Il testo dei Diari è affiancato a da contenuti e immagini di contesto e complemento (“riferimenti”). In particolare, sono riportati ampi stralci di due testimonianze “speciali”, lasciateci da due persone che hanno condiviso da vicino con il papà quelle tragiche vicende e che ne hanno voluto, come il papà, lasciarne testimonianza e ricordo: sono quelle del tenenete Sergio Quaglino e del bersagliere Luciano Scalone. Il primo ha scritto un libro di qualificata valenza memorialistica e storica, descrivendo fatti, luoghi e persone in un perfetto equilibrio tra il mito patriottico, la passione determinata dagli eventi e il succedersi di questi nel loro contesto storico-militare. Il secondo, un semplice ragazzo del Sud gettato nella tragedia, ha sentito il bisogno e realizzato il forte desiderio di raccontarne la sua partecipazione ad essa, con sincerità di sentimento e semplicità di linguaggio.
La ricerca prima e la disponibilità poi di tali elementi di riferimento storico-fattuale ha reso l’attività di trascrizione dei Diari ancora più emozionante ed ha conferito ad essi un più consistente valore memorialistico, attraverso confronti, chiarimenti e contestualizzazioni di fatti, luoghi e circostanze, oltre ad aver dato spunto ad inaspettati approfodimenti e consentito sorprendenti scoperte storiche, che altrimenti sarebbero andate perse. Almeno per me.
Su PC e tablet, il testo del diario e il contenuto delle colonne a lato sono visibili affiancate, per quanto possibile cronologicamente, mentre su smartphone, i “riferimenti” appaiono alla fine di ciascun blocco contenitore.
[NdT] indica una “Nota di Trascrizione” inserita direttamente nel testo.
Testo tratto dal diario del Ten. Sergio Quaglino
Testo tratto dal diario del bers. Luciano Scalone
Nei Diari
Dopo un po’ di tempo che eravamo là, fermi in un lungo cortile con attorno dei grossi capannoni, arrivo il camion della cucina e anche tutti i ritardatari. Finalmente distribuiscono la pastasciutta: Dio ne liberi! Era asciutta tanto per dire, ma l’appetito era davvero una guerra. Andiamo a dormire nei capannoni: né paglia e né fieno e così abbiamo riposato sul duro terreno. Il giorno 12 novembre mattina si sperava almeno in una mezza giornata di riposo, invece fu anche anticipata la sveglia, poi ci fu dato il caffè e due pagnotte, si affardella la bici e avanti o bersaglieri! Mentre i tre battaglioni si allontanavano, Dante cercò di trovare gli amici Maggiorino, Italo, Maggi[1], Franchini e Gorini[2] e con l’animo fiero li salutava, trovandosi però sempre in compagnia dell’amico Gnutti, della stessa compagnia. Si parte, la bicicletta non andava avanti, ma con tutta la buona volontà e il coraggio si faceva tappa a Elbasan, Librashd e Perrenjes: altri 80 chilometri. Anche questi furono fatti e pian piano, ci avvicinavamo al nemico, con il nostro maggiore sempre in testa. E così, la sera del 12, ci siamo fermati nei capannoni di Librashd e una gavetta di tubi nella pancia l’abbiamo messa; poi a dormire sul bel soffice suolo di cemento.
La mattina del 13 novembre, un’oretta di tempo per potersi lavare e verso le 9 si parte. Il tempo è brutto, con acqua e nebbia, nessuna tregua, sempre avanti e siamo a Perrenjes e a dormire nei capannoni. Il 14 novembre mattino, sveglia, caffè, pulizia armi e bici e la giornata passò. Anche il secondo rancio fu consumato, gli ufficiali muti muti con la testa bassa: quasi ci siamo! Sono le dieci, la notte è buia e arriva un’autocolonna, si lasciano bici, armi e munizioni e si sale sui camion. Si partì, non si faticava, ma la mente faticava di più che quando si pedalava. Coraggio! Scendiamo dei camion, siamo sempre fra le montagne; poi in camion arrivano le bici e ognuno si cerca la sua: sono sistemate per squadra e così per armi e munizioni. Ogni squadra si è riunita alla bell’e meglio, con la mantellina e il telo. In un attimo si fece il giorno 15 novembre. Lì ci danno un cucchiaino di cognac ciascuno e le sigarette: cosa ne faccio delle sigarette? Tutti gli uomini le desideravano e così me ne liberai, dandole a chi mi sembrava. In quattro e quattr’otto si trovarono le cime per mettere le armi e per non trovarci la sorpresa degli apparecchi, come il giorno 14. Pedalavamo a plotoni serrati, in mezzo alla strada, quando ad un tratto apparirono sopra le montagne tre apparecchi inglesi: e giù bombe! Fu un attimo a lasciare la strada e subito a terra. Quello fu il principio della guerra e fortuna ha voluto: nessuna novità. Siamo a posto con le armi, anche la nostra tenda è a posto e dopo due ore arriva l’ordine: è giunta l’ora! Giù dalla strada con tutto il nostro materiale è lì nel fosso venne l’ora del tramonto. Abbiamo preso un pezzo di carne e del brodo e poi, ben carichi di munizioni, il nostro maggiore davanti e noi che lo seguivamo, abbiamo attraversato lunghe montagne fino alle tre del mattino del giorno 16 novembre, incontrandoci con i nostri amici del XXIX battaglione. Arrivati alla nostra cima, tutti a lavorare, a fare la postazione delle armi per nostro interesse di salvare la pelle. Si fa giorno, la nostra necessità è non farsi vedere, l’appetito si fa sentire, prendiamo una scatoletta e ce la mangiamo, il tenente poco lontano stava nella sua buca e continuava: «Attenzione qua, attenzione là…» Così passò anche quel giorno. Si fa buio, arrivò il pane e sempre scatolette, ad ognuno la sua razione, sempre allerta e anche quella notte passò.
Il 17 novembre mattino, domenica, forse incomincia male: pallottole che fischiavano, colpi di mortai che arrivavano, sempre coraggio e attenzione e gli occhi che non lasciavano il buco della feritoia. Ad un tratto si vedono comparire tre con un fucile mitragliatore: la nostra Breda già puntata, nemmeno un attimo di tempo, una scarica e tutti e tre ruzzolavano giù dal cucuzzolo. La giornata fu lunga e continuamente piena di pericolo. Si fa sera e nessuna novità dal nostro plotone, ma sappiamo che al secondo plotone, che stava poco lontano da noi, i due colleghi bersaglieri Guani[3] e Cilio[4], poveretti, restarono morti, e uno, il bersagliere Fois[5], leggermente ferito: questi furono i primi colpiti della compagnia. Pazienza e coraggio! Qualche giorno passò e siamo all’alba del giorno 22 novembre, si inizia male, con colpi di mortaio che arrivavano a più non posso; la terza compagnia era davanti a noi e, trovandosi sotto un incessante fuoco, chiamava un’arma pesante in rinforzo; due parole del tenente: «Schiavi! Vai giù con tutta la squadra!» Mi si arricciano i capelli, ma bisogna andare tutti decisi: e giù le pallottole che fischiavano! Siamo dentro una postazione già fatta dagli amici, nessuna novità, ma far fuoco sarebbe male nostro, perché saremmo scoperti. Sempre attenzione, arriva un colpo che butta giù tutta la postazione degli amici che stavano vicino a noi e lì ci fu un ferito.
Il 23 novembre si fa sera, l’ordine era che al buio si doveva lasciare il posto; la terza compagnia, pian piano, squadra per squadra, scende, poi pure Dante si prende tutto il suo materiale e segue. Chissà dove andiamo… Cammina e cammina, la notte buia, sempre montagne, le forze mancavano, arriviamo al comando di battaglione, il maggiore ci fa coraggio e poi giù da una ripidissima montagna. L’amico caporalmaggiore Ansaldi, che comandava la prima squadra, inciampa, cade e si ferisce alla faccia: gli infermieri chissà dove sono e così, con un po’ d’acqua, si disinfetta e con un fazzoletto si copre la ferita, con il suo impegno l’amico ci segue. Destino vuole che arriviamo là dove siamo partiti il giorno 15, e dove anche avevamo lasciato le biciclette. Ma si sente una voce: «Presto! Presto ragazzi! Portate il materiale sul camion, poi prendete la bici e giù, ché siamo circondati!» Ma noi, innocenti e tranquilli, ce ne andiamo a prendere la nostra bici: e chi la trova? Nella maggior parte sono tutte rotte dal mitragliamento degli apparecchi, ne prendo una, le ruote girano e avanti! In pochi secondi tutto il plotone fu adunato, il tenente davanti. Sono le 12 e 30, è tutta discesa e giù a rotta di collo! Lì ognuno pensava per proprio conto e dubitava di quello che poteva avvenire. Coraggio! Il maggiore passava in macchina e ci incitava: «Sotto! Sotto ragazzi! Non fermatevi, avanti sempre!» Sono le tre, poco lontano si sentivano cannonate ed arriviamo nell’abitato di Corizza. Arriviamo nella città tutti sbandati, uno qua e uno là. Il tenente si ferma e mette la bicicletta appoggiata ad una pasticceria: Dante guardava le paste ma c’era la vetrina e cosa si va a pensare? Un buon numero di bersaglieri del plotone si è radunato, ma ci fermiamo per aspettare tutti i ritardatari. La fame era sopra il 100%, ormai erano già 18 ore che il tascapane era vuoto. Dante dice sorridendo: «Signor tenente, avete visto quante belle paste c’erano in quella vetrina?» Lui mi risponde: «Perché non hai rotto la vetrina e non ti sei riempito il tascapane?» «Perché aspettavo il permesso almeno da voi!» E lui: «Così oggi le mangiano i greci!»
Allora Dante, che già dubitava male, chiede al tenente come stia la faccenda e lui mi dice sottovoce che avremmo dovuto ripiegare ancora per una settantina di chilometri e pedalare, altrimenti saremmo rimasti tutti prigionieri. Dante guardò in faccia un po’ il tenente e soggiunse: «Allora possiamo incamminarci, ormai quasi tutti i ritardatari sono con noi…» Gli scoppi di cannonate aumentavano sempre di più e rimasero feriti tre bersaglieri del XXXI battaglione, che ci passarono davanti trasportati sui motocarrelli. Avanti! Le forze mancavano, ma eravamo ormai sicuri di cosa si trattasse. Ognuno pensava per conto suo, tanti amici rimanevano privi di forze e cadevano svenuti sulla riva del fosso. Arriviamo al bivio che va a Valona e noi si proseguiva per Pogradec, dove stava la sussistenza. Dante dà una voce agli amici Elli e Guarneri, che subito si allontanavano e in pochi minuti arrivarono con quattro o cinque pagnotte, che in poco tempo furono da ciascuno divorate: sembravamo bestie feroci.
Erano le 8 del 23 novembre e c’era un bel sole brillante, ma i greci avanzavano a tutta forza: dove andiamo a finire qua? Mah! Chi lo sa? Siamo a 8 chilometri da Pogradec, ci fermiamo, parecchi aerei nemici rombavano sopra di noi: appena da noi visti, tutti a terra giù nei cespugli. Arrivarono il caffè e il pane, un attimo per mangiare tutto, il camion della cucina parte e si va avanti. Lì si era riunito tutto il reggimento e tutti domandavano dei loro amici che stavano al XXXI battaglione, del quale, per la batosta presa, era rimasto meno di un terzo. Quanti poveri ragazzi! Chi morti, chi feriti, chi prigionieri e sperduti: la decima compagnia era ancora quella più numerosa. Dante domanda degli amici, tutti presenti, meno male e coraggio! Il caporalmaggiore che nella notte era caduto scendendo dalla montagna era contento di essere con tutti noi e, senza volere, si incontra col fratello che stava nel Genio. Tutto contento passava una mezz’ora col fratello. Gli apparecchi continuavano a girare sopra di noi senza un attimo di pace: qua andiamo bene! Portiamo le biciclette dietro la montagna di fronte a Pogradec, che poi le portano a Librashd coi camion, e noi in fila per uno, dietro al nostro capitano Sereno, comandante di compagnia.
Note
[1] Maggi, non noto il nome, di Broni (PV).
[2] Gorini Rinaldo, di Casteggio (PV) – Decorato con Croce di guerra al V.M. (Erseke, fronte greco, 13-16 novembre 1940.
[3] Guani: non risulta, con questa grafia, nella Banca dati dei Caduti della Seconda guerra mondiale.
[4] Cilio Giovanni: 18/05/1918 – Comiso – Data di Decesso/Dispersione: 17/11/1940 – Albania – Luogo sepoltura non noto.
[5] Fois Antonio Giuseppe: 02/11/1915 – Oniferi – Data di Decesso/Dispersione: 26/11/1941 – Luogo sepoltura non noto. Sarebbe quindi deceduto alcuni giorni dopo essere stato ferito.
Il nemico si vede.
A differenza che nella Battaglia delle Alpi, ove il nemico sparava cannonate e uccideva senza mai vedere (anche l’incursione con armi leggere di una pattuglia francese al campo del XXVI battaglione avvenne di notte e scomparve nel buio), qui i greci si fanno vedere e sentire. Capiamo da questi frangenti l’importanza dell’addestramento militare, fisico e mentale.
Verso il fronte
Appena dopo lo sbarco il maggiore Ferrari lascia il comando del trentunesimo battaglione che viene assunto dal maggiore Bernardino Grimaldi […]
Il 10 novembre il colonnello comandante è invitato nel pomeriggio a recarsi a Tirana, al Comando Superiore Truppe Albania, per ricevere ordini ed istruzioni. Il tenente Bologna ed io lo accompagniamo….
Mentre il colonnello si presenta rapporto, noi attendiamo in cortile più di un’ora aspettiamo punto alla fine ecco il colonnello Scognamiglio. Fuori ormai buio, ma ancor più buio è il volto del colonnello. Direi che sono evidenti segni di una collera mal repressa. Ci spiega. Il rapporto, al quale partecipavano il comandante delle forze armate italiane Albania e dei comandanti di alcune grandi unità dislocate nel territorio si svolge alla presenza di S.A.R. il Principe di Piemonte.
La situazione militare, contrariamente a quanto si poteva pensare leggendo i giornali, è molto seria ed occorre provvedere al più presto. Tenuto conto delle poche strade esistenti, il nemico esercita la sua pressione in gran parte sul fronte tenuto dalla 9a armata ove, se riuscisse a sfondare e risalire alla strada che dal confine porta a Erseke, Corizza ed Elbasan, potrebbe raggiungere anche Tirana ed aggirare l’intero schieramento del nostro fronte, avendo inoltre poi, per buon tratto, la sua ala destra disimpegnata, passando alla strada suddetta proprio rasente al confine jugoslavo (Lago d’Ocrida). Bisogna quindi disporre affinché importanti aliquote di truppe si trovino su quel tratto di fronte al più presto possibile, al fine di sbarrare il passo al nemico e servire di rinforzo all’insufficiente massa di uomini già in azione su quel settore, nonché permettere l’afflusso di ulteriori reparti e respingere successivamente i greci nel loro territorio.
I bersaglieri del 4° devono trovarsi entro 48 ore a Erseke, a fronteggiare le infiltrazioni del nemico su quel lato. Comprendiamo ora la collera del colonnello, forse non tanto dovuto all’evidente incongruenza dell’ordine, dettato naturalmente dalla preoccupante situazione, quanto dall’amarezza di dover ammettere che i bersaglieri del 4° non potranno con la bicicletta affardellata eseguire interamente l’ordine ricevuto. Se pensiamo agli assi del ciclismo che in tempo di pace partecipa alla d’Italia, potremmo sorridere di questa apprensione, ma se consideriamo invece che occorre fronteggiare un nemico per raggiungere il quale i bersaglieri dovranno percorrere più di 280 km, portando con sé l’intero equipaggiamento ed armamento individuale, ed usando solo le tanto gloriose biciclette militari a gomme piene ruota fissa, e pesanti solo come i bersaglieri sanno, braccando poi su strade montagnose quasi sempre a fondo naturale, forse ci convinciamo che il tempo assegnato è proprio un po’ pochino. In ogni caso i bersaglieri del 4° faranno tutto quanto sarà possibile a marce forzate per raggiungere l’obiettivo. Domani, 11 novembre, partenza.
I bersaglieri effettuano così il giorno seguente la prima tappa del trasferimento da Durazzo a Elbasan ono circa 80 km. Il primo tratto è abbastanza agevole, ma poi, appena usciti da Tirana, bisogna superare una catena di colline abbastanza alte, su una strada che per oltre 20 km sale continuamente, con tratti a volte ripidi, per cui occorre spingere le biciclette a mano. Con il termine della discesa termina anche l’asfalto e comincia il fondo naturale, duro e sassoso se il tempo è asciutto, ma che si trasforma in una specie in una spessa e viscida poltiglia fangosa quando piove. A sera si è a Elbasan. La marcia ha largamente provati i bersaglieri, date anche le condizioni della strada ed il peso del materiale che ognuno porta con sé. Tuttavia, essendo l’11 novembre festa nazionale, il reggimento, al suo arrivo a Elbasan, deve anche sfilare di corsa, bicicletta alla mano, davanti alle autorità presenti. Questo supplemento di fatica, al termine di una giornata di marcia, anziché fiaccare il morale degli uomini, lo eleva, perché si sono resi conto di quante energie essi posseggano. Poi riposo. domani si prosegue.
[…]
A metà circa del percorso giungono invece da Elbasan alcuni autocarri, mandati dal comando superiore, per caricare il più possibile i bersaglieri e portarli più celermente sulla linea del fronte, ove la situazione si fa più allarmante. È il XXXI battaglione che inizia il trasferimento dei suoi reparti su autocarri, mentre gli altri bersaglieri proseguono in bicicletta la marcia.
(www.anafirenze.it/2019/10/25/la-campagna-di-grecia/)
Le operazioni al fronte
Nell’immagine riportata sopra sono rappresentati gli schieramenti delle divisioni dei due eserciti e la stabilizzazione dei fronti in tre diverse fasi (molto breve nelle prime due, pressoché definitiva la terza). Il 4° reggimento bersaglieri, dopo il trasferimento da Durazzo, si spinge sino alle alture nella zona di Erseke, dove era in atto uno sfondamento da parte dei greci. Si espone particolarmente in questa operazione il XXXI battaglione, che, inviato in avanti in rinforzo al 1° reggimento bersaglieri (VIII corpo d’armata, divisione Bari), tiene la posizione sotto tiro nemico fino all’ora ordinata e sfugge all’accerchiamento solo a duro prezzo, prima di ricongiugersi con il resto del reggimneto a Erseke. Secondo il rapporto del colonnello comandante ci furono: 10 morti, 101 feriti, di cui 11 ufficiali e 20 dispersi. Secondo altre fonti, invece, compresi il diario di Quaglino e la testimonianza di Dante (“… era rimasto meno di un terzo…”). Nell’operazione si distinsero il comandante di battaglione, maggiore Bernardino Grimaldi e il sottotenente medico Loris Annibaldi, al quale, decorato di medaglia d’oro, è stato intitolato l’Ospedale militare di Baggio a Milano.
Alla fine del ripiegamento di Dante si attesta sopra Pogredec, all’estrema sinistra dello schieramento italiano e della divisione Venezia..
Sottotenente medico Loris Annibaldi
Nasce nella cittadina di Offida nel marzo del 1912 e dopo la maturità classica, su esempio del padre Giovanni, si iscrive alla facoltà di Medicina a Torino. Lavorò come assistente presso l’Istituto di Urologia laureandosi brillantemente nel 1937 e nell’aprile del 1938, fu ammesso a frequentare la Scuola di Applicazione di Sanità a Firenze come allievo ufficiale medico di complemento, da qui uscì in qualità di aspirante ufficiale dopo soli quattro mesi.
Assegnato al 2° Reggimento Artiglieria da campagna, fu promosso sottotenente e collocato in congedo nel gennaio del 1939.
Richiamato in servizio pochi mesi dopo, viene assegnato al 53 Reggimento Fanteria “Umbria” dove rimane fino al febbraio del 1940, quando viene trasferito al 4 Reggimento Bersaglieri, dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940, partecipò alle operazioni sul fronte occidentale contro le truppe francesi. Con l’inizio della campagna di Grecia il suo reggimento sbarca in Albania, a Durazzo venendo nuovamente riassegnato e questa volta al XXXI Battaglione Bersaglieri, partecipando attivamente alle azioni militari.
Nel mese di novembre si distinse nella zona di Erseke nel sud dell’Albania aiutando a curare ed a sgombrare i feriti dalle prime linee, di conseguenza esponendosi a rischi personali infatti rimase gravemente ferito per medicare un bersagliere e rifiutando la resa, continuò a difendersi fino alla morte dai nemici anche con il lancio di bombe a mano.
Per onorarne la memoria nel 1953 gli fu decretata la concessione della Medaglia d’Oro al Valore Militare, sempre in quell’anno gli venne intitolato il Centro Ospedaliero di Milano mentre ad Offida più tardi anche gli saranno intitolati una via ed il locale ospedale.
(www.habitualtourist.com/loris_annibaldi(offida)
Attacco e difesa
Retorica fascista a parte, una volta ancora si conferma l’assoluta mancanza di predisposizione per le guerre offensive dell’esercito italiano. Partendo dai vertici nelle fasi di pianificazione e fino all’ultimo dei soldati nel combattimento, l’Italia ha sempre dato il meglio di sé nelle battaglie difensive con successivo contrattacco, mentre le avanzate improvvide hanno sempre fatto danni (Caporetto-Piave-Vittorio Veneto) ne sono lo storico emblema. Anche in Albania, dopo la ritirata e un primo tentativo di arrestare l’avanzata greca da posizioni precarie, una nuova e credibile linea difensiva viene approntata e da quella non si passerà più, con il sacrificio e la tenacia dell’intero schieramento. Anche nelle battaglie sostenute dai bersaglieri del 4° reggimento, nel suo relativo piccolo e pur facendo parte di una specialità votata allo slancio e all’attacco, ne abbiamo avuto un esempio, con innumerevoli episodi, come in molti altri settori del fronte per altro, in quanto, fallita l’assurda avanzata in inferiorità numerica, appena hanno potuto smettere di voltare le spalle ai nemici, essi si sono asserragliati sulle montagne e non sono più stati scalzati dalla linea predisposta al termine del ripiegamento. Il tutto, si badi bene, sempre disposti in linea e quindi ancora in inferiorità, nei punti dove invece i greci, con grossi reparti, concentravano gli sforzi di sfondamento, talora con successo, obbligando in tal caso i bersaglieri a contrattaccare per riconquistare gli eventuali capisaldi temporaneamente perduti. Il tutto al prezzo di perdite che, per alcuni reparti, hanno raggiunto il trenta per cento e che hanno richiesto l’invio al fronte di diversi complementi.
Impantanati!
L’avanzata è lenta e difficoltosa, si sprofonda nel fango, il primo nemico trovato dai nostri soldati. Le fasce gambiere si impregnano di terra e acqua e si fanno pesantissime. I muli e i cavalli faticano come dannati, schizzando melma a ogni passo; i loro zoccoli si squamano. L’artiglieria arranca; la pioggia rende fradicie le uniformi; sulle alture cade la prima neve; il vento non dà requie. I fiumi greci della zona scorrono impetuosi verso valle, mancano ricoveri degni di questo nome e, in zona di operazioni, le truppe devono sistemarsi all’aperto. Visconti Prasca telegrafa al duce annunciando inesistenti progressi dell’avanzata. Mussolini gli risponde lodandone l’operato e imponendogli di sbrigarsi. Facile a dirsi! Per mancanza di autocarri le nostre divisioni erano state addestrate a percorrere quaranta chilometri al giorno a piedi, ma il cibo, le munizioni, le medicine, non viaggiano a piedi. Gli alpini presagiscono il loro destino intuendo di avere un compito superiore alle proprie forze. Ancorché valorosi, sono pochi per sfilare attorno allo Smolika, impadronirsi del passo di Metzovo e, contemporaneamente, garantire il raccordo con le altre forze schierate ai loro fianchi. E con un tempo da lupi, per giunta.
Rumori di battaglia e grida disperate
La mattina del giorno 11 novembre la sveglia suona in anticipo, fu dato l’ordine di disfare le tende e preparare il fardello sulle biciclette. Ci diedero del del caffè e poi partenza… destinazione il fronte!
[…]
La strada era lunga. In una sola tappa raggiungemmo Elbasan dove passammo la notte. La mattina seguente partimmo per fare tappa a Librashd, per essere caricati l’indomani a bordo di camion, coi quali superammo Corizza, per fermarci a circa 20 km dal fronte. Appena i camion ebbero spento i motori, le deflagrazioni delle granate e delle armi presero il posto del rumore dei motori nelle nostre orecchie: era un rullio continuo di spari. Non appena fummo scesi dai mezzi, iniziammo subito l’avvicinamento verso il fronte, a piedi, perché le biciclette erano state lasciate a Librashd. Camminavamo in fila indiana, per squadre, sulla strada rotabile, dove si incontravano i mezzi che ritornavano dal fronte ed era una scena che si ripeteva. Era assai sconfortante vedere tanti veicoli, carichi di morti e feriti. Parlando con alcuni feriti o con chi tornava dalla zona di combattimento, apprendevamo che le cose al fronte andavano male, che i greci venivano avanti come formiche e che i nostri soldati erano pochi e stavano battendo in ritirata. Fra i tanti mezzi che incontrammo c’era un motocarro dei bersaglieri del nostro reggimento che portava a bordo un bersagliere morto e due feriti. Loro appartenevano alla compagnia motociclisti ed avevano avuto la fortuna di arrivare prima di noi al fronte e dunque la fortuna di morire prima di noi.
[…]
La nostra presa di posizione sui monti attorno a Corizza da parte del nostro reggimento era solo una manovra per far ritardare l’avanzata dell’esercito greco, che era in atto in modo massiccio. Infatti il giorno 17 novembre l’esercito greco arrivo in contatto con la nostra linea e la notte stessa saltarono nelle nostre posizioni, usando anche i mortai. Lo schieramento del fronte andava dai confini della Jugoslavia fino al mare Adriatico. Anche se noi eravamo stati in grado di fermare l’avanzata dei greci del nostro settore, lo stesso non era avvenuto in altri settori, dove la difesa era debole e i soldati avevano ripiegato, cosicché noi ci ritrovammo avanzati, in una specie di sacca, con il rischio di rimanere accerchiati!
[…]
La sera del 21 novembre, rimanemmo solo 25 bersaglieri per ogni battaglione, scelti fra quelli che non avevano nessun ruolo specifico nelle rispettive squadre. Ogni gruppo era al comando di un capitano. Ci siamo suddivisi per tutto il settore, un bersagliere ogni 50 metri, con l’ordine di sparare all’impazzata colpi di fucile e fare lanci di bombe a mano, per dimostrare la presenza dell’intero battaglione ancora in quel settore. L’ordine era di riunirci tutti dal capitano a mezzanotte.
[…]
Allo spuntare del sole avevamo raggiunto la nostra compagnia, che si trovava proprio in prossimità dello stradale e, dopo aver comunicato il nostro rientro, riprendemmo il nostro posto in squadra.
[…]
Il 22 novembre tutta la nostra compagnia si trovava ai margini della palude che si estende dal lago d’Ocrida alla città di Coriza.
[…]
Dato che noi eravamo all’interno del bosco, la nostra posizione venne segnalata ai conducenti della motocarrozzetta della cucina da una nostra pattuglia che sostava sulla strada. Infatti il mezzo lasciò lo stradale e venne a fermarsi a 50 metri dal limite del bosco, in uno spiazzo di terra nudo. Appena si fermò tutti prendemmo le nostre gavette e di corsa andammo a prelevare il rancio. Man mano che si prendeva la propria razione si ritornava nel bosco. Eravamo rimasti ancora in una decina attorno alla motocarrozzetta ad aspettare il turno, quando apparvero nel cielo cinque aerei disposti in formazione. Quando avemmo la certezza che erano apparecchi inglesi, scappammo a rifugiarci dentro il bosco, dove si trovavano tutti gli altri. Fu un errore. Perché, non appena all’interno del bosco, alzai gli occhi e vidi che un aereo si era staccato dalla formazione diretto sopra di noi. Io lo guardavo fisso e lo vidi sganciare quattro grosse bombe. Ero come paralizzato, mi trovavo alzato e vi rimasi: dopo un attimo il fragore delle bombe in picchiata sopra le nostre teste chiusi gli occhi e pensai che saremmo morti.
L’esplosione di quelle quattro bombe avvenne pressappoco contemporaneamente: una cadde proprio vicino a me e lo schianto fu terrificante; sopra di me caddero sassi e rami di quercia falciati dalle schegge. Dopo pochi istanti il terribile boato lascio il posto alle grida strazianti dei feriti. Aprii gli occhi, ma non riuscivo a muovere né le gambe né le braccia. Allora mi guardai addosso per vedere se ero insanguinato, ma, per mia fortuna, non avevo subito gravi ferite, ma solo qualche escoriazione provocata dai rami e dalle pietre e a poco a poco ripresi il controllo degli arti. Iniziai a guardarmi attorno per capire cosa fosse successo ai miei compagni: tre bersaglieri vicino a me erano morti, mentre uno ferito emetteva grida terrificanti. Un tale Baggio, che poco prima avevo notato seduto sopra un tronco caduto, ora giaceva a cavalcioni sul tronco, con il corpo spaccato, una metà da una parte del tronco e una metà dall’altra parte, unite da un brandello di carne e di pelle. Stringeva ancora fra le mani il manico della gavetta, piena di pastasciutta. Mentre un altro, ricordo che si chiamava Valsesia e che nel momento in cui abbiamo visto scendere le bombe si trovava al mio fianco, si era buttato per terra ed era stato colpito da una scheggia alla testa e anche lui era morto. L’altro morto si chiamava Intressalvi, mentre il caporale Fornara era rimasto ferito alla schiena da una scheggia che gli aveva spezzato la spina dorsale ed emetteva grida che facevano rabbrividire.
[…]
il giorno 26 novembre, all’alba, il battaglione partì allo scontro con i greci per fermarne l’avanzata o perlomeno per ritardarla.
[…]
Dopo lo scontro e appena sopraggiunta la notte, potemmo arretrare fino a Pogradec.
[…]
Il 27 e il 28 novembre rimanemmo appostati attorno al paese di Pogradec.
[…]
Il capitano ci disse che il comando generale stava prendendo in considerazione la prospettiva di costituire una linea difensiva lungo questa catena di monti e che, al nostro battaglione, era stato assegnato questo primo tratto a partire dal lago in su. Questo tratto affidato alla nostra difesa era molto importante, geograficamente parlando, e noi eravamo stati chiamati a difenderlo. Probabilmente era lì che avremmo passato l’inverno e quindi era necessario che, una volta avuto assegnato il tratto da difendere, ognuno di noi avrebbe dovuto lavorare per costruire dei camminamenti, con postazioni e tende stabili…
Costruii la mia tenda dove passare il tempo durante i momenti in cui non ero di guardia nelle fredde notti. Il terreno era montuoso, apparteneva al massiccio del Monte Kalase.
Maggiore Bernardino Grimaldi, comandante del XXXI battaglione, decorato con medaglia d’argento
Motivazione: Grimaldi Bernardino, fu Luigi e di Cricelli Giuseppina, da Roma, maggiore del 40 reggimento bersaglieri. Comandante di un battaglione bersaglieri incaricato di proteggere il ripiegamento di altre truppe, pur essendo il suo reparto decimato dal tiro dell’artiglieria nemica ed attaccato da soverchianti forze avversarie, resistette sul posto fino all’ora indicatagli. Accerchiato dall’avversario, si apriva coi propri uomini un varco, assaltando con bombe a mano. Pur essendo ammalato di pleurite, combatteva strenuamente, primo fra i primi, alla testa del suo battaglione, infondendo col suo eroico comportamento e con la sua forza magnifica dell’esempio, fiducia, spirito ed ardore nei suoi dipendenti. Quota 1464 di Drenova, fronte greco 19-21 novembre 1940.
Approfondimenti
Bibliografia – Fonti (in revisione)