Si parva licet componere magnis
Nome di una terra in cui affonda tanta parte della mia memoria, Oltrepo è una parola spesso ricorrente sulle pagine di questo sito e l’avete sinora trovata scritta così, come l’avete letta ora, senza accento. Come del resto l’ho sempre scritta, nonostante il mio (talora mal sopportato) rigore linguistico e per quanto a conoscenza della nota e fondamentale regola ortografica della lingua italiana: le parole italiane di due o più sillabe per essere pronunciate tronche debbono recare l’accento sulla vocale dell’ultima sillaba; le parole che non portano questo accento, o si leggono piane o sdrucciole o bisdrucciole.
Ora, prima di iniziare a scrivere di una ricerca su dialetto e parlate locali nella quale il termine in questione dovrò spesso utilizzare e dopo una vita ad aver costantemente e scientemente commesso tale infrazione, mi sento di fare una verifica, forse solo per uno scrupolo dovuto alla consapevolezza del rischio che un eventuale errore possa diventare di pubblico dominio. Perché tale scelta, perché non ho mai scritto Oltrepò?.
Partendo dall’ipotesi più lontana nel tempo e frugando quindi nei miei ricordi vitivinicoli, mi sovvengono tante occasioni in cui, ponendomi fugacemente il problema, lo risolvevo ipotizzando una sorta di eccezione dovuta all’uso, ad una sorta di antica e conclamata consuetudine cui anche la lingua di Dante doveva arrendersi: una sorta di antico e consolidato riconoscimento, simile a quanto avveniva del resto per la CARIPLO (a lungo primaria banca italiana, ora confluita in Intesa Sanpaolo). La regola, dunque, vuole che la i sparisca nel plurale di provincia, in quanto posta dopo una consonante: eppure nelle insegne e sulle cartelle fondiarie la i c’era. Ricordo ancora quando, in quinta elementare, il maestro ci spiegò la regola in presenza di una grande cartina geografica dell’Italia che, appesa al muro, ostentava appena sotto Lampedusa una appariscente sponsorizzazione della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, con la i, appunto. Il mio compagno Zuliani sollevò il problema e il maestro si avvicinò alla cartina: indicando con la bacchetta la i incriminata, provò a spiegare quella curiosa situazione ed imbarazzante eccezione che pareva apertamente smentirlo. Fu probabilmente una spiegazione difficile da capire per noi alunni o forse il maestro, colto alla sprovvista, non fu convincente, o forse entrambe le cose: sta di fatto che nessuno di noi mostrò evidenti cenni di assenso o condivisione della spiegazione: io mi convinsi di aver capito in sostanza che il nome originale voluto e dato alla banca dai suoi fondatori, la Ditta, pur contenendo un errore, era quello e basta, la banca si chiamava così e nessuno poteva cambiarle nome. Quindi per Oltrepo pensai a qualcosa di simile: il primo a coniare il termine non mise l’accento e tale il termine è rimasto!
Poi vedevo cartelli, etichette sulle bottiglie di Bonarda, leggevo i giornali e tutto pareva confermare l’eccezione, salvo qualche rara… eccezione, che quindi qualificai come semplice svista, un’eccezione all’eccezione. Tra l’altro, in un mondo in cui, per mia costante disperazione, il maggior fiume italiano viene ancora spesso indicato con Pò (mentre un po’ è ancora scritto un po‘), ho anche pensato che tale eccezione, a prescindere dalla Cariplo, fosse comunque utile a prevenirne un maggior vilipendio, cioè ad evitare che qualcuno poco avvezzo all’ortografia, si sentisse legittimato dall’evidenza a scrivere Pò come legittima estrazione di Oltrepò!
Ma qualcosa è cambiato negli anni e pare che ormai stia prevalendo, fino a poco fa, a mia insaputa, il rispetto generale della regola; infatti, da una rapida occhiata sul web, oltre a constatare con sorpresa che non affatto solo ad essere afflitto dal dilemma, sono costretto a riconoscere che ormai Oltrepò prevale ovunque. Treccani e Crusca non lasciano margini di trattativa. Che fare dunque? Devo convertirmi anch’io all’ortodossia o rimango in trincea con l’antica consuetudine? Decido allora di affidarmi a La Provincia Pavese, storico ed autorevole giornale della provincia di Pavia e… Oltrepo! Senza accento e senza eccezione alcuna! E se ciò da un lato ciò pare assolvermi ampiamente da una colpa quasi ormai accettata e pormi almeno in buona compagnia, dall’altro mi rende ancor più difficile staccarmi da una consuetudine cui mi ero ormai affezionato.
Alla fine provo l’ultimo giro, armato di parola chiave, con e senza accento, alla ricerca di un appoggio, anche solitario, alle scelte mie e de La Provincia Pavese, ma non c’è nulla da fare, la sentenza è unanime: Oltrepò.
E, all’ultimissima ricerca, trovo una pagina dedicata agli USI PARTICOLARI DEGLI ACCENTI nella quale gli autori spiegano che le parole tre e blu non devono avere mai l’accento, che è invece obbligatorio per i loro composti: ventitré e rossoblù e che lo stesso vale per tutti i monosillabi se sono la parte finale di un composto:
il fiume Po ma l’ Oltrepò Pavese
vado su ma il tiramisù
A questo punto, davanti ad un tiramisù, non posso che associarmi alla decisione di un altro accento-indeciso in rete e mi arrendo: vada per l’accento!