Sab. Lug 27th, 2024

Durante la permanenza a Stradella o a Zanevredo e specialmente nello spostarmi tra i due paesi, notavo alcune differenze di pronuncia tra le due parlate: in particolare mi colpiva l’assenza della classica “o” lombarda (come “oeu” milanese, “eu” francese e “ö” tedesca) dalla parlata di Stradella e delle sue frazioni. Bastava tornare al confinante Zenevredo e già in frazione Poalone sentivo “fiö“, “bröd”, “vöd” invece di “fió”, “bród”, “vód” (ragazzo, brodo, vuoto). Ma era altrettanto o forse più strano che, in tutto il resto della Lombardia che mio trovavo via via a frequentare, la “ö” lombarda confermava la sua definizione territoriale e la sua forte presenza presenza ovunque. E se la particolare ubicazione dell’Oltrepo Pavese, confinato tra il resto della Lombardia a nord, il Piemonte a Ovest , l’Emilia a Est e la Liguria a sud,  può spiegare abbonademente i caratteri generali del linguaggio che vi si parla, che tanto da quelle zone ha attinto, resta inspiegabile perchè in un micro territorio al suo interno si sia formata e permanga un’isoletta di non più di diecimila abitanti che non conosce l’uso di una primaria vocale, caratteristica per definizione dell’intera regione (e non solo) che la circonda.

Questo rappresenta naturalmente solo un piccolo e curioso aspetto del mio interesse per i dialetti, in particolare di quello pavese dell’Oltrepo, trasmessomi dai genitori, dai parenti e dalle mie frequenti permanenze o visite a Stradella o Zenevredo: ce ne sono ben altri che hanno costituito oggetto di ricerca e di analisi nel corso degli anni, dalle prime ricerche sul campo, ai primi libri che parlavano in prevalenza dei maggiori dialetti lombardi, per finire alla scoperta dell’esistenza di studiosi che hanno approfondito la ricerca ad un livello di trattazione tale da poter riservare ampi spazi a singole realtà locali, che io temevo al di fuori di ogni possibile, particolare attenzione, come appunto il dialetto dell’Oltrepo Pavese.

Lurati, Berruto, Heilmann, Rohlfs sono i nomi che, approfittando anche del crescente supporto fornito dal Web, mi hanno fatto scoprire un mondo di sapienza riservata ai dialetti, a quei linguaggi che,  ritenuti privi di dignità di ricerca, di interesse e di studio, sono stati e sono inconsapevolmente ed involontariamente parlati da secoli e dei quali ritenevo me stesso solitario ed ingiustificato cultore dilettante.

Ma è stato con Lotte Zörner l’incontro più emozionante: sia perchè in un suo saggio ho trovato la trattazione della questione della “ö” assente a Stradella, sia in quanto ho potuto con lei avre uno scambio epistolare (internet non c’era ancora) e poi per la particolare curiosità nel riscontrare che a occuparsi del dialetto dell’Oltrepo era addirittura una persona di madrelingua tedesca (era austriaca), un’altra dopo il più generalista Rohlfs.

Ed è sulla base e con il conforto di un saggio di Lotte Zörner che riprenderò il discorso.

 

 

(Segue)