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I DIARI DI DANTE

QUADERNO II
Periodo narrato compreso tra l’agosto 1940 e l'aprile 1941

CONTESTO ED APPROFONDIMENTI

Capitolo 7 - VERSO LA GRECIA E LA "MARCIA AL NEMICO"

7

7.1 - La tensione si allenta?


La tensione con la Jugoslavia pare attenuarsi comincia così a pensare ad un possibile rientro in Piemonte. Radio marmitta dati lettura per certa la notizia del ritorno a Torino entro breve tempo.

I giorni passano, ma è solo al principio di ottobre che, ad un rapporto ufficiali tenuto dal generale comandante il Raggruppamento Celere ai comandanti delle singole unità che lo compongono, e cioè un reggimento di cavalleria, un reggimento carristi e il 4° bersaglieri, pare sia stato ufficialmente comunicata l’imminente sostituzione del nostro reggimento, che rientra in sede sostituito con altro reparto della stessa specialità. Invece, il 15 ottobre, al pomeriggio…
Siamo come ogni giorno a quest’ora a rapporto nell’ufficio del colonnello comandante. È da poco cominciato l’esame degli avvenimenti del giorno, quando viene bussato alla porta. L’aiutante maggiore va a sentire cosa ci sia di così urgente l’importante. È giunto un portaordini del comando Raggruppamento Celere con la solita busta gialla. Urgentissimo e riservato. Il colonnello apre il plico, che certamente reca il tanto atteso ordine di spostamento e legge. Lo vediamo scurirsi in volto e farsi serio serio.
«Signori», dice, «l’ordine di rientro è sospeso. Partiamo fra qualche giorno per altro scacchiere di operazioni, che qui è designato soltanto con tre lettere: O.M.T.»
Inutile descrivere l’effetto di tale notizia, ma siamo in guerra e gli ordini non si commentano, anche se sono parecchio diversi da quelli che si speravano. Ed ora dove si va? OMT […] Tunisia? Giudicheremo dall’equipaggiamento e dal vestiario che ci verrà assegnato. Fervono intanto preparativi per il nuovo trasferimento del reggimento.

7.2 - Tra la vendemmia e la visita del duce


A San Daniele del Carso siamo stati fino al 19 settembre 1940. Quella giornata, dopo aver fatto la disinfestazione a tutto il vestiario, ci toccò partire per Monte Spina, che si trova a 10 km da San Daniele del Carso. Lì c’erano molti vigneti e proprio in quei giorni si svolgeva la vendemmia. Tutti i giorni venivano dei contadini dal nostro capitano a chiedere di mandare i bersaglieri ad aiutarli a raccogliere l’uva ed il capitano non esitava a lasciar andare chi voleva andare.

Nei giorni 21, 22 e 23 settembre tutto il battaglione partecipava a manovre di guerra con il corpo d’armata al quale eravamo aggregati. […]
Era in programma la visita di Mussolini alla seconda armata, attestata a ridosso della frontiera italo-jugoslava e il giorno 11 di ottobre si andò a Montenero per la sfilata. […]
Ad un certo punto sbucò il 4o reggimento bersaglieri, con in testa il colonnello Scognamiglio. Una tromba suonò tre volte il segnale di allarmi e iniziò la corsa di tutti i bersaglieri del reggimento. […]
Giunti al posto assegnatoci, ci schierammo per compagnia e il colonnello presentò il reggimento al duce, che rispose al saluto: «Questo è il più bel reggimento d’Italia»!

Nè Quaglino nè il papà fanno cenno alla visita di Mussolini, nonostante l’elogio del duce al 4° reggimento bersaglieri.

7.3 - O.M.T.


A Jesi fermata definitiva punto: è il 21 ottobre. […] Giungono anche alcuni ufficiali assegnati al reggimento per il completamento dei quadri. Molte famiglie di ufficiali e bersaglieri giungono a Jesi per salutare i loro cari prima della loro partenza verso questa ignota destinazione.

Dai giornali e dalla radio abbiamo intanto notizie di aggressioni da parte di elementi greci a patrioti albanesi lungo la frontiera che divide la Grecia dall’Albania. Il 28 ottobre apprendiamo poi con trepidazione come l’Italia abbia ritenuto opportuno di proteggere con le armi gli interessi italiani e albanesi e come sia perciò entrata in guerra con la Grecia. Comprendiamo finalmente il significato delle lettere OMT: cioè “Operazione Militare Tirana”. Beh, dopotutto meglio l’Albania che la Tunisia. Perlomeno è più a portata di mano e più vicina alle nostre case.

Ancora la stessa domanda e la stessa riflessione, che si aggancia anche sin troppo bene alla disinformazione, specie a scopo “bellico” ancora in auge ai nostri giorni. Ma era così difficile, non dubitando della buona fede e dell’intelligenza di Quaglino e pur nel contesto disinformativo del regime, dubitare della credibilità delle provazioni greche? Metaxas era un dittatore di ispirazione fascista, temeva l’aggressione italiana, l’alleato inglese aveva altro a cui pensare e… provoca?
Poche righe sotto, nello stesso solco interpretativo, l’Italia, secondo Quaglino, andrebbe a tutelare i propri interessi e quelli albanesi: la storia, ben presto, avrebbe documentato l’assenza di una vera motivazione strategica dietro la decisione di attaccare la Grecia.

Vedere sulla questione: LA GUERRA FASCISTA – di Gianni Oliva pagine 90-98 . Le Scie – Mondadori 2020

7.4 - Una festa nazionale

Se un italiano si trovasse in Grecia il 28 ottobre, noterebbe che è un giorno di festa, senza sapere, probabilmente, di una certa “responsabilità storica” di quella ricorrenza.  Ogni anno, infatti, quello è il giorno in cui si festeggia l’indipendenza nazionale e si celebra il “Grande No” (μεγάλο Όχι), in commemorazione del rifiuto opposto dal popolo ellenico all’occupazione della Grecia da parte delle truppe italiane nel 1940. Questo è quello che rimane vivo oggi, memoria e dolore a parte, di quella sciagurata guerra italiana.
Tutto inizia invece quando, non sono ancora le sei del mattino di quel giorno,  quando le truppe italiane entrano in Grecia. Piove e fa freddo.  Gli aerei  non possono volare per appoggiare l’avanzata delle fanterie o per colpire obiettivi strategici. Insomma, si comincia male. Le colonne di testa italiane avanzano in territorio greco come dita sottili protese nelle valli, il tempo si mette ancora al peggio, si chiede di rinviare l’ invasione, ma da Roma rispondono che il tempo è cattivo anche per i greci: con migliaia di soldati che stanno soffrendo e morendo, un’affermazione così stupida è raccapricciante. La differenza è che noi dobbiamo avanzare, mentre i greci possono anche aspettare, al sicuro nelle loro postazioni preparate per tempo e con i rifornimenti efficienti e vicini.

Mussolini, scopiazzando quello inviato da Hitler qualche mese prima alla Norvegia e alla Danimarca, invia il suo ultimatum alla Grecia, trascurando però un particolare: dietro il primo c’erano un piano preciso e un esercito nel pieno della sua potenza, mentre, dietro l’ultimatum di Roma, c’era tutt’altro: c’erano un desiderio ambizioso e una vagheggiante illusione, senza la concreta possibilità di ottenere risultati positivi e un esercito che, già poco moderno e meccanizzato, pativa ancora le fatiche e le spese delle guerre sostenute in Etiopia e in Spagna. Peggio, fino al limite del credibile: terminata la campagna di Francia, si smobilita, in quanto non ci sono guerre in vista, i soldati sono attesi dalle loro famiglie, le spese di mobilitazione sono tante. Anche nei nostri diari percepiamo il paradosso: a fine settembre il reggimento è al campo a San Michele del Carso e si prepara per tornare in sede a Torino, preludio necessario per un eventuale ritorno a casa. Il colonnello Scognamiglio, a metà ottobre, va al comando per ricevere la buona notizia e… invece si parte per Bari.
Un vecchio piano per l’invasione della Grecia in realtà esiste, ma, prevedendo esso l’impiego di una ventina di divisioni, viene rimesso negli scaffali, preferendo ad esso quello meno impegnativo ed ottimistico del generale Visconti Prasca, cui ne basterebbero meno della metà. Ad una manovra preordinata e organica si preferisce un colpo di mano di tipo coloniale, che, una volta messo in fuga l’esercito greco, ci avrebbe portato ad Atene. Il motto era quindi: partiamo, vediamo e speriamo.

Nessuno si oppone, pare a tutti che debba trattarsi di una passeggiata senza combattere, proprio quello che il duce vuole  sentirsi dire. Marina a Aviazione non sono consultate, si prendono per buone false informazioni e via: la bibliografia su punto è praticamente illimitata, univoca e illuminante, c’è l’imbarazzo della scelta.
Gli unici contrari sono invece i tedeschi. Pensano al loro Barbarossa e non vogliono casini in giro. Mussolini lo sa, ma l’Italia è una grande potenza e il Mediterraneo è suo e può farci ciò che vuole, anche una guerra parallela. Anzi, occorre tenere i tedeschi  e i greci all’oscuro di tutto fino all’ultimo momento. Quando Hitler lo saprà, la genialata era già stata fatta e molto dopo egli dirà chiaramente che, se non ci fosse stata la bravata di Mussolini in Grecia, la Germania avrebbe invaso l’Unione Sovietica un mese prima e avrebbe vinto. Se questo era il punto di vista tedesco, un Mussolini sfuggito ai partigiani e messo sotto processo a Milano, avrebbe potuto addurre, a sua discolpa o attenuante, quella di aver favorito, quindi, la sconfitta e la caduta del Reich. I greci invece sanno tutto, i maldestri incidenti provocati da Ciano glielo confermano e così ci aspettano al varco. 

7.7 - Nemico cercasi

Il regno di Jugoslavia, subito dopo lo scoppio della guerra, si era dichiarato neutrale. Ma, mentre la maggioranza della popolazione non nascondeva un certo favore verso Inghilterra e Francia, il governo era costretto per contro a tener conto della vicinanza della Germania e, una volta che fu entrata nel conflitto, anche dell’ancor più vicina Italia, con la quale erano sempre accese la questione dalmata e tutte le problematiche relative ai territori di confine, con le note implicazioni etnico-linguistiche mai sopite. La Germania accettava di buon grado la neutralità di Belgrado, in quanto bilanciata da una maggior accondiscendenza economico-logistica, che, a dispetto di Londra e Parigi, consentiva a Berlino di ricevere rifornimenti essenziali, in particolare, via Danubio, il petrolio rumeno di Ploiesti. Hitler quindi si oppose alla proposta di Mussolini di attaccare la Jugoslavia e questo veto spinse il dittatore italiano verso un’alternativa immediata per l’espansione nei Balcani: l’aggressione alla Grecia. Del resto, le testimonianze dirette che arrivano dai nostri testimoni del 4° reggimento, confermano a livello operativo le incertezze strategiche: prima lo spostamento dal fronte occidentale verso il confine orientale, pronti per invadere la Jugoslavia; poi non se ne fa niente perché il “capo” ha detto “nein” e quindi si torna a Torino; poi alla fine, si attacca la Grecia, così l’amico Adolf “saprà dai giornali che ho occupato la Grecia”. (*) Il tutto nel solco della strategia del regime: “intanto entriamo in guerra, poi si vedrà”.

Quaglino rileva le cause del contrordine: dapprima qualcosa non lo convince nei Balcani, poi registra un’attenuazione della tensione con la Jugoslavia. Ma allora le informazioni erano queste. Ma, mi domando per la seconda volta, nel 1985, quando ha  scritto il suo (per me) provvidenziale e bellissimo libro, una revisione storica del contesto?

(*) – v. Cervi e Rochat nella bibliografia.

7.8 - La traversata


La sera del 7 novembre ci imbarcammo su una nave e, non appena completato il carico, l’intero convoglio si mosse lentamente. La notte passò silenziosa: si sentiva solo il fruscio delle acque ed il rombo dei motori. Il convoglio comprendeva ventitré navi da trasporto, un incrociatore e tre cacciatorpediniere di scorta. Tutti i soldati sulle navi dovevano stare in mutande e con il relativo salvagente indossato. La destinazione era Durazzo, in Albania. Però il convoglio prima fece rotta direttamente per lo specchio di mare di fronte a Brindisi, dove all’alba dell’8 novembre cominciò la traversata per Durazzo. Verso la sera avvistammo la costa albanese.

Nel trafiletto sopra, Scalone aggiunge informazioni interessanti sulla traversata: il convoglio è numeroso, quindi il contingente comprende altri reparti, oltre al 4°, e viaggia sotto scorta. Ciò risponde ad un interrogativo che mi si era persentato in merito, anche mi sarei aspettato una protezione aerea, piuttosto che navale, visto che in zona era molta attiva la R.A.F . Curioso, ma assolutamente comprensibile, l’obbligo di restare in mutande col salvagente indossato. Ecco un particolare che nessun regista, in nessuno dei mille film di guerra visti, mi ha mai mostrato.

7.9 - Gli effettivi del reggimento al fronte greco


Il 4° reggimento bersaglieri all’inizio delle operazioni in Grecia (7 novembre 1940)

Comandante: colonnello Guglielmo Scognamiglio

– XXVI battaglione – comandante maggiore Mennuni
– XXIX battaglione – comandante maggiore De Martino
– XXXI battaglione – comandante maggiore Ferrari

– 12a Compagnia motociclisti  – c.te capitano Viola
– Compagnia comando reggimentale – c.te tenente Scuderi

Ogni battaglione è composto da:

– 3 compagnie fucilieri
– 1 compagnia mitraglieri
– 1 compagnia comando btg.

Forza complessiva: circa 2.000 uomini

Armamento:

– Moschetto Carcano mod. 91/38 TS
– Fucili mitragliatori Breda mod. 30
– Mitragliatrici Breda mod 37
– Bombe a mano SRCM Mod. 35

Autodrappello:

Vedere riquadro sotto.

Appena dopo lo sbarco il maggiore Ferrari lascia il comando del trentunesimo battaglione che viene assunto dal maggiore Bernardino Grimaldi.

 

7.10 - L'autodrappello


Composizione dell’autodrappello

Fiat 15 Ter – 1911 (uno)
SPA 25C/10
(alcuni)
Fiat-SPA 38R
(alcuni)
Fiat 18 BL – 1915
  (due)
Fiat 626 (uno)
Lancia 3Ro
(uno)
Carro officina (uno)

Attraverso una rapida ricerca, le sigle esposte consentiranno facilmente di verificare quali vetusti automezzi, risalenti anche alla guerra 1915-18, siano stati in dotazione al reggimento, seppure con qualche eccezione…

7.11 - Lo sbarco in Albania


Oggi pomeriggio, 7 novembre 1940 ci siamo imbarcati per l’Albania. Tre piroscafi, fra cui ricordo l’Armida, hanno accolto i bersaglieri con il loro equipaggiamento e le biciclette. L’autodrappello partirà più tardi, appena affluite le prime truppe in Albania. Fino a notte inoltrata rimaniamo in porto. Proibito fumare, soprattutto in coperta, poi sbarchiamo. Pensiamo a casa ed a quali eventi possiamo ora andare incontro. Da oggi siamo considerati nuovamente in zona di operazioni.

La situazione militare in Albania, a detta dei giornali, non è preoccupante: la nostra sarà quasi certamente una “passeggiata militare” sino ad Atene. L’esercito greco non è in grado, per scarsità di uomini e di mezzi, per deficienza d’addestramento, eccetera eccetera, di opporre una seria resistenza alla nostra penetrazione in territorio ellenico, ove la popolazione non attende altro che l’arrivo degli italiani eccetera eccetera. Molto ottimistico il quadro; tuttavia vedremo di persona come stanno le cose.

Cadono le prime certezzeQuaglino dà segni di ravvedimento: nella sua narrazione si fa adesso spazio la critica e iniziano a cedere gli effetti della propaganda fascista.

7.12 - Galleria
La sfilata del reggimento a Jesi, domenica 27 ottobre 1940. In basso, a destra, a fianco della fanfara sfila anche Bramans, il cane conosciuto nel Quaderno I.
La strada della sfilata oggi (viale Garibaldi), in una inquadratura di Google sovrapponibile a quella del 1940.

Attreverso le cartoline riprodotte qui di seguito, il papà, nel dare notizie di sè alla sorella, fa un racconto fotografico del suo viaggio in treno lungo l’Adriatico, da Trieste a Bari, prima di imbarcarsi per Durazzo.
Purtroppo, i francobolli hanno sono stati oggetto del mio vandalico e infantile accanimento nel volerli staccare.

Questa cartolina è stata spedita da Foggia il giorno 8 novembre 1940. Evidentemente era stata acquaitata in precedenza a Trieste e il papà provvede a cancellare la didascalia...
Un'immagine della Nave Italia (Wikipedia), impiegata per la traversata da Bari a Durazzo.

Testo tratto dal diario del bers. Luciano Scalone

Testo tratto dal diario del ten. Sergio Quaglino