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I DIARI DI DANTE

QUADERNO III
Periodo narrato compreso tra l’aprile 1941 e il giugno 1942

CONTESTO ED APPROFONDIMENTI

Capitolo 13 - LE "FERIE ALBANESI" E LA LICENZA DEL '41

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Contenuti

13.1 - Verso la Balcania

Dante si gode la sua licenza e poi fa ritorno in Albania. Qui è tutto finito, ma non si parla più di rientro e smobilitazione, perché in Jugoslavia, o in quel che ne resta, le cose non vanno come ci si aspetta. Lo mandano in “Balcania”, come era ufficialmente allora designato il territorio dello stato jugoslavo aggredito e sconfitto, in una zona operativa comprendente la Dalmazia e la parte occidentale dell’attuale Bosnia-Erzegovina.

Va lì, insieme ad altri consistenti reparti italiani, non per una tranquilla attività di presidio, bensì per coprire un nuovo fronte che si era aperto. Quello balcanico è stato forse il fronte meno noto e meno raccontato tra tutti quelli sui quali il Regio Esercito ha combattuto nella Seconda guerra mondiale. In realtà, l’occupazione di quel territorio e le operazioni di controguerriglia che vi si svolsero andarono a costituire, alla fine, l’ammontare più alto dello sforzo bellico nazionale nel conflitto. Complessivamente, vi furono impiegate ventiquattro divisioni: a tale cospetto ed a parte il fronte alpino occidentale per la sua brevissima durata, in Libia si andò dalle quattordici nel 1940 alle otto di El Alamein nel 1942, mentre sul fronte greco-albanese furono schierate in totale quattordici divisioni e sul tanto tristemente celebrato fronte russo l’ARMIR poteva contare su dieci divisioni. Arduo fare confronti di difficoltà tra i diversi fronti, ma quello balcanico fu senz’altro anomalo e asimmetrico, fatto di “puntate” di rastrellamento, imboscate, assedi, stragi, esecuzioni sommarie, sradicamento di popolazioni, internamento di civili. Dal punto di vista strettamente militare, comunque, la Balcania fu un fronte che raccolse alcuni successi da parte dell’Asse, sicuramente l’unico a partire dall’estate del 1942.

A tutto ciò va aggiunto poi un fattore pressoché unico di tutta la seconda guerra mondiale: il fatto, cioè, che il tutto avveniva in un contesto e con la determinante frammistione di una feroce guerra civile di tutti contro tutti (partigiani, ustascia, cetnici, domobranci), fatti di atrocità nei confronti delle popolazioni civili, di vere e proprie pulizie etniche, delle quali le foibe furono solo il conclusivo lascito. Nel complesso, il numero delle vittime jugoslave ci dà l’idea dell’entità del conflitto: in totale ci furono oltre un milione di morti, che, rapportati alla popolazione, costituiscono una percentuale tra le più alte della Seconda guerra mondiale

La suddivisione della Jugoslavia nel 1941 (Becherelli - ITALIA E STATO INDIPENDENTE CROATO - Op. cit.)

13.2 - Scalone e il vecchio

Un brano di Scalone, riportato qui sotto, anticipa clima e situazione che gli italiani si trovano ad affrontare sul nuovo fronte.


L’indomani, per ordine del nostro comando generale, ci recammo proprio in quel quartiere dove era cominciato l’attacco, per effettuare un rastrellamento. Entrando all’interno di una casa, trovai un vecchio seduto davanti un caminetto. Il caminetto era un focolare utilizzato per cucinare e per fare la ricotta, era molto antico e coperto di fuliggine. Invitai il vecchio ad uscire dalla casa, ma lui se ne stava fermo, guardandomi con gli occhi spalancati e con la faccia adornata da un paio di lunghi baffoni.

Si leggeva benissimo quanto ostile fosse il suo sguardo. Io, che mi trovavo un po’ più avanti dalla porta d’ingresso, infilai una mano nella carniera, tirai fuori una bomba a mano e la scagliai in quel caminetto. Le nostre bombe a mano non avevano un grande potere offensivo, a meno che non venissero scagliate addosso, ma facevano un bel botto. Quando la bomba scoppiò, sollevò tanto di quel fumo che nella casa si fece buio come se fosse notte; il vecchio venne fuori coperto di fuliggine, era impaurito dallo scoppio e tremava come una foglia: provai pena per lui.

In apparenza io mi mostravo crudele, ma in cuor mio quella volta il vecchio mi fece tanta pietà: non era lui il cattivo, e neanche io, i veri criminali erano quelli che avevano voluto la guerra e che ci hanno mandato allo sbaraglio per ammazzare e farci ammazzare. L’odio, poi, nelle guerre viene da sé, quando si vedono cadere i propri compagni, che portano la stessa divisa, si pensa che il dovere di chi sopravvive sia di vendicare i propri morti, poi, quasi sempre, va a finire che chi ne paga le conseguenze sono la povera gente inerme che con la guerra, o con la guerriglia, non c’entra per niente.

Gli ordini erano di rastrellare tutte le persone trovate nelle case, riunirli in una piazzetta e dare fuoco alle abitazioni, lasciando che le donne, visto che uomini non ne abbiamo trovato tranne qualche vecchio o ragazzo, assistessero agli incendi. Dopo quell’operazione li lasciammo lì, noi ritornammo sul treno mentre vedevamo loro andare nelle loro case, ancora fumanti, con la speranza di poter recuperare qualche cosa scampata al rogo, continuando ad implorare per la loro casa, la loro mamma ed il signore Dio.

13.3 - Galleria 1941