei mi dà uno sguardo e non parla, così Dante, faccia tosta, si rigirava per lasciare la bionda, che però lo afferrò per un braccio e rispose: «Sì, ballo!» A questo punto era l’unica ballerina di Dante, che alla fine del valzer ringrazia la signorina e le chiede per il prossimo ballo. E lei: «Sì, sì!» Nel frattempo, avanti a chiacchierare, con i caratteri che si incontravano ad ogni punto. La domenica passò e Dante le chiese un appuntamento per il martedì sera: «Sì! Posso uscire!» Martedì sera, al Passatempo, la bionda mi dava il nome suo: Gilda. «Qua andiamo bene!» Tutti i balli erano i nostri, intanto che, nella serata, Dante si mangiava un bel sacchetto di cioccolatini. L’amicizia si stringeva, i due amici cominciarono a prendersi affetto e tutti i giorni, tutte le domeniche, i due, appena avevano un po’ di tempo, si trovavano. Dante, anche con solo mezz’ora di libera uscita, scappava a trovare l’amica Gilda che, appena mi vedeva dalla finestra, veniva fuori a fare la chiacchieratina e sempre erano insieme. Una bella domenica avvenne l’incontro. Dante finì col trovarsi al Passatempo con Gilda, Giuditta e Rosetta tutte assieme. Per la Gilda, già da me avvisata, niente di male, ma le altre due: che sguardi atroci pieni di invidia! Per Dante e Gilda, ormai presi fra sé, le ore volavano stando sempre vicini e assieme. Siamo alle feste natalizie e Dante ottiene il permesso di ritornare a casa sua ad abbracciare la sorella Luisa, a casa sola, che tanto mi aspettava. Avvisai l’amica Gilda dell’assenza e le mandai poi i saluti con una cartolina di Stradella. Gilda non desiderava che il mio ritorno: richiamato sì, ma la vita passava discretamente!
Al mio arrivo, subito dall’amica, che, con gran gioia, mi aspettava. E così la vita cambia da un giorno all’altro! Il caporale Schiavi, il 1° gennaio 1940, fu promosso caporalmaggiore, rimanendo però sempre alla quarta compagnia, del XXVI battaglione, comandato dal maggiore Mennuni.[3] Nei pochi giorni di permesso avevo dato la notizia alle sorelle e ai parenti dell’amore nato tra i due cuori, ormai così vicini. Tutti mi dicevano male, chi una cosa, chi l’altra, ma Dante era deciso in un’idea ormai sola per tutti e due. Intanto i mesi passavano e nelle prime domeniche primaverili Gilda e Dante, felici, se ne andavano ai giardini o passeggiavano verso Superga a far passare le feste parlando del prossimo avvenire. Ma qui troppa era la distanza tra i due cuori per la gran differenza di età e i due seppero convincersi che unirsi non era bello e giusto, né per loro e né per chiunque altro. Ma lontani non si poteva stare e finì che, qualche giorno dopo, una cartolina avvisava: «Ti aspetto stasera». E Dante andava. Sono in arrivo le reclute e si incomincia: «Avanti march e dietrofront!» Dante ebbe quell’incarico e nessun altro servizio; quindi, tutte le sere ero in permesso. Si cercava di dimenticarsi, ma era un fatto che, finché siamo a Torino, sarà un gran difficile. E così sempre si parlava. Dante riceve una lunga lettera dalla sorella Rosa da Milano, che dice di non avere più notizie dalla sorella Luisa già da un po’ di giorni. Era lunga la lettera di Rosa e all’ultimo punto c’era scritto che Luisa, nell’ultima lettera da lei ricevuta, l’avvisava, incaricandola di farlo sapere a Dante, del fatto che “con Franco non si parla più e che parla con un certo Livio, venuto ad abitare al monastero, dove sai che lei lavora”. Dante, non per altro, ma è in pensiero per la notizia della sorella e subito rispondo alla Rosa. Dopo qualche giorno, la sorella Luisa si fa viva e… così va bene. Dante e l’amico Carlo sempre andavano insieme a ballare e sempre passavano davanti al palazzo dove la Gilda mi poteva vedere passando di lì. E lei dietro, facendo passare tutte le sale da ballo dove poteva trovarmi. Siamo a Pasqua e mi trova al Nobile. Le racconto il fatto della sorella e intanto mi metto nella testa di ottenere un permesso e fare una scappata a casa. Di ritorno, in compagnia dell’amica, siamo davanti al palazzo dove lei lavorava e mi dice di aspettarla lì, che sarebbe entrata un attimo e uscita subito. Aspetto cinque minuti e veniva fuori con un pacchetto. Mi fa: «Toh, mangialo tu!» Io: «Grazie!» Lei: «Prego! Fammi sapere se domenica vai da tua sorella, così io non esco». Al nostro posto solito ci troviamo con l’amico Carlo, che è già là che aspetta, ceniamo e poi mangiamo l’uovo della Gilda. «Ma, te l’ha dato lei? Si vede che ti pensa e si capisce che l’amore aumenta sempre».
Il 24 marzo 1940, lunedì di Pasqua, di nuovo in permesso, passo dalla Gilda che fa segno di fermarmi: esce già vestita e ce ne andiamo a passeggio in Val Salice. Con la bocca si parlava di lasciarci, ma i due cuori si legavano a un punto tale che non eravamo capaci di stare una settimana senza vederci. Giovedì sera vado dalla Gilda e l’avviso: «Sabato vado a casa». «Va bene!» Sabato parto da Torino col permesso, alle nove e mezza arrivo a casa e mia sorella, sebbene all’insaputa del mio arrivo, riconosce il mio passo da bersagliere e mi apre la porta. Se ne stava in compagnia dell’ormai suo Livio: il futuro cognato scatta in piedi e con paura mi saluta. Dante subito prende a fare un discorso serio col Livio e alla fine tutto fatto e d’accordo e cioè al mio ritorno si sarebbero sposati. La domenica, Dante e Luisa sono a pranzo in compagnia della famiglia Candellari.[4] Giunge la sera e Dante deve partire per Torino. Al mattino Dante aveva già spedito una cartolina alla Gilda. Parto da Stradella e sul treno mi trovo in compagnia del cugino Carlino che, vedendomi in borghese, mi guarda e mi chiede: «Ma, dove vai così? Dove lo tieni il vestito?» Gli risposi: «Sto tornando al corpo, il vestito lo tengo nella trattoria lì vicino alla caserma, così quando sono in permesso mi cambio e passeggio per Torino libero per bene».
Sono a Torino, in fretta mi cambio e via a dormire con un po’di ritardo, ma nulla di male e tutto andò bene. Con uno sforzo Dante riesce a trattenersi di andare da Gilda fino alla domenica successiva, come già d’accordo dall’appuntamento della festa passata. Sempre ormai in borghese la incontro, lei tutta contenta mi stringe la mano e mi saluta. Mi sembrava un giorno un po’ stupido, chiede a me se deve prendersi l’ombrello: «Vallo pure a prendere!» Due minuti e arriva: «Dove andiamo? Andiamo al solito posto al Giardino?» Una domenica bella come quella non l’ho più passata: niente pioggia e sempre cioccolatini. Siamo quasi alla partenza per il campo. La Gilda mi dice: «D’accordo, scrivimi, che sempre ti scriverò». Sappiamo che il giorno 31 maggio a mezzanotte si parte per il campo. Dante avvisa l’amica e per l’ultima sera, alle sei e mezza, hanno l’appuntamento vicino alla Fontana.
Siamo al giorno 31 maggio e tutto si prepara. Viene l’ora della libera uscita e quasi non si può uscire. Dante ha caricato tutto il materiale della sua squadra, deciso e già anche un po’ in ritardo, prende la porta ed esce. Giunge al posto dell’appuntamento che la Gilda aspettava da qualche minuto, ma niente di male, fu tutta contenta. E lì arriva già l’ora che lui deve rientrare per il suo servizio. Ma ad ogni parola, ad ogni notizia, la risposta era o “Chi si trova si accompagna” o “Per noi è troppa la distanza”. È così. «Ciao, scrivi». Un bacio e ognuno segue il suo destino. Giunge l’ora della partenza e si parte per raggiungere Collegno, paese già conosciuto dal campo fatto da permanente: donne in quantità e il paese bello. Giunti al posto, si fanno le tende e già si sa il nostro compito: qualche istruzione e tiri di ogni qualità. Già diversi tiri si fecero a Piossasco, ma non bastarono. Passarono tre giorni. Una sera, Dante se ne andava a passeggio in collina, verso il monte dove si andava a fare i tiri e si incontrava con una bella ragazza. Ormai avevo già scritto a sorelle e Gilda, ma non importava, subito io preso da un tale affetto! Si fa sera, la piccola deve rincasare e io pure: un bacio e d’accordo per l’appuntamento alla sera dopo. Chissà come fu, ma Dante riusciva ad avere l’indirizzo della giovane Elvira.
Note
[1] – Maggiore Benso, comandante del XXVI battaglione.
[2] – Il Righino – Esiste una strada del Righino nella stessa zona collinare di Passatempo e Nobile, ma non risulta oggi la presenza di un locale omonimo, che probabilmente prendeva il nome dall’antica via torinese.
[3] – Maggiore Ernesto Mennuni, comandante del XXVI battaglione. Come tenente dei bersaglieri, aveva già combattuto nella Prima guerra mondiale, ottenendovi una Croce al valor militare (Monte Majo – 30 agosto1918). Nella Seconda guerra mondiale, come comandante del XXVI battaglione bersaglieri, otterrà ancora una Croce al V.M. (Lofka, fronte greco-albanese, 10-21 novembre 1940), una Medaglia di bronzo (Struga, Jugoslavia, 7-11 aprile 1941) e una d’argento a Borova (fronte greco) il 18 aprile 1941, ove rimase gravemente ferito.
[4] – Candellari. – È la famiglia di Livio
Per guardare i Bersaglieri! – I frequenti passaggi in bici per Torino di Dante e compagni hanno talora conseguenze… traumatiche. (Da La Stampa di sabato 11 maggio 1940).
Avanti march e dietro front – Sono in arrivo le reclute e si incomincia… E la recluta Scalone conferma l’arrivo in caserma. (vedere qui sotto)
Il
27 maggio,
alle quattro del mattino, la caserma Lamarmora fu svegliata dal suono della tromba, era il segnale di allarmi: in circa un’ora tutto il reggimento aveva lasciato la caserma, diretto alla volta di San Giorgio, una località di montagna. Arrivati fino ad un certo punto in bicicletta, lasciammo poi la strada rotabile per una mulattiera da fare con le biciclette a spalla, compreso tutto il fardello di guerra, del peso complessivo di circa 70 chilogrammi. Per percorrere un chilometro ci impiegammo due ore, sempre tutto il peso in spalla, ma alla fine si disse che era stato un falso allarme. Era stato il colonnello a voler mettere alla prova il reggimento, per saggiare fino a quale punto arrivasse la resistenza dei suoi bersaglieri. La sera stessa rientrammo in caserma.
In quei giorni cominciarono ad affluire i richiamati nella classe 1915, la parola guerra circolava con insistenza.
Il
1o di giugno
partimmo per il campo. La prima tappa fu San Mauro. Giorno
3 giugno:
alle undici squillò l’allarmi e dopo mezz’ora eravamo sulla bicicletta, in partenza verso Chivasso dove sostammo. Successivamente si passò da Alice Castello e Biella, fermandoci a Micca, un paesetto vicino a Biella, dove rimanemmo cinque giorni.
Un’altra sala da ballo: il NOBILE!
La vita della mia prima giovinezza è finita a Torino, nella caserma La Marmora del 4° Reggimento Bersaglieri il giorno
18 marzo 1940.
Giunto al Comando reggimento dopo aver passato una visita sommaria, fui assegnato alla settima compagnia fucilieri. Quindi, presentatomi alla fureria della settima compagnia, fui infine assegnato alla seconda squadra. […] Il comandante di battaglione era il Maggiore Mennuni. (*)
Il giorno
19 marzo
mi diedero in consegna il corredo che consisteva in: un paio di scarpe, due paia di pantaloni, due paia di mutande, due fazzoletti a maglia, tre paia di calze, una giacca grigio verde, una giacca di tela, un berretto a “fez”, il cappello nero piumato, un pezzo di sapone , una borsetta con dentro un paio di forbici del filo e degli aghi, la gavetta e gavettino, cucchiaio e forchetta in alluminio. Il giorno successivo incominciarono le istruzioni a piedi con ritmo crescente ogni giorno, ogni giorno aumentavano la dose. Ginnastica, corse, salti in lungo, salti a capovolta, salti in alto. Per ben dieci giorni ci tormentarono dalla mattina alla sera. Tutte le adunate avvenivano di corsa. Le nostre camerate si trovavano al 3° piano, dalle finestre penzolavano quattro grosse corde ed era da lì che dovevamo scendere, non appena suonava la tromba di adunanza per andare fuori a marciare nel cortile. Scendere svelti, pestarci le mani l’uno con l’altro. Da dentro, i capi squadra ci spingevano a calarci giù dalle corde e da fuori gli Ufficiali strillavano discendere alla svelta. Al ritorno, all’ora di pranzo, portavano su nelle camerate il rancio, ma chi voleva consumare il pasto doveva salire sulle corde!
(*) – Nota di trascrizione – Qui e anche in successivi brani del suo diario, Scalone sostiene di appartenere alla settima compagnia del XXVI battaglione, che è in effetti comandato dal maggiore Mennuni e che Dante nominerà più volte. Ma la settima compagnia risulterebbe, da tutti i documenti e dalle altre testimonianze disponibili, appartenere al XXIX battaglione.
Il mistero prosegue anche nel racconto che fa Scalone di alcune azioni di battaglia, ma permane inspiegabile, alla luce delle prove sinora emerse.
La partenza dalla caserma di via Asti
Per il trasferimento al campo estivo c’era la bella abitudine, al 4o bersaglieri, di partire di notte, su “allarme”. Era un allarme per modo di dire, poiché non arrivava all’improvviso a svegliare di soprassalto i bravi bersaglieri nelle camerate, ma anzi era già previsto, direi quasi atteso con impazienza e simpatia. C’era sempre una certa una strana agitazione in caserma quella sera: intanto il “silenzio” non veniva suonato; poi nel cortile c’erano gli automezzi raggruppati in ordine di marcia, già carichi e col pieno fatto, al circolo ufficiali regnava infine una insolita animazione… E ciò sino a quando, finalmente, la tromba suonava l’allarme, ed allora tutta quella impazienza, che si notava ovunque, poteva al fine sfogarsi. I bersaglieri si affacciavano alle finestre delle camerate, scavalcavano il davanzale e, dalle funi, si lasciavano scivolare velocemente in cortile; gli ufficiali e i sottufficiali accorrevano da ogni parte per inquadrare i reparti; gli autisti mettevano in moto i motori, mentre dappertutto erano grida, richiami, ordini. Poi arrivava il colonnello comandante. Infine, fanfara in testa, il reggimento usciva dalla caserma in bicicletta, seguito in coda dall’autodrappello. Usciti tutti, tra i saluti e gli applausi dei parenti che attendevano sino a notte inoltrata per vedere i propri famigliari partire per il campo, il grande portone si chiudeva e la caserma diventava ufficialmente il “deposito”.
Un’analoga partenza per il campo, così come l’abbiamo descritta, avvenne anche la sera del
31 maggio 1940
e, per chi l’ha vissuta, essa fu un evento memorabile, poiché il 4o bersaglieri uscì quella notte dalla caserma di via Asti e non vi fece più ritorno. Cominciava così quel lungo peregrinare che avrebbe portato il 4o bersaglieri, per tutta la durata della guerra, a lasciare i suoi morti e i suoi eroi in terra di Francia, di Albania e di Jugoslavia, fino al fatale 8 settembre 1943, che nella sua tragedia travolse, sulla costa dalmata, anche quelli che erano i reparti gloriosi del 4o Reggimento bersaglieri ciclisti.
Eppure si era tutti allegri, quella notte del
31 maggio 1940!
Nessuno pensava in modo particolare alla guerra, poiché sino a quel momento tutto lasciava prevedere, pur tra alterne vicende, un avvenire piuttosto tranquillo per noi. Mentre quasi tutta l’Europa era un immenso campo di battaglia, mentre la guerra, divampando come un incendio, aveva seminato morte e distruzione un po’ dappertutto, mentre le armate tedesche erano giunte in Francia dopo aver invaso il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo e aggirata la linea Maginot e gli inglesi avevano subito la disfatta di Dunkerque, in Italia, con la non belligeranza, si respirava una un’aria più serena, anche se, confinando con la Francia, ci si poteva trovare sempre nella situazione di dover intervenire su quel fronte. Ma, con l’avanzata in territorio francese delle armate tedesche che puntavano su Parigi, questa preoccupazione era alquanto svanita, poiché si riteneva che il comando supremo francese avrebbe buttato nella fornace della battaglia tutte le truppe possibili per fermare il nemico, sguarnendo naturalmente anche il fronte italiano, dal quale non si dovevano temere attacchi, data la nostra condizione ti non belligeranti.