29 Aprile 2024

MILANO, 25 APRILE 1945: UNA STORIA VERA

Capitolo 2 - Verso l'incontro

Raffaele Cadorna prosegue con il suo racconto.

Lo stesso giorno 19 ebbi l’abboccamento con Max Salvadori, che non rivedevo dagli inizi della mia missione. Era stato paracadutato nell’Astigiano e a Milano aveva preso contatto con il C.L.N.A.I. Era senza dubbio l’uomo della situazione per tenere il collegamento con gli inglesi, profondo conoscitore com’era della lingua e della mentalità dei due paesi. È da deplorare che non sia stato inviato prima in Alta Italia, dove avrebbe avuto un largo campo d’azione.

Il successivo giorno 20 ripresi contatto con gli ufficiali del mio comando quindi uno di questi, il capitano Bruni, mi accenno alle trattative che sarebbero stati in corso con il generale Lejers, capo del RUK.[1] Nel pomeriggio mettevo di ciò al corrente l’avvocato Arpesani, il quale a sua volta mi informava che analoghe trattative avevano luogo tramite l’Arcivescovado. Dello stesso argomento trattammo il giorno successivo con Arpesani e Marazza, il quale appunto teneva il collegamento con l’Arcivescovado.

Cadorna ha un rifugio presso il l’antico monastero di San Vittore al Corpo, prima benedettino, poi olivetano, situato a fianco della Museo della Scienza e della Tecnica. Esso si trova molto vicino al carcere omonimo e Salvadori, appena rilasciato in seguito ad uno scambio con ufficiali tedeschi, deve fare pochi passi per mettersi in contatto con Cadorna: già da qui ci possiamo fare un’idea un’idea di come i capi partigiani si muovessero e agissero in clandestinità in una città ancora amministrata e controllata militarmente da tedeschi e collaborazionisti.

Ma, torniamo al racconto di Cadorna.

Il 22 mi incontrai con Longo. Aveva alquanto cambiato i connotati: mi disse che era stato individuato e ricercato, il che lo costringeva ad agire con prudenza. Nel comando si era fatto sostituire da Guido Lampredi, un toscano che io avevo già conosciuto quando era giunto a Milano, proveniente dal Veneto. Ci mettemmo d’accordo per la riunione del Comando e per la scelta di una sede ove il Comando potesse, nei giorni critici, vivere e funzionare continuamente.

Il 23 mi trovai con Mattei. Aveva fatto miracoli durante la mia assenza, riorganizzando, sotto le insegne democristiane – insegne, a dire il vero, piuttosto liberali – vecchie formazioni autonome e nuove formazioni. Le Fiamme Verdi ed il raggruppamento Di Dio, anche per la loro dislocazione a semicerchi intorno alla metropoli lombarda, avevano assunto notevole valore militare e politico, nel senso di assicurare un migliore equilibrio tra le varie correnti che valevano affermarsi. Queste formazioni spiccavano per il loro equipaggiamento e per la disciplina in tutto simile a quella dell’esercito regolare.

Nel pomeriggio mi recai a una riunione del Comando, alla quale prendevano parte solo i rappresentanti dei partiti di sinistra. Segno che la mia assenza era stata il segnale della disunione! Gli azionisti erano rappresentati dall’avvocato Stucchi, l’ex comandante dell’Ossola e i comunisti da Lampredi. Riferii sui risultati del mio viaggio; qualche smorfia fece Lampredi allorché parlai degli accordi locali autorizzati per salvaguardare gli impianti industriali e della resa dei reparti fascisti, che dovevano essere considerati come prigionieri di guerra.

In serata mi incontrai nuovamente con Arpesani e Marazza, i quali mi informarono degli ulteriori progressi fatti delle prospettive dalle trattative, in particolare dal passo fatto da Mussolini per trattare con me. Mi misi a loro disposizione.

In complesso si sentiva nell’aria che eravamo alla vigilia di avvenimenti decisivi; però le febbrili occupazioni di quei primi giorni e la necessità di numerose prese di contatto mi avevano impedito di approfondire la situazione: per tale ragione, il colpo quasi di sorpresa, allorché, nel pomeriggio del 25 Aprile, trovandomi in via Telesio nello studio del dottor Merlini, fui raggiunto da monsignor Corbella, il quale si disse incaricato di condurmi in Arcivescovado per prender parte, insieme all’avvocato Marazza, delegato del C.L.N.A.I., a un colloquio che Mussolini aveva sollecitato di avere con me, tramite il cardinale Schuster.

Qui incontriamo, per la prima volta nel racconto, Benito Mussolini, quello che “Ho bisogno soltanto di qualche migliaio di morti per potermi sedere da ex-belligerante al tavolo delle trattative”, quello che “Spezzeremo le reni alla Grecia”, quello che “Vinceremo!” Quello che portò l’Italia a dichiarare guerra a Gran Bretagna, Francia, Russia e Stati Uniti! Adesso è qui, ancora tronfio di sé, a trattare la resa personale e dei suoi accoliti al comandante degli antifascisti, prima di camuffarsi da soldato tedesco ubriaco sul pianale di un camion.

Ora Cadorna pone l’enfasi su quello storico incontro nelle stanze dell’Arcivescovado milanese.

È impossibile in questa narrazione saltare a piè pari lo storico convegno ma, d’altra parte, questo argomento è stato tante volte trattato che io non ritengo di avere molte novità da aggiungere.

A me pure è stata mille volte rivolta la consueta domanda: “Che viso aveva Mussolini? Era molto abbattuto?”, da non decidermi a ripetermi se non a malincuore.

Entrammo dunque, verso le diciotto, nella corte del palazzo arcivescovile, ingombra di autocarri e di milizia armata, e fummo introdotti nell’anticamera di sua eccellenza il cardinale. Vidi in lontananza il maresciallo Graziani, accigliato in volto. In quel momento un signore, il comm. Cella, incaricato di tutelare gli interessi della famiglia Mussolini, mi prese nel vano della finestra e con tono concitato, mi parlò delle trattative che dovevano aver luogo, soggiungendo che non si dovevano abbandonare quelle sale senza aver stretto un accordo.

Fummo introdotti in un’altra sala, dove il cardinale Schuster si trovava in conversazione con Mussolini. Questi, al nostro sopraggiungere, alzò testa, diede un’occhiata e quindi si diresse verso di me con passo deciso e con la mano tesa. Nella sala si trovavano già alcuni gerarchi fascisti, il cardinale Schuster invitò gli ospiti a sedersi ed egli prese posto su di un divano, avendo al fianco sinistro Mussolini. Attorno, in senso orario e a partire da Mussolini, prendemmo posto: Riccardo Lombardi, futuro prefetto di Milano che ci aveva raggiunto in Arcivescovado, io, Marazza, Barracu, Zerbino, Graziani e Bassi. A seduta iniziata, giunse l’avvocato Arpesani, che prese posto accanto a me.

Mussolini aprì il fuoco, domandandomi quali condizioni eravamo disposti a fargli, al che risposi che, essendo argomento politico, ne lasciavo la trattazione all’avvocato Marazza, delegato del C.L.N.A.I.  L’avvocato Marazza disse che poteva solo offrire la resa a discrezione. Mussolini si irrigidì alquanto e osservò che aveva accettato il colloquio perché gli erano state offerte varie garanzie per lui, per le famiglie, per i fascisti.

Io intervenni osservando che gli Alleati avevano deciso che a tutte le milizie repubblicane, coscritte e volontarie, venisse garantito un trattamento di prigioniero di guerra. Un gerarca osservò che essi erano tutti militi d’ufficio; un senso di sollievo si impadronì dei presenti.

“Beninteso ciò non riguarda il trattamento fatto ai singoli criminali di guerra”, aggiunsi io.

L’atmosfera si fece nuovamente pesante.

Entrò allora in scena il maresciallo Graziani: “Noi”, disse, “non firmeremo un accordo all’insaputa dei tedeschi perché la fedeltà all’alleato è titolo d’onore e giustifica il nostro passato atteggiamento”.

La frase gettata con asprezza poteva anche essere interpretata come accusa a chi aveva scelto altra via. Pensavo di reagire in qualche modo, ma fui preceduto da Marazza il quale ribatté che, in fatto di sentimento d’onore non avevamo da ricevere lezioni da nessuno.

Io osservai allora che la preoccupazione per i tedeschi era interamente fuori luogo, in quanto essi da molto tempo trattavano con noi all’insaputa dei fascisti.

La notizia scatenò un’esplosione di meraviglia e di sdegno. Il cardinale Schuster, che si era allontanato, riapparve con un patto di carte: la documentazione delle trattative intercorse coi tedeschi, seppure non ancora concluse.

Sua eccellenza lesse varie clausole: tra l’altro l’offerta di disarmare le brigate nere.

Allora Mussolini lascò esplodere la sua indignazione: “Per una volta tanto si potrà dire che la Germania ha pugnalato nella schiena l’Italia. I tedeschi ci hanno sempre trattati come schiavi; io vado a telefonare al viceconsole tedesco a Wolff e gli dirò che i tedeschi ci hanno tradito e che noi riprendiamo la nostra libertà d’azione”.

Eccolo di nuovo! Quante volte lo abbiano sentito denunciare il germanico arbitrio con il quale Hitler prendeva ogni decisione politico-militare a sua insaputa. Come nell’ottobre del 1940: “Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia”. Ma questa sarà l’ultima e non si lamenterà più, nemmeno quando i tedeschi se lo lasceranno sfilare da quel pianale di camion a Dongo, senza muovere un dito. E il suo amico, prima di togliersi di mezzo, saprà di ben altro, di piazzalo Loreto, quale Grecia…
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[1] RUK-Kommando Italien [Rüstung und Kriegsproduktion = armamenti e produzione bellica]. Sotto il comando del generale Hans Leyers, però ad un certo punto alle dipendenze del generale SS Wolff. Questo nuovo rapporto di dipendenza permetteva a questi di mantenere un’influenza diretta sui preparativi per la distruzione o meno di impianti industriali (fabbriche, impianti di produzione energia, vie di comunicazione).

Alfredo Pizzoni è il Presidente del C.L.N.A.I.

I PERSONAGGI: MAX SALVADORI

(ANPI) – Max Salvadori, nato nel 1908 a Londra, da genitori italiani, e deceduto a Northampton (USA) nel 1992, storico liberale. Era ancora studente di quinta ginnasiale a Firenze allorché subì, era il 24 maggio 1923, la prima aggressione da condiscepoli fascisti. L’anno successivo, quando il padre Guglielmo fu selvaggiamente attaccato, davanti alla sede del fascio, da una trentina di energumeni fascisti che volevano eliminarlo, riuscì a salvargli la vita, pur rimanendo lui stesso ferito.

Esule, col padre, in Svizzera dal 1924 al 1929, Max si laureò a Ginevra in Scienze economiche e sociali. Subito dopo la laurea il giovane aderisce a “Giustizia e Libertà” e torna in Italia per organizzarvi la propaganda antifascista. Nel 1932 è arrestato con una quarantina di giellisti. Fa atto di sottomissione al regime, ma non compromette nessuno dei suoi compagni ed è avviato, con loro, per cinque anni, al confino a Ponza. Prosciolto, con gli altri, nel 1933, espatria clandestinamente e riprende i contatti con “GL”. Nel 1937 è a New York, attivo nella “Mazzini Society”, quando apprende dell’assassinio dei fratelli Rosselli. Salvadori mette a punto un piano per vendicarli, ma non riuscirà a realizzarlo.

Durante la Seconda guerra mondiale eccolo volontario nell’Esercito britannico. Giunto in Sicilia con l’VIII Armata, Salvadori prende parte agli sbarchi di Salerno e di Anzio e il 1° dicembre del 1943 è ferito. Nell’ottobre del 1944, promosso tenente colonnello, è nominato ufficiale di collegamento tra il Comando del 15° Gruppo di armate alleate e il Comando militare del CLN per l’Alta Italia. Paracadutato nelle Langhe, raggiunge Milano dove rimane sino all’insurrezione ed è al fianco di Pertini durante il comizio del futuro Presidente della Repubblica in piazza del Duomo.

Decorato con la “Military Cross” e con il “Distinguished Order” per i servizi resi durante la Resistenza, Max Salvadori, nel 1946, torna negli Stati Uniti dove riprende l’insegnamento della Storia allo “Smith College” di Northampton. Sulla lotta partigiana ha lasciato numerosi libri: Resistenza ed azione (del 1951), Storia della Resistenza italiana (1955), La Resistenza nell’Anconetano e nel Piceno (1962), Breve storia della Resistenza Italiana (1974). Fondamentali, per conoscere il suo pensiero di autentico liberale, i tre volumi L’eresia liberale (1979-1984). 

La sorella minore, Gioconda Beatrice, più nota con il nome di Joyce Lussu, è stata una nota scrittrice e poetessa, partigiana impegnata nella lotta antifascista al fianco del marito Emilio Lussu, poi esponente politica del Partito d’Azione e del Partito Socialista Italiano, attiva nelle promozione dei movimenti di liberazione anticolonialisti.