A differenza che nella Battaglia delle Alpi, ove il nemico sparava cannonate e uccideva senza mai farsi vedere (anche la rapida incursione con armi leggere di una pattuglia francese al campo del XXVI battaglione avvenne di notte), qui i greci si fanno vedere e sentire. Capiamo da questi frangenti l’importanza dell’addestramento militare, fisico e mentale.
Appena dopo lo sbarco il maggiore Ferrari lascia il comando del trentunesimo battaglione che viene assunto dal maggiore Bernardino Grimaldi […]
Il 10 novembre il colonnello comandante è invitato nel pomeriggio a recarsi a Tirana, al Comando Superiore Truppe Albania, per ricevere ordini ed istruzioni. Il tenente Bologna ed io lo accompagniamo….
Mentre il colonnello si presenta rapporto, noi attendiamo in cortile più di un’ora aspettiamo punto alla fine ecco il colonnello Scognamiglio. Fuori ormai buio, ma ancor più buio è il volto del colonnello. Direi che sono evidenti segni di una collera mal repressa. Ci spiega. Il rapporto, al quale partecipavano il comandante delle forze armate italiane Albania e dei comandanti di alcune grandi unità dislocate nel territorio si svolge alla presenza di S.A.R. il Principe di Piemonte.
La situazione militare, contrariamente a quanto si poteva pensare leggendo i giornali, è molto seria ed occorre provvedere al più presto. Tenuto conto delle poche strade esistenti, il nemico esercita la sua pressione in gran parte sul fronte tenuto dalla 9a armata ove, se riuscisse a sfondare e risalire alla strada che dal confine porta a Erseke, Corizza ed Elbasan, potrebbe raggiungere anche Tirana ed aggirare l’intero schieramento del nostro fronte, avendo inoltre poi, per buon tratto, la sua ala destra disimpegnata, passando alla strada suddetta proprio rasente al confine jugoslavo (Lago d’Ocrida). Bisogna quindi disporre affinché importanti aliquote di truppe si trovino su quel tratto di fronte al più presto possibile, al fine di sbarrare il passo al nemico e servire di rinforzo all’insufficiente massa di uomini già in azione su quel settore, nonché permettere l’afflusso di ulteriori reparti e respingere successivamente i greci nel loro territorio.
I bersaglieri del 4° devono trovarsi entro 48 ore a Erseke, a fronteggiare le infiltrazioni del nemico su quel lato. Comprendiamo ora la collera del colonnello, forse non tanto dovuto all’evidente incongruenza dell’ordine, dettato naturalmente dalla preoccupante situazione, quanto dall’amarezza di dover ammettere che i bersaglieri del 4° non potranno con la bicicletta affardellata eseguire interamente l’ordine ricevuto. Se pensiamo agli assi del ciclismo che in tempo di pace partecipa alla d’Italia, potremmo sorridere di questa apprensione, ma se consideriamo invece che occorre fronteggiare un nemico per raggiungere il quale i bersaglieri dovranno percorrere più di 280 km, portando con sé l’intero equipaggiamento ed armamento individuale, ed usando solo le tanto gloriose biciclette militari a gomme piene ruota fissa, e pesanti solo come i bersaglieri sanno, braccando poi su strade montagnose quasi sempre a fondo naturale, forse ci convinciamo che il tempo assegnato è proprio un po’ pochino. In ogni caso i bersaglieri del 4° faranno tutto quanto sarà possibile a marce forzate per raggiungere l’obiettivo. Domani, 11 novembre, partenza.
I bersaglieri effettuano così il giorno seguente la prima tappa del trasferimento da Durazzo a Elbasan ono circa 80 km. Il primo tratto è abbastanza agevole, ma poi, appena usciti da Tirana, bisogna superare una catena di colline abbastanza alte, su una strada che per oltre 20 km sale continuamente, con tratti a volte ripidi, per cui occorre spingere le biciclette a mano. Con il termine della discesa termina anche l’asfalto e comincia il fondo naturale, duro e sassoso se il tempo è asciutto, ma che si trasforma in una specie in una spessa e viscida poltiglia fangosa quando piove. A sera si è a Elbasan. La marcia ha largamente provati i bersaglieri, date anche le condizioni della strada ed il peso del materiale che ognuno porta con sé. Tuttavia, essendo l’11 novembre festa nazionale, il reggimento, al suo arrivo a Elbasan, deve anche sfilare di corsa, bicicletta alla mano, davanti alle autorità presenti. Questo supplemento di fatica, al termine di una giornata di marcia, anziché fiaccare il morale degli uomini, lo eleva, perché si sono resi conto di quante energie essi posseggano. Poi riposo. domani si prosegue.
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A metà circa del percorso giungono invece da Elbasan alcuni autocarri, mandati dal comando superiore, per caricare il più possibile i bersaglieri e portarli più celermente sulla linea del fronte, ove la situazione si fa più allarmante. È il XXXI battaglione che inizia il trasferimento dei suoi reparti su autocarri, mentre gli altri bersaglieri proseguono in bicicletta la marcia.
La mattina del giorno 11 novembre la sveglia suona in anticipo, fu dato l’ordine di disfare le tende e preparare il fardello sulle biciclette. Ci diedero del del caffè e poi partenza… destinazione il fronte!
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La strada era lunga. In una sola tappa raggiungemmo Elbasan dove passammo la notte. La mattina seguente partimmo per fare tappa a Librashd, per essere caricati l’indomani a bordo di camion, coi quali superammo Corizza, per fermarci a circa 20 km dal fronte. Appena i camion ebbero spento i motori, le deflagrazioni delle granate e delle armi presero il posto del rumore dei motori nelle nostre orecchie: era un rullio continuo di spari. Non appena fummo scesi dai mezzi, iniziammo subito l’avvicinamento verso il fronte, a piedi, perché le biciclette erano state lasciate a Librashd. Camminavamo in fila indiana, per squadre, sulla strada rotabile, dove si incontravano i mezzi che ritornavano dal fronte ed era una scena che si ripeteva. Era assai sconfortante vedere tanti veicoli, carichi di morti e feriti. Parlando con alcuni feriti o con chi tornava dalla zona di combattimento, apprendevamo che le cose al fronte andavano male, che i greci venivano avanti come formiche e che i nostri soldati erano pochi e stavano battendo in ritirata. Fra i tanti mezzi che incontrammo c’era un motocarro dei bersaglieri del nostro reggimento che portava a bordo un bersagliere morto e due feriti. Loro appartenevano alla compagnia motociclisti ed avevano avuto la fortuna di arrivare prima di noi al fronte e dunque la fortuna di morire prima di noi.
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La nostra presa di posizione sui monti attorno a Corizza da parte del nostro reggimento era solo una manovra per far ritardare l’avanzata dell’esercito greco, che era in atto in modo massiccio. Infatti il giorno 17 novembre l’esercito greco arrivo in contatto con la nostra linea e la notte stessa saltarono nelle nostre posizioni, usando anche i mortai. Lo schieramento del fronte andava dai confini della Jugoslavia fino al mare Adriatico. Anche se noi eravamo stati in grado di fermare l’avanzata dei greci del nostro settore, lo stesso non era avvenuto in altri settori, dove la difesa era debole e i soldati avevano ripiegato, cosicché noi ci ritrovammo avanzati, in una specie di sacca, con il rischio di rimanere accerchiati!
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La sera del 21 novembre, rimanemmo solo 25 bersaglieri per ogni battaglione, scelti fra quelli che non avevano nessun ruolo specifico nelle rispettive squadre. Ogni gruppo era al comando di un capitano. Ci siamo suddivisi per tutto il settore, un bersagliere ogni 50 metri, con l’ordine di sparare all’impazzata colpi di fucile e fare lanci di bombe a mano, per dimostrare la presenza dell’intero battaglione ancora in quel settore. L’ordine era di riunirci tutti dal capitano a mezzanotte.
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Allo spuntare del sole avevamo raggiunto la nostra compagnia, che si trovava proprio in prossimità dello stradale e, dopo aver comunicato il nostro rientro, riprendemmo il nostro posto in squadra.
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Il 22 novembre tutta la nostra compagnia si trovava ai margini della palude che si estende dal lago d’Ocrida alla città di Coriza.
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Dato che noi eravamo all’interno del bosco, la nostra posizione venne segnalata ai conducenti della motocarrozzetta della cucina da una nostra pattuglia che sostava sulla strada. Infatti il mezzo lasciò lo stradale e venne a fermarsi a 50 metri dal limite del bosco, in uno spiazzo di terra nudo. Appena si fermò tutti prendemmo le nostre gavette e di corsa andammo a prelevare il rancio. Man mano che si prendeva la propria razione si ritornava nel bosco. Eravamo rimasti ancora in una decina attorno alla motocarrozzetta ad aspettare il turno, quando apparvero nel cielo cinque aerei disposti in formazione. Quando avemmo la certezza che erano apparecchi inglesi, scappammo a rifugiarci dentro il bosco, dove si trovavano tutti gli altri. Fu un errore. Perché, non appena all’interno del bosco, alzai gli occhi e vidi che un aereo si era staccato dalla formazione diretto sopra di noi. Io lo guardavo fisso e lo vidi sganciare quattro grosse bombe. Ero come paralizzato, mi trovavo alzato e vi rimasi: dopo un attimo il fragore delle bombe in picchiata sopra le nostre teste chiusi gli occhi e pensai che saremmo morti.
L’esplosione di quelle quattro bombe avvenne pressappoco contemporaneamente: una cadde proprio vicino a me e lo schianto fu terrificante; sopra di me caddero sassi e rami di quercia falciati dalle schegge. Dopo pochi istanti il terribile boato lascio il posto alle grida strazianti dei feriti. Aprii gli occhi, ma non riuscivo a muovere né le gambe né le braccia. Allora mi guardai addosso per vedere se ero insanguinato, ma, per mia fortuna, non avevo subito gravi ferite, ma solo qualche escoriazione provocata dai rami e dalle pietre e a poco a poco ripresi il controllo degli arti. Iniziai a guardarmi attorno per capire cosa fosse successo ai miei compagni: tre bersaglieri vicino a me erano morti, mentre uno ferito emetteva grida terrificanti. Un tale Baggio, che poco prima avevo notato seduto sopra un tronco caduto, ora giaceva a cavalcioni sul tronco, con il corpo spaccato, una metà da una parte del tronco e una metà dall’altra parte, unite da un brandello di carne e di pelle. Stringeva ancora fra le mani il manico della gavetta, piena di pastasciutta. Mentre un altro, ricordo che si chiamava Valsesia e che nel momento in cui abbiamo visto scendere le bombe si trovava al mio fianco, si era buttato per terra ed era stato colpito da una scheggia alla testa e anche lui era morto. L’altro morto si chiamava Intressalvi, mentre il caporale Fornara era rimasto ferito alla schiena da una scheggia che gli aveva spezzato la spina dorsale ed emetteva grida che facevano rabbrividire.
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il giorno 26 novembre, all’alba, il battaglione partì allo scontro con i greci per fermarne l’avanzata o perlomeno per ritardarla.
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Dopo lo scontro e appena sopraggiunta la notte, potemmo arretrare fino a Pogradec.
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Il 27 e il 28 novembre rimanemmo appostati attorno al paese di Pogradec.
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Il capitano ci disse che il comando generale stava prendendo in considerazione la prospettiva di costituire una linea difensiva lungo questa catena di monti e che, al nostro battaglione, era stato assegnato questo primo tratto a partire dal lago in su. Questo tratto affidato alla nostra difesa era molto importante, geograficamente parlando, e noi eravamo stati chiamati a difenderlo. Probabilmente era lì che avremmo passato l’inverno e quindi era necessario che, una volta avuto assegnato il tratto da difendere, ognuno di noi avrebbe dovuto lavorare per costruire dei camminamenti, con postazioni e tende stabili…
Costruii la mia tenda dove passare il tempo durante i momenti in cui non ero di guardia nelle fredde notti. Il terreno era montuoso, apparteneva al massiccio del Monte Kalase. Â
Nell’immagine riportata sopra sono rappresentati gli schieramenti delle divisioni dei due eserciti e la stabilizzazione dei fronti in tre diverse fasi (molto breve nelle prime due, pressoché definitiva la terza). Il 4° reggimento bersaglieri, dopo il trasferimento da Durazzo, si spinge sino alle alture nella zona di Erseke, dove era in atto uno sfondamento da parte dei greci. Si espone particolarmente in questa operazione il XXXI battaglione, che, inviato in avanti in rinforzo al 1° reggimento bersaglieri (VIII corpo d’armata, divisione Bari), tiene la posizione sotto tiro nemico fino all’ora ordinata e sfugge all’accerchiamento solo a duro prezzo, prima di ricongiugersi con il resto del reggimneto a Erseke. Secondo il rapporto del colonnello comandante ci furono: 10 morti, 101 feriti, di cui 11 ufficiali e 20 dispersi. Secondo altre fonti, invece, compresi il diario di Quaglino e la testimonianza di Dante (“… era rimasto meno di un terzo…”). Nell’operazione si distinsero il comandante di battaglione, maggiore Bernardino Grimaldi e il sottotenente medico Loris Annibaldi, al quale, decorato di medaglia d’oro, è stato intitolato l’Ospedale militare di Baggio a Milano.
Alla fine del ripiegamento, il reparto di Dante si attesta sopra Pogredec, all’estrema sinistra dello schieramento italiano e della divisione Venezia..
L’avanzata è lenta e difficoltosa, si sprofonda nel fango, il primo nemico trovato dai nostri soldati. Le fasce gambiere si impregnano di terra e acqua e si fanno pesantissime. I muli e i cavalli faticano come dannati, schizzando melma a ogni passo; i loro zoccoli si squamano. L’artiglieria arranca; la pioggia rende fradicie le uniformi; sulle alture cade la prima neve; il vento non dà requie. I fiumi greci della zona scorrono impetuosi verso valle, mancano ricoveri degni di questo nome e, in zona di operazioni, le truppe devono sistemarsi all’aperto. Visconti Prasca telegrafa al duce annunciando inesistenti progressi dell’avanzata. Mussolini gli risponde lodandone l’operato e imponendogli di sbrigarsi. Facile a dirsi! Per mancanza di autocarri le nostre divisioni erano state addestrate a percorrere quaranta chilometri al giorno a piedi, ma il cibo, le munizioni, le medicine, non viaggiano a piedi. Gli alpini presagiscono il loro destino intuendo di avere un compito superiore alle proprie forze. Ancorché valorosi, sono pochi per sfilare attorno allo Smolika, impadronirsi del passo di Metzovo e, contemporaneamente, garantire il raccordo con le altre forze schierate ai loro fianchi. E con un tempo da lupi, per giunta.
(Stralcio da: https://storiestoria.wordpress.com/2011/06/29/la-guerra-di-grecia-1940-41/)
Retorica fascista a parte, una volta ancora si conferma l’assoluta mancanza di predisposizione per le guerre offensive dell’esercito italiano. Partendo dai vertici nelle fasi di pianificazione e fino all’ultimo dei soldati nel combattimento, l’Italia ha sempre dato il meglio di sé nelle battaglie difensive con successivo contrattacco, mentre le avanzate improvvide hanno sempre fatto danni (Caporetto-Piave-Vittorio Veneto) ne sono lo storico emblema. Anche in Albania, dopo la ritirata e un primo tentativo di arrestare l’avanzata greca da posizioni precarie, una nuova e credibile linea difensiva viene approntata e da quella non si passerà più, con il sacrificio e la tenacia dell’intero schieramento. Anche nelle battaglie sostenute dai bersaglieri del 4° reggimento, nel suo relativo piccolo e pur facendo parte di una specialità votata allo slancio e all’attacco, ne abbiamo avuto un esempio, con innumerevoli episodi, come in molti altri settori del fronte per altro, in quanto, fallita l’assurda avanzata in inferiorità numerica, appena hanno potuto smettere di voltare le spalle ai nemici, essi si sono asserragliati sulle montagne e non sono più stati scalzati dalla linea predisposta al termine del ripiegamento. Il tutto, si badi bene, sempre disposti in linea e quindi ancora in inferiorità , nei punti dove invece i greci, con grossi reparti, concentravano gli sforzi di sfondamento, talora con successo, obbligando in tal caso i bersaglieri a contrattaccare per riconquistare gli eventuali capisaldi temporaneamente perduti. Il tutto al prezzo di perdite che, per alcuni reparti, hanno raggiunto il trenta per cento e che hanno richiesto l’invio al fronte di diversi complementi.
Comandante del XXXI battaglione, decorato con medaglia d’argento
Motivazione: Grimaldi Bernardino, fu Luigi e di Cricelli Giuseppina, da Roma, maggiore del 40 reggimento bersaglieri. Comandante di un battaglione bersaglieri incaricato di proteggere il ripiegamento di altre truppe, pur essendo il suo reparto decimato dal tiro dell’artiglieria nemica ed attaccato da soverchianti forze avversarie, resistette sul posto fino all’ora indicatagli. Accerchiato dall’avversario, si apriva coi propri uomini un varco, assaltando con bombe a mano. Pur essendo ammalato di pleurite, combatteva strenuamente, primo fra i primi, alla testa del suo battaglione, infondendo col suo eroico comportamento e con la sua forza magnifica dell’esempio, fiducia, spirito ed ardore nei suoi dipendenti. Quota 1464 di Drenova, fronte greco 19-21 novembre 1940.
Nasce nella cittadina di Offida nel marzo del 1912 e dopo la maturità classica, su esempio del padre Giovanni, si iscrive alla facoltà di Medicina a Torino. Lavorò come assistente presso l’Istituto di Urologia laureandosi brillantemente nel 1937 e nell’aprile del 1938, fu ammesso a frequentare la Scuola di Applicazione di Sanità a Firenze come allievo ufficiale medico di complemento, da qui uscì in qualità di aspirante ufficiale dopo soli quattro mesi.
Assegnato al 2° Reggimento Artiglieria da campagna, fu promosso sottotenente e collocato in congedo nel gennaio del 1939.
Richiamato in servizio pochi mesi dopo, viene assegnato al 53 Reggimento Fanteria “Umbria” dove rimane fino al febbraio del 1940, quando viene trasferito al 4 Reggimento Bersaglieri, dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940, partecipò alle operazioni sul fronte occidentale contro le truppe francesi. Con l’inizio della campagna di Grecia il suo reggimento sbarca in Albania, a Durazzo venendo nuovamente riassegnato e questa volta al XXXI Battaglione Bersaglieri, partecipando attivamente alle azioni militari.
Nel mese di novembre si distinse nella zona di Erseke nel sud dell’Albania aiutando a curare ed a sgombrare i feriti dalle prime linee, di conseguenza esponendosi a rischi personali infatti rimase gravemente ferito per medicare un bersagliere e rifiutando la resa, continuò a difendersi fino alla morte dai nemici anche con il lancio di bombe a mano.
Per onorarne la memoria nel 1953 gli fu decretata la concessione della Medaglia d’Oro al Valore Militare, sempre in quell’anno gli venne intitolato il Centro Ospedaliero di Milano mentre ad Offida più tardi anche gli saranno intitolati una via ed il locale ospedale. Â
www.movm.it/decorato/annibaldi-loris/ –(www.habitualtourist.com/loris_annibaldi(offida)
Testo tratto dal diario del bers. Luciano Scalone
Testo tratto dal diario del ten. Sergio Quaglino