I DIARI DI DANTE

QUADERNO III - Da Aprile 1941 a Giugno 1942

Indice

Extra

Testi collegati

Testo tratto dal libro del Ten. Sergio Quaglino

Testo tratto dal libro del Bers. Luciano Scalone

Avvertenze

Il testo dei Diari di Dante è riportato su una colonna principale, affiancata a destra da due colonne di raffronto e complemento, nelle quali sono riportati gli stralci di due testimonianze “speciali”: sono quelle lasciateci da chi ha condiviso da vicino con il papà quelle tragiche vicende: in particolare con quelle di Sergio Quaglino e di Luciano Scalone. Il primo è stato un ufficiale che ha scritto un libro di assoluta valenza memorialistica storica, descrivendo fatti, luoghi e persone coniugando in un perfetto equilibrio la passione determinata dagli eventi con il manifestarsi di questi nel loro contesto storico-militare. Il secondo un semplice ragazzo del Sud gettato nella tragedia, che ha sentito il bisogno e realizzato il forte desiderio di raccontarne la sua partecipazione, con sincerità di sentimento e semplicità di linguaggio.

La disponibilità di tali elementi di riferimento storico-fattuale ha reso l’attività di trascrizione dei Diari di Dante ancora più emozionante ed ha conferito ad essi un più consistente valore memorialistico, attraverso confronti, chiarimenti e contestualizzazioni di fatti, luoghi e circostanze.
Su PC e tablet, il testo del diario e il contenuto delle colonne a lato sono visibili affiancate, per quanto possibile cronologicamente, mentre su smartphone le note appaiono alla fine di ciascun blocco.

Nelle colonne di raffronto e complemento, il racconto di Dante è affiancato e correlato a destra anche da:
– Cronologia essenziale internazionale
– Note esplicative o a commento del testo
– Collegamenti esterni o ad altri articoli interni sullo stesso tema (Categoria “EXTRA”, per esempio)
– Immagini e mappe

Il collegamento tra il contenuto dei Diari e quello dei due testi principali di raffronto è segnalato con una nota (in apice) solo se il nesso è specifico e circostanziato, altrimenti il raffronto è lasciato alla cura ed all’interesse del lettore con l’ausilio delle date, evidenziate all’uopo in grassetto su tutti e tre i testi.
Il collegamento tra parti del contenuto del testo dei Diari ed elementi presenti nelle colonne di raffronto e complemento (comprese parte delle immagini) è segnalato da una sottolineatura.  Alcuni elementi presenti nella colonna di complemento (comprese alcune altre immagini) hanno invece solo un riferimento generico con il racconto e sono quindi privi di un collegamento specifico.
[NdT] indica una “Nota di Trascrizione” inserita direttamente nel testo.
Le immagini con bordo e didascalia di color cremisi provengono dalla raccolta pesonale di Dante.
Qui di seguito sono riportati ulteriori formati utilizzati per  ulteriori contenuti.

Capitolo 13 - ATENE!

IL RACCONTO

Giorno 22 aprile, arriva il caffè, mi prendo due gavette e vado vicino alle marmitte, arriva il tenente e a chi sembrava lui, marcava: «Tu, tu, Tizio, Caio, Sempronio: prendete il caffè e preparatevi tutta la roba, ché fra mezz’ora andremo sulla strada e poi sapremo cosa dovremo fare». In quattro e quattr’otto a posto, un salto a sciacquarci la faccia e siamo pronti: adunata e si parte. Dopo un duecento metri ci fermiamo fuori dalla strada ad aspettare: se ne sentivano di tutte le sorti, ma di sicuro non sapevamo niente; solo ci rattristavamo per il posto dove ci trovavamo, proprio al municipio di Erseke, dove il giorno 18 tanti compagni tornarono qui feriti. Coraggio, speriamo che tutto sia passato! Intanto mi decisi a scrivere una cartolina alla sorella Rosa, che non avrà altro desiderio di sapere come mi trovo: passò un portaordini dei bersaglieri, consegnai la cartolina e lui mi assicurò che dopo dieci minuti sarebbe stata imbucata. Arrivò un motocarrello che ci portò della Chiarizia ed intanto si era ormai certi che lì aspettavamo l’autocolonna che ci avrebbe portato a Corizza e che poi si doveva partire per Atene. Giungono gli autocarri, si sale sopra e si parte; durante il viaggio tutti guardavamo di qua e di là, ognuno pensava a quel punto e a quel posto e si rammentava tutto il passato dei giorni disagiosi[1] della guerra.

Siamo a Corizza, scendiamo e ci mettono a dormire dentro ai capannoni. Come è ormai nostra abitudine, dove andiamo c’è da pulire: con pazienza e coraggio si fa pulizia, poi ci mettiamo a posto la nostra roba e non si attendeva altro che l’ora della libera uscita per andare a spendere un po’ di lek. Esco con l’amico Ansaldi, andiamo qua, andiamo là e in poco tempo più di 100 lek a testa erano spariti. Cosa avevamo preso? Due bottiglie di moscato, un po’ di paste è pochissimo di altro: va bene, non importa, la nostra idea era questa e dunque non bisogna essere pentiti. Viene l’ora per rientrare e ci incamminiamo allegri: andiamo di qua andiamo, andiamo di là, ma non siamo sulla strada giusta; infine, dopo tanto girare, ci siamo trovati nella caserma senza accorgercene e andiamo a dormire.

Giorno 23 aprile, abbiamo il nostro caffè e poi incomincia la distribuzione della roba: sono tutti contenti non per essere vestiti di nuovo, ma solo per liberarsi un po’ dai pidocchi. Abbiamo in consegna tutta la nostra roba e via nel torrente a lavarci: l’acqua era fresca ma solo il desiderio di pulirsi… Così ci spogliamo nudi e andiamo dentro. Tutto fatto, ci prendiamo la nostra roba e la buttiamo nel cortile, là, tutta in un mucchio. Tutti gli altri soldati andarono a scegliere oggetti di corredo che più o meno gli potevano servire. Il pomeriggio ci danno due tascapani per metterci tutta la nostra roba e anche oggi passò. Andiamo a fare un altro giro, tanto i lek erano in tasca e lascia che vadano. Siamo allegri, rientriamo.

Il giorno 24 aprile fanno adunata verso le nove, ci dànno in consegna un sacco da alpino e ci ritirano i due tascapani, che erano troppo scomodi. Non abbiamo ancora finito di mettere tutta la nostra roba a posto, che arriva l’ordine di farci il rotolo e si parte. Dove andiamo? Passiamo davanti al campo di aviazione e vediamo gli altri battaglioni che, anche loro destinati ad andare a fare la sfilata, stanno facendo ordine chiuso.[2] Forse andiamo bene! La guerra è veramente finita da poche ore e cosa vuoi? Bisogna tenersi allineati, altrimenti non è più naia. Intanto sono accidenti che si mandava a tutti. Dopo si fanno tutti gli attendamenti e in un bel campo ci facciamo anche il nostro. Intanto ci spiegano l’ordine del nostro servizio: siamo a posto! Peggio delle reclute! Accidenti ad Atene e a chi l’ha piantata! La giornata passò.

Giorno 25 aprile, ci alziamo, ci andiamo a lavare, un po’ di qua, un po’ di là e il tempo passava. Sapevamo che al pomeriggio c’era la prova di sfilata sul campo d’aviazione. Andiamo bene. Prima ci hanno distribuito un buon numero di cartoline e poi tanti viveri di riserva. Forse domani si parte. Intanto viene il maggiore De Martino a fare una visita e le solite raccomandazioni, avanti march e andiamo a fare la prova. Prova una volta, prova due, ogni battaglione aveva una cadenza diversa una dall’altro e mai andava bene: alla fine dei conti, si sfila battaglione su battaglione e noi che non avevamo allenamento eravamo quelli che andavano meglio di tutti: solo essere bersaglieri, poi, è basta!

Il 26 aprile mattino, armi e bagaglio, avanti march, entriamo nel campo, tutta l’auto colonna è pronta e alle 10 l’autocarro in testa parte. Tutta la giornata e la notte fino alle undici del 27 aprile gli autisti rimasero al volante. Di tanto in tanto qualche alt per fare la pisciata, bene, già lo sappiamo che per riposarci dobbiamo farci la tenda e più presto facciamo meglio è, tutto nel nostro interesse. Di andare in libera uscita a girare il paese manca la voglia, poi il paese è piccolo e andiamo a dormire. Ma già sappiamo che l’indomani giorno 28 aprile, alle sette, si doveva partire. Suona la sveglia, in dieci minuti di buona volontà è tutto a posto, facciamo adunata vicino al nostro solito autocarro e, all’ordine, si sale e si parte.

Raccontare la fame che abbiamo fatto durante quel viaggio è incredibile. Per fortuna che buona parte dei campi greci erano pieni di cipolle, anche se non tutte le volte che la colonna si fermava ce li trovavamo di fianco. Ma qualche volta capitava e allora giù a fare la provvista, poi via cipolle e galletta! Non parliamo del materiale distrutto ai lati della strada. Era una fila sola cannoni carri armati, corriere, cavalli e muli morti: era un disastro. Arriviamo poi a Larissa, detta città del tramonto, che però, per quanto fatto dagli Stuka germanici, era veramente un disastro: non più una casa in piedi, un grosso ponte che i malvagi han fatto saltare per impedire il nostro inseguimento, ma che in poco tempo dal nostro genio fu ricostruito con del legname e sempre avanti… Per un buon numero di chilometri si costeggia il mare, quanto mai bello. La giornata era calda e si vedevano di tanto in tanto accampamenti di truppe germaniche, tutti i liberi dal loro servizio, tutti in mutandine, tanti a fare il bagno: altro che essere alle armi, erano in villeggiatura!

Sono le tredici del giorno 29 aprile e ci fermiamo al paese di …,[3] un bel paesetto, ma tutto disabitato. Ci portiamo lontano un duecento metri a fare l’attendamento. Fattaci la tenda, si parte a cercare di mangiare. Entriamo in una casa, troviamo dei bidoni di olio d’oliva, prendiamo una pentola e la riempiamo. Fuori di lì, dentro in un altro posto. Troviamo delle galline, ne prendiamo tre e un bel gallo. Allora bisogna trovare le padelle, dentro nella casa prendiamo la padella e ora siamo a posto. Di ritorno all’accampamento, tutti all’opera a preparare da mangiare. Parte uno a cercare del pane e torna dopo una mezz’ora con una pagnotta che pesava più di cinque chili. Alle 4 avevamo due galline da papparci e in più avevamo preso anche il riso, fatto dai nostri cucinieri. Finita la mangiata, replica a cuocere le altre due, perché sapevamo che al mattino prossimo c’era da ripartire. Il Martinelli era da cuoco, gli altri a lavarsi per bene. Andiamo a dormire.

Suona la sveglia, è il 30 aprile: si parte e per tutto il giorno si viaggiò fra le campagne, le strade fatte dai carri armati tedeschi, campi di grano larghi e lunghi a vista d’occhio, il grano giallo quasi pronto da mietere. Ci fermiamo la sera dentro ad un oliveto, facciamo le tende e subito a dormire: ormai è già buio, il paese non c’era.

Sono le 8 del 1° maggio 1941 e la colonna parte. Dopo un dieci chilometri entriamo in una corona di montagne, montagne famose ma tutte coperte di olive, strada stretta, delle curve strettissime e per otto ore si viaggiò in quel modo. Sono le 16 ed entriamo in una bella pianura, con una bella strada lunga e incatramata, con un po’ di sollievo per gli autisti. Sempre olive da tutti i lati e, dopo un sei chilometri, troviamo qualche bella villetta con giardini incantevoli, sempre più numerose, messe una accanto all’altra in un modo che erano qualche cosa di ammirevole. Fino alle 21 si viaggiò, vedendo ville una più bella dell’altra. Alle 21 e 30 l’autocolonna si ferma e lì, ai lati della strada, facciamo la tenda.

Giorno 2 maggio: ci fermiamo lì e per fortuna che la tenda era stata fatta sotto d’un fico e così si passò tutta la giornata all’ombra. Però sapevamo che a mezzanotte dovevamo partire, per trovarci al mattino presto alle porte di Atene. A mezzanotte si parte, la strada è tutta piana, c’è un’aria bella fresca e si viaggiava che l’era un piacere. Sono le 7 e siamo alle porte di Atene: l’autocolonna si ferma, tutti a terra a fare la pisciata e a spolverarsi un po’. Dopo una mezz’ora gli autocarri si mettono in quattro, uno di fianco all’altro e pian piano ci siamo portati al centro della città. Sono le 8 e mezza, siamo fermi, passano tutte le truppe tedesche e noi aspettiamo. La nostra sfilata viene fatta sopra agli autocarri: più di duecento,[4] a quattro a quattro, se teneva lo stesso un bel tratto di strada! Tutta la popolazione a guardare, siamo fermi, mi trovo sull’autocarro di sinistra della fila di sinistra. Lontano tre metri c’è il baracchino dove vendono le sigarette. Mi viene in mente che in tasca ho dieci dracme, due monete che avevo preso nella casa dove abbiamo preso l’olio. Chiamo un bambino, gli consegno le due monete dicendo che mi prenda le sigarette e mi porta un pacchetto da dieci del Numero 22, che conservai fino al giorno della licenza, portandole a Stradella: il primo ricordo di Atene.

Incomincia la sfilata, noi si viaggiava sulla lunga strada e sopra uno stormo di apparecchi che rombavano, accompagnandoci per tutta la sfilata.[5]

A parlare di Atene non ci sarebbe mai la fine della spiegazione delle cose viste.[6]

Alle 14 eravamo al posto per fare la tenda, però cinque o sei chilometri di strada lontano dal centro della città. Fatta la tenda, tutti hanno l’intenzione di andare in libera uscita, ma per il momento non si può scappare. Solo alle 17 arrivò l’ordine che si poteva andare a visitare la città, ma, per quella sera lì, non sono uscito: la stanchezza pensava alla distanza e allora il guadagno nostro è rimanere e andarsene a dormire. Il giorno della sfilata è passato.

Il giorno 3 maggio 1941 passò e il giorno 4 maggio anche. Alla sera andiamo in libera uscita nel principio della città, cosa incredibile, La maggior parte delle donne ci scherzavano e ridevano delle piume che portiamo sull’elmetto: loro scherzavano e noi altrettanto. Abbiamo speso delle gran dracme, ma di buono e di bello poco o niente. Ritorniamo pure, tanto è tutto nostro guadagno.

Il giorno 5 maggio prepariamo tutto e poi si parte. Nel ritorno, per un buon tratto di strada, viaggiamo in città e buona parte della popolazione ci rideva alle spalle. Dopo quattro ore di viaggio ci fermiamo ad un bel paesetto, chiamato Laurio: non eravamo lontani dal mare un duecento metri. Scendiamo e, proprio vicino alla strada, c’erano i locali per andarci a dormire. Erano tutti pieni di cemento e lì bisogna mettersi al lavoro; tutto fu liberato e ben pulito, ognuno si prese il suo posto per dormire e alla sera tutti in libera uscita. Tutte le botteghe del paesetto furono visitate, poi siamo andati a finire in una trattoria a mangiare e bere. Abbiamo preso una sbornia, ma di quelle proprio al 100%. Rientriamo, l’indomani facciamo il conto della spesa sprecata nella sbornia e, col conto giusto, non avevamo speso nemmeno 5 lek a testa: figuriamoci che il vino, detto crashi, costava lire 0,75 all’oka[7], che poi sarebbe un litro e un quarto. L’acqua veramente non si poteva bere perché era troppo salata e sempre potevamo bere del crashi.

La cuccagna di quel paese non si può spiegarla, perché sarebbe incredibile. Lì passano un quindici giorni e poi andiamo al dinamitificio a dare il cambio a una squadra della settima compagnia. Prima di andare in un posto, noi tutti abbiamo l’abitudine di lamentarci, ma dopo due giorni che eravamo là, si parlava sempre del modo di passare i giorni, lontano cento metri dalla spiaggia del mare. Sulla spiaggia ci stava un baracchino, dove si trova di tutto: con venti centesimi sì beve un vermouth, l’anice, il cognac. Ogni giorno venivano i pescatori e ci prendevamo i pesci; il padrone del baracchino li faceva friggere e poi si facevano delle mangiate di pesce che per tutta la vita saranno un ricordo. Per noi era poco bello per la posta, perché potevamo farla spedire, ma non arrivava mai: pazienza, basta la salute.

Il giorno 3 giugno mi vengono ad avvisare che per le quindici dovevo rientrare all’accantonamento a Laurio senza aspettare il cambio. Allora giù tutti a piantarci la rulotta tutto quello che c’era[8] e pulizia. Per quello del baracchino la nostra partenza restò la sua morte: addio smercio, per lui tutto era finito. Me lo ricordo alla nostra partenza che piangeva come un bambino.

Siamo al nostro accantonamento, ci prendiamo il posto per dormire, aspettiamo l’ora del rancio e poi andiamo in libera uscita a completare l’ultima sbornia a Laurio.

Giorno 4 giugno: alle 7 arriva l’autocolonna, sopra e si parte a raggiungere il nostro reggimento che stava a Perrenjes, in Albania, che ci aspettavano a braccia aperte perché radio gavetta parlava che dovevamo rientrare in Italia. Nella mia vita non farò mai tanti chilometri in camion come quei due viaggi andare ad Atene e ritornare. Per tutto il giorno, la notte e fino al giorno 6 giugno alle 2 si viaggiò, passando da Florina, anche lì tutta distrutta come Larissa. Dopo fatta la tenda tutti a lavarci alla fontana che c’era a poca distanza e dove l’acqua sorgeva fresca e limpida.

Quel giorno mi sono arrabbiato un po’ con il comandante di plotone.[9] All’ora del rancio ci han fatto la pastasciutta, ne mangio una gavetta, ma mi sembrava poca. Vado in cucina a trovare l’amico Caldera e me ne riempie un’altra: abbuffatore e soddisfatto, ringrazio l’amico e me ne vado alla tenda. Suona la sveglia del giorno 7 giugno: all’opera, tutto è pronto, si va alla colonna, si sale e avanti verso i compagni che ci aspettano. Per tutto il giorno e la notte si viaggiò.

Sono le 8 del mattino del giorno 8 giugno e passiamo nella città di Corizza, città immemorabile. Alle 9 siamo a Pogradec, la città della radiola, nel mese di marzo, quando eravamo sul Monte Kalase, il monte di fango, e i signori greci, al mattino, prima di rimettersi a battere la montagna coi mortai, ci facevano sentire qualche canzonetta italiana con l’altoparlante, credendosi che loro la guerra l’avrebbero vinta, ma dovettero piegarsi. Dopo due chilometri da Pogradec troviamo il Ponticello dei bersaglieri, che farne un romanzo di tutto quello che è successo su quel ponte non basterebbe. Più avanti troviamo il cimitero dove tutti compagni gloriosi stavano per aver dato la loro vita per la patria. La colonna si fermò e tutti siamo andati a visitare i poveri compagni e il maggiore fa una breve raccomandazione riguardo a quello. Non parliamo del paese della morte, che era un chilometro prima del cimitero, Memlishta. Finalmente anche questo viaggio è terminato, sono le 10 e mezza, siamo a Perrenjes, dove tutti i compagni ci corsero incontro a salutarci. La radio era che non aspettavano solo che noi, perché dovevamo rimpatriare. Trovo l’amico Bertolotti e anche lui ci ha detto tutte le cose buone. Siamo alla nostra compagnia, Dante ritorna sempre alla sua squadra, che, con l’arrivo degli ultimi complementi, era arrivata alla bellezza di diciotto uomini.[10]

Dopo tanto chiacchierare coi compagni, tutto viene da sé, cartoline non ne mancano, diamo le notizie alle sorelle e ai parenti. Altra radio gavetta diceva che c’era da fare la sfilata davanti al generale Pirzio Biroli[11] per la festa del reggimento, il 18 giugno. Prova e riprova, arriva anche quella festa. È da due giorni che piove e ancora continua. Niente paura, la sfilata fu fatta, la pioggia a catinelle, il generale pronuncia quattro parole del nostro del nostro passato, poi una bella cantatina e si rompono le righe. Quel giorno lì la squadra era di corvè per rancio e avevamo per noi doppia razione di tutti le sorti e di vino: e con questo, nel pomeriggio, tutta la squadra era allegra e cantavamo in compagnia della pioggia cadente.

 

[1] Disagiosi. – Il dizionario Treccani riporta: “diṡagióso, aggettivo. [derivazione di disagio], non comune – Pieno di disagi, scomodo, o che reca molestia, malessere. Condizione o situazione sgradevole per motivi morali, economici, di salute.” Quindi non solo Dante non s’inventa un aggettivo, ma ne fa un uso appropriatissimo, in quanto esso parrebbe voler descrivere uno stato derivante da sofferenza superiore a quella che di solito si attribuisce al sostantivo “disagio” da cui deriva e del tutto diversa dal più sopportabile “disagiato”.

[2] Ordine chiuso. – Si tratta di movimenti comandati con i soldati in formazione compatta, su più file e distinti per plotoni, compagnie, battaglioni, ecc. Definito anche come “Addestramento formale”, ha riempito allo sfinimento, fisico e morale, un secolo di interminabili giornate di caserma dei soldati di leva.

[3] Non è stato finora possibile decifrare e riconoscere il paese: la grafia consente solo un’improbabile decifrazione in Varten o Vartan. Secondo il libro di Quaglino, quel giorno il battaglione doveva trovarsi a Lamia o dintorni.

[4] Più di duecento. – Duecento camion, per un battaglione di formazione, ossia per un ammontare di trecento o quattrocento bersaglieri, sembrano tanti. Tanti anche se riferiti all’intera rappresentanza italiana (un reggimento di formazione misto, circa mille-millecinquecento soldati). Se consideriamo ad esempio uno tra i modelli di autocarro in uso nell’esercito italiano dell’epoca per il trasporto truppa, in dotazione anche all’autodrappello del 40 reggimento o disponibili a livello divisionale, ossia il “Lancia Ro” in versione base, con cassone standard in legno, centinato, di metri 4,79, esso poteva portare 32 soldati equipaggiati o 6390 kg di carico in materiali e munizioni. Che Dante si riferisse invece all’intera rappresentanza italo-tedesca?

[5] La sfilata. – Strano e, per chi conosce un po’ la storia dei bersaglieri, anche incredibile. A parte che gli han fatto fare le prove all’aeroporto di Corizza, a parte le sfilate a Jesi e a Elbasan (di corsa con la bicicletta a mano) mentre andavano alla guerra, adesso che (ufficialmente, ma i soldati se lo meritano) c’è qualcosa da festeggiare e i bersaglieri sono l’icona delle sfilate militari dell’esercito italiano, li fanno sfilare sugli autocarri. Forse il papà e i suoi commilitoni ne saranno anche stati contenti, una fatica in meno; ma, conoscendo l’ambiente, probabilmente, per orgoglio e fierezza, potrebbero esserci anche rimasti male. Non è che saranno stati i tedeschi a impedire “la corsa”, non potendo loro dare altrettanta mostra?

Integrazione alla nota apposta successivamente. – Beh, in qualche modo non ci sono andato lontano. In un successivo approfondimento, ho trovato nel diario del generale Cavallero (Ugo Cavallero – Diario 1940-1943 – a cura di Giuseppe Bucciante – Ciarrapico Editore), allora Capo di Stato maggiore generale, la sostanziale risposta al quesito postomi. Infatti, nel resoconto giornaliero del 24 aprile 1941 (pagina 166), Cavallero si occupa, tra varie questioni, anche della sfilata di Atene e dice: “Reggimento di formazione per Atene: sfilerà su autocarri per analogia con truppe tedesche. Per eventualità sfilata a piedi i granatieri, i fanti e la milizia devono conoscere il passo romano.” Dunque: facciamo come fanno i tedeschi, ma (non si mai, ci possono riservare sempre sorprese senza avvisarci), nel caso si dovesse sfilare a piedi perché lo faranno loro, dobbiamo anche noi marciare col passo dell’oca, romano o prussiano che sia. Ecco, raccontato dal papà, l’addestramento a Corizza con maldestro esito! Infatti, Cavallero cita il problema per gli altri, ma non i bersaglieri: loro vanno di corsa!

[6] A parlare di Atene non ci sarebbe mai la fine della spiegazione delle cose viste. – E bravo papà! Una frase esemplare per indicare la sua percezione del luogo ove si trovava e la consapevolezza di non poterla raccontare! In realtà io non sapevo che fosse mai stato ad Atene. Sapevo da libri, filmati e altre memorie, della sfilata, cui aveva preso parte un battaglione misto, in rappresentanza di tutto il reggimento. Ma, dato che il papà, nei suoi rarissimi racconti della “vita precedente”, di Atene non mi aveva mai, ma proprio mai, parlato, ho escluso a priori che ci potesse essere mai stato, almeno in considerazione della fama e della bellezza unica della città e a prescindere dai tristi eventi che ve lo avevano condotto. I luoghi dei suoi ricordi di guerra entrati nella mia memoria già da bambino furono altri e solo quelli: Durazzo, Spalato, Sebenico, puntini geografici di dolore e tristezza, al cospetto della fama di Atene ed anche dei momenti di relativa serenità che lì vi passò. Grande quindi è stata la sorpresa nell’apprendere del suo viaggio nella capitale greca, la “meta della vittoria”, e del motivo, colto alla lettera, per il quale non ne fece mai parola ad alcuno.

[7] L’oka (οκά), pari a 1,282 kg, rimase in uso in Grecia fino al 1959, in coabitazione con le misure del sistema metrico introdotto dal 1876. A Cipro, l’oka rimase invece in uso fino al 1980.

[8] Rulotta. – Il testo non lascia dubbi: le parole trascritte corrispondono a quelle scritte a mano da Dante e la frase che ne risulta è questa. Cosa voleva dire con esattezza? Si capisce che fa i bagagli in tutta fretta, affardellando tutto quello che c’è, ma cos’è la rulotta? Certa l’italianizzazione (obbligata) del noto termine francese, ma, in ambito militare, può indicare un rimorchio (da agganciare ai camion) per permettere il trasporto dei bagagli e delle dotazioni dei soldati (zaino, coperta da campo, telo tenda e relativi picchetti, vanghetta o piccozzino, gavetta tascapane)? È un’ipotesi, ma senza alcun riscontro per ora disponibile. Ardua l’ipotesi alternativa della coperta da campo arrotolata, vista spesso nell’iconografia dei campi di battaglia e nella quale si potevano infilare anche altri capi di vestiario od oggetti da portare con sé, ma non certo tutto quanto indicato prima.

[9] Mi sono arrabbiato un po’ con il comandante di plotone. –  Non è ben chiaro il perché. Razione scarsa di pastasciutta? Ma è colpa del tenente? Forse Dante si è scordato di spiegare il motivo dell’arrabbiatura cui fa cenno.

[10] Era arrivata alla bellezza di diciotto uomini. – Abbiamo anche qui, a livello di squadra, la conferma del tardivo e frammentato invio di complementi per rimpinguare le fila dei reparti, che, già insufficienti all’inizio della guerra, si erano via via assottigliati a causa delle perdite subite. Come riportato da più fonti e com’è lecito supporre, questi elementi arrivavano al fronte frettolosamente, oltre che impreparati e spesso col morale a terra perché richiamati dopo l’illusoria e parziale smobilitazione del settembre 1940, messa in atto mentre si stava pianificando l’invasione della Grecia.

[11] Generale Alessandro Pirzio Biroli – Comandante della 9ª armata – Campobasso, 23 luglio 1877 – Roma, 20 maggio 1962.  

RIFERIMENTI E NOTE
La copertina dell'Annuale di commerazione del primo anno di guerra.
Il percorso verso Atene. Le indicazioni di Google si riferiscono ad un viaggio odierno. I nostri ci misero sei giorni. Quaglino racconta di una sosta a Volo, che risulterebbe fuori dal corretto tracciato (al centro della mappa). Forse una opportunità di accantonamento.
SEcondo il racconto di Scalone, questo sarebbe stato il percorso fatto al ritorno da Atene. Dante e Quaglino non vi fanno cenno. I bersaglieri sarebbero poi stati trasportati fino a Perrenjes, per ricongiurgersi col resto del reggimento.
I bersaglieri del 4° reggimento ad Atene. (da "Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945", di Elena Aga-Rossi e Maria Teresa Giusti. - Il Mulino, 2017)
Al ritorno da Atene, si ripassa davanti al tristemente famoso "Ponticello dei Bersaglieri" (Da Digilander - I Bersaglieri nella Campagna di Grecia)
Due immagini dal libro di Sergio Quaglino.

Approfondimenti

  • F. Ferratini Tosi, G. Grassi, M. Legnani (a cura di), L’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, FrancoAngeli Editore, Milano 1988;
  • Giorgio Bocca, Storia d’Italia nella guerra fascista 1940-1943, Oscar Mondadori, Milano 1996;
  • Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (a cura di), Storia d’Italia. Guerre e Fascismo, Laterza Editore, Roma-Bari 1998;
  • Piero Melograni, La guerra degli Italiani 1940-1945, Istituto Luce, Roma 2004;
  • Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943 Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, G. Einaudi Editore, Torino 2005.

Bibliografia generale – Fonti 

  • CON IL 4° BERSAGLIERI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE – Sergio Quaglino – 1985
  • MEMORIE DI UN BERSAGLIERE – Luciano Scalone – 2011
  • LA GUERRA FASCISTA – Gianni Oliva – Le Scie – Mondadori – 2020
  • LE OPERAZIONI DEL 1940 SULLE ALPI OCCIDENTALI – (Autori vari, esegesi storica a cura dell’Ufficio Storico dello SME, 1994 Roma
  • DIARIO STORICO DEL COMANDO SUPREMO VOL I TOMO 1 – Autori: Biagini e Frattolillo, dal 11.6.1940 al 31.8.1940 – DIARIO- Edizione Ufficio Storico, 1986
  • IMMAGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE   Ufficio Storico dello SME, anno 1995
  • L’ESERCITO ITALIANO NELLA CAMPAGNA DI GRECIA – Autore Mario Montanari, Studio Monografico, Ufficio storico dello SME, 1995
  • STORIA DELLA GUERRA DI GRECIA – Mario Cervi – Oscar Mondadori 1969
  • GUERRA D’ALBANIA – Gian Carlo Fusco – Feltrinelli 1961
  • SOLDATI, GENERALI E GERARCHI NELLA CAMPAGNA DI GRECIA – Francesco Casati – Prospettiva Editrice 2008
  • QUOTA ALBANIA – Mario Rigoni Stern – Einaudi 1971-2022
  • FRONTE GRECO-ALBANESE: C’ERO ANCH’IO – Giulio Bedeschi – Mursia 1977
  • GLI ESERCITI DELLA CAMPAGNA ITALIANA DI GRECIA – Phoebus Athanassiou – Biblioteca di Arte Militare 2019