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LE NOTIZIE DEL GIORNO - PAGINA DI PROVA

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Tornando all’uso imperativo di “Va’”, colgo l’occasione per una annotazione che mi è stata spesso sollecitata dal frequente incontro con la celebre ed immortale frase dialettale milanese (anche questa estesa ad altri dialetti vicini) “Va’ a “ciapà” di ratt!”, spesso preceduta dall’avversativo “Ma”. Si tratta di una espressione dialettale vivissima, del cui uso posso fornire testimonianza diretta, nei più diversi ambiti e sempre con intento bonario e paternalistico: un invito garbato ad andare a rendersi utili altrove, diciamo così. L’invito era spesso rivolto a chi la raccontava troppo grossa o ipotizzava strategie impossibili; esprimeva un disprezzo bonario e generico, come dire “va’ a fare qualcosa di inutile, insignificante o degradante”. La frase è ancor oggi riesumata nei post nostalgici sui social e di essa, come di altre frasi idiomatiche, si sente la mancanza di corrispondenza nella lingua italiana.

Ma, occhio, spesso viene riportata male, ossia capita di leggere: “Va’ a “ciapà” i ratt”. Errato: dire “i ratt” implica che siano topi ben precisi, noti all’interlocutore, come se si dicesse: “Va’ a prendere proprio quei topi lì, (tutti) quelli che teniamo in cantina.”

In milanese, infatti, quel “di” non è la preposizione “di” italiana, ma il partitivo plurale: “di ratt” = “dei topi”, come si direbbe “di liber” = dei libri (una quantità generica), e svolge nella frase la funzione di equivalente dialettale di “dei” in italiano: – insomma – un articolo indeterminativo plurale che conserva la sua radice logica partitiva. 

Una finezza? Forse. Ma è nelle finezze che la lingua rivela la sua logica nascosta. E se dobbiamo mantenere il ricordo del dialetto, facciamolo bene, con rispetto e dopo averlo studiato meglio. In italiano, comunque, il concetto è lo stesso: la funzione di articolo indeterminativo plurale è svolta dall’aggettivo partitivo, per cui diciamo:

  • “Mario ha degli amici inglesi” (generici, indefiniti)
  • “Sono arrivati gli amici inglesi di Mario” (noti, specifici).

Ma, tornando all’origine della frase “Va’ a “ciapà” di ratt!”, si può pensare che, come tanti altri modi di dire e proverbi, anch’essa sia nata da un’occasione particolare, da un fatto realmente (o quasi) accaduto. Se ciò fosse, potrei proporre un’ipotesi che risale ai tempi della mia quarta o quinta elementare, quando capitò di leggere ad alta voce, in classe e un paragrafo a turno, un brano dal “libro di lettura”, una storiella, una leggenda o una favola intitolata “La guerra dei topi”.

Narrava di una città, dove la gente lavorava con onestà e profitto. Poteva essere anche Milano. Un giorno, però, la città fu invasa dai topi, migliaia e migliaia. Nessuno capì da dove venissero. Erano nelle strade, nei cortili, nelle dispense, nei solai. Il sindaco convocò d’urgenza il Consiglio e fu presa la decisione solenne di “Dichiarare guerra ai topi.”

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Tornando all’uso imperativo di “Va’”, colgo l’occasione per una annotazione che mi è stata spesso sollecitata dal frequente incontro con la celebre ed immortale frase dialettale milanese (anche questa estesa ad altri dialetti vicini) “Va’ a “ciapà” di ratt!”, spesso preceduta dall’avversativo “Ma”. Si tratta di una espressione dialettale vivissima, del cui uso posso fornire testimonianza diretta, nei più diversi ambiti e sempre con intento bonario e paternalistico: un invito garbato ad andare a rendersi utili altrove, diciamo così. L’invito era spesso rivolto a chi la raccontava troppo grossa o ipotizzava strategie impossibili; esprimeva un disprezzo bonario e generico, come dire “va’ a fare qualcosa di inutile, insignificante o degradante”. La frase è ancor oggi riesumata nei post nostalgici sui social e di essa, come di altre frasi idiomatiche, si sente la mancanza di corrispondenza nella lingua italiana.

Ma, occhio, spesso viene riportata male, ossia capita di leggere: “Va’ a “ciapà” i ratt”. Errato: dire “i ratt” implica che siano topi ben precisi, noti all’interlocutore, come se si dicesse: “Va’ a prendere proprio quei topi lì, (tutti) quelli che teniamo in cantina.”

In milanese, infatti, quel “di” non è la preposizione “di” italiana, ma il partitivo plurale: “di ratt” = “dei topi”, come si direbbe “di liber” = dei libri (una quantità generica), e svolge nella frase la funzione di equivalente dialettale di “dei” in italiano: – insomma – un articolo indeterminativo plurale che conserva la sua radice logica partitiva. 

Una finezza? Forse. Ma è nelle finezze che la lingua rivela la sua logica nascosta. E se dobbiamo mantenere il ricordo del dialetto, facciamolo bene, con rispetto e dopo averlo studiato meglio. In italiano, comunque, il concetto è lo stesso: la funzione di articolo indeterminativo plurale è svolta dall’aggettivo partitivo, per cui diciamo:

  • “Mario ha degli amici inglesi” (generici, indefiniti)
  • “Sono arrivati gli amici inglesi di Mario” (noti, specifici).

Ma, tornando all’origine della frase “Va’ a “ciapà” di ratt!”, si può pensare che, come tanti altri modi di dire e proverbi, anch’essa sia nata da un’occasione particolare, da un fatto realmente (o quasi) accaduto. Se ciò fosse, potrei proporre un’ipotesi che risale ai tempi della mia quarta o quinta elementare, quando capitò di leggere ad alta voce, in classe e un paragrafo a turno, un brano dal “libro di lettura”, una storiella, una leggenda o una favola intitolata “La guerra dei topi”.

Narrava di una città, dove la gente lavorava con onestà e profitto. Poteva essere anche Milano. Un giorno, però, la città fu invasa dai topi, migliaia e migliaia. Nessuno capì da dove venissero. Erano nelle strade, nei cortili, nelle dispense, nei solai. Il sindaco convocò d’urgenza il Consiglio e fu presa la decisione solenne di “Dichiarare guerra ai topi.”

Tutti gli abili e meno abili furono chiamati alle armi. Anche i vecchi con le trappole, bambini con i secchi, donne coi bastoni: tutti pronti all’alba del giorno stabilito. Anche un fannullone incallito, Battista Rattazzi, disperazione della moglie, uno che non si era mai mosso da casa, sempre davanti ad un bicchiere di vino e a un mazzo di carte, quel giorno dovette “alzare le chiappe”. La moglie, infatti, quella volta fu irremovibile: lo guardò in faccia, indicò fermissimamente la direzione dell’uscio e gli intimò l’arruolamento immediato: “Va’ a ciapà di ratt! Anca ti.”

Lui si alzò. Uscì. E andò. La guerra durò una giornata intera. Si combatterono ovunque, nei fienili, nei pozzi, persino nelle cantine. Alla sera, ci fu silenzio. La città attese il bollettino di guerra con il fiato sospeso. I reduci si radunarono davanti al sindaco, che fece il punto della situazione e proclamò l’esito ufficiale del conflitto e la fine delle ostilità. Anche la moglie del Battista, come tutte, aspettava con ansia il ritorno del marito: “Com’è andata?” Lui, stanco, sporco e stracciato gli riferì il risultato: “Pari: uno di noi e uno di loro!” (Versione italiana del dialogo.)

Non vado oltre nel commentare il (chiaro) significato della storiella, perfettamente in linea con il significato della nostra frase idiomatica dialettale, né ricordo il mio “pensierino” a commento: ma mi piace pensare che il modo di dire sia nato in quell’occasione, a prescindere dall’esito della guerra.

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Mondi dietro una sillaba

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Le Notizie del Giorno - 1 -

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LE NOTIZIE DEL GIORNO

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Cataldo Capon Notizie dell'ultim'ora di oggi Gli ultimi aggiornamenti più recenti per iniziare la giornata

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Il nostro “va’…”, in realtà, ha fatto molta più strada di quanto chiunque si possa aspettare: c’è infatti l’altra grande variante del “va’” insultante, quella che si trova a metà strada tra la comicità popolare e la licenza poetica dialettale. Si tratta di “Va’ a dà via i “ciapp!”, una locuzione che oggi qualcuno trova colorita, altri scurrile, ma che nel tempo ha saputo assumere anche una certa carica affettuosamente offensiva, quasi teatrale, se ben dosata.

Ma è la stessa cosa di “Va’ a “ciapà” di ratt”? Non proprio. Il senso è vicino – allontanamento, sberleffo, ridimensionamento – ma i due modi di dire hanno sfumature culturali diverse. Entrambe le frasi servono a detronizzare chi parla, ma la seconda lo fa con una punta in più di ironia “da adulti”. In particolare:

  • “Va’ a “ciapà” di ratt” – Popolare, ma detto anche ai bambini, ammesso in ambiente famigliare (spesso in tono scherzoso). Conta sul ridicolo – “vai a cercare topi” è assurdo e comico – “sparisci, vai a fare una cosa inutile o ridicola”
  • “Va’ a dà via i “ciapp” – Forma dialettale di “vai a dare via le chiappe” (natiche, plurale neutro dialettale). Più pesante, allusivo, scambiato solo tra adulti o in contesto informale o confidenziale; il corpo entra in gioco (le “chiappe”), ed è per questo che richiede più cautela. “sparisci, ma stavolta con quel tocco di volgarità che ti butta fuori dalla porta con più forza e sarcasmo. Più rude, ma spesso smorzato dall’ironia, usato tra adulti. In sostanza serve a spingere via, a dire “vattene”, “sparisci”, molto più gentile del banale e volgare “vaffa…” d’importazione meridionale.

La struttura è sempre imperativo + infinito + complemento oggetto: una formula che simula un invito a prostituirsi… ma spesso detta in modo più teatrale che offensivo, come a dire: “smettila di dire scemenze e sparisci inelegantemente”. Il “va’” usato in “va’ a “ciapà” di ratt” e quello in “va’ a dà via i “ciapp” sono identici nella funzione, ossia l’imperativo del verbo “andare”, usato per “mandare a quel paese” in modo colorito e non differiscono nel verbo stesso, ma solo nel complemento e nel grado di volgarità/sfumatura.

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Il nostro “va’…”, in realtà, ha fatto molta più strada di quanto chiunque si possa aspettare: c’è infatti l’altra grande variante del “va’” insultante, quella che si trova a metà strada tra la comicità popolare e la licenza poetica dialettale. Si tratta di “Va’ a dà via i “ciapp!”, una locuzione che oggi qualcuno trova colorita, altri scurrile, ma che nel tempo ha saputo assumere anche una certa carica affettuosamente offensiva, quasi teatrale, s

Il nostro “va’…”, in realtà, ha fatto molta più strada di quanto chiunque si possa aspettare: c’è infatti l’altra grande variante del “va’” insultante, quella che si trova a metà strada tra la comicità popolare e la licenza poetica dialettale. Si tratta di “Va’ a dà via i “ciapp!”, una locuzione che oggi qualcuno trova colorita, altri scurrile, ma che nel tempo ha saputo assumere anche una certa carica affettuosamente offensiva, quasi teatrale, se ben dosata.

Ma è la stessa cosa di “Va’ a “ciapà” di ratt”? Non proprio. Il senso è vicino – allontanamento, sberleffo, ridimensionamento – ma i due modi di dire hanno sfumature culturali diverse. Entrambe le frasi servono a detronizzare chi parla, ma la seconda lo fa con una punta in più di ironia “da adulti”. In particolare:

  • “Va’ a “ciapà” di ratt” – Popolare, ma detto anche ai bambini, ammesso in ambiente famigliare (spesso in tono scherzoso). Conta sul ridicolo – “vai a cercare topi” è assurdo e comico – “sparisci, vai a fare una cosa inutile o ridicola”
  • “Va’ a dà via i “ciapp” – Forma dialettale di “vai a dare via le chiappe” (natiche, plurale neutro dialettale). Più pesante, allusivo, scambiato solo tra adulti o in contesto informale o confidenziale; il corpo entra in gioco (le “chiappe”), ed è per questo che richiede più cautela. “sparisci, ma stavolta con quel tocco di volgarità che ti butta fuori dalla porta con più forza e sarcasmo. Più rude, ma spesso smorzato dall’ironia, usato tra adulti. In sostanza serve a spingere via, a dire “vattene”, “sparisci”, molto più gentile del banale e volgare “vaffa…” d’importazione meridionale.

La struttura è sempre imperativo + infinito + complemento oggetto: una formula che simula un invito a prostituirsi… ma spesso detta in modo più teatrale che offensivo, come a dire: “smettila di dire scemenze e sparisci inelegantemente”. Il “va’” usato in “va’ a “ciapà” di ratt” e quello in “va’ a dà via i “ciapp” sono identici nella funzione, ossia l’imperativo del verbo “andare”, usato per “mandare a quel paese” in modo colorito e non differiscono nel verbo stesso, ma solo nel complemento e nel grado di volgarità/sfumatura.

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Il nostro “va’…”, in realtà, ha fatto molta più strada di quanto chiunque si possa aspettare: c’è infatti l’altra grande variante del “va’” insultante, quella che si trova a metà strada tra la comicità popolare e la licenza poetica dialettale. Si tratta di “Va’ a dà via i “ciapp!”, una locuzione che oggi qualcuno trova colorita, altri scurrile, ma che nel tempo ha saputo assumere anche una certa carica affettuosamente offensiva, quasi teatrale, se ben dosata.

Ma è la stessa cosa di “Va’ a “ciapà” di ratt”? Non proprio. Il senso è vicino – allontanamento, sberleffo, ridimensionamento – ma i due modi di dire hanno sfumature culturali diverse. Entrambe le frasi servono a detronizzare chi parla, ma la seconda lo fa con una punta in più di ironia “da adulti”. In particolare:

  • “Va’ a “ciapà” di ratt” – Popolare, ma detto anche ai bambini, ammesso in ambiente famigliare (spesso in tono scherzoso). Conta sul ridicolo – “vai a cercare topi” è assurdo e comico – “sparisci, vai a fare una cosa inutile o ridicola”
  • “Va’ a dà via i “ciapp” – Forma dialettale di “vai a dare via le chiappe” (natiche, plurale neutro dialettale). Più pesante, allusivo, scambiato solo tra adulti o in contesto informale o confidenziale; il corpo entra in gioco (le “chiappe”), ed è per questo che richiede più cautela. “sparisci, ma stavolta con quel tocco di volgarità che ti butta fuori dalla porta con più forza e sarcasmo. Più rude, ma spesso smorzato dall’ironia, usato tra adulti. In sostanza serve a spingere via, a dire “vattene”, “sparisci”, molto più gentile del banale e volgare “vaffa…” d’importazione meridionale.

La struttura è sempre imperativo + infinito + complemento oggetto: una formula che simula un invito a prostituirsi… ma spesso detta in modo più teatrale che offensivo, come a dire: “smettila di dire scemenze e sparisci inelegantemente”. Il “va’” usato in “va’ a “ciapà” di ratt” e quello in “va’ a dà via i “ciapp” sono identici nella funzione, ossia l’imperativo del verbo “andare”, usato per “mandare a quel paese” in modo colorito e non differiscono nel verbo stesso, ma solo nel complemento e nel grado di volgarità/sfumatura.

Le Notizie del Giorno - 2 -

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Il nostro “va’…”, in realtà, ha fatto molta più strada di quanto chiunque si possa aspettare: c’è infatti l’altra grande variante del “va’” insultante, quella che si trova a metà strada tra la comicità popolare e la licenza poetica dialettale. Si tratta di “Va’ a dà via i “ciapp!”, una locuzione che oggi qualcuno trova colorita, altri scurrile, ma che nel tempo ha saputo assumere anche una certa carica affettuosamente offensiva, quasi teatrale, se ben dosata.

Ma è la stessa cosa di “Va’ a “ciapà” di ratt”? Non proprio. Il senso è vicino – allontanamento, sberleffo, ridimensionamento – ma i due modi di dire hanno sfumature culturali diverse. Entrambe le frasi servono a detronizzare chi parla, ma la seconda lo fa con una punta in più di ironia “da adulti”. In particolare:

  • “Va’ a “ciapà” di ratt” – Popolare, ma detto anche ai bambini, ammesso in ambiente famigliare (spesso in tono scherzoso). Conta sul ridicolo – “vai a cercare topi” è assurdo e comico – “sparisci, vai a fare una cosa inutile o ridicola”
  • “Va’ a dà via i “ciapp” – Forma dialettale di “vai a dare via le chiappe” (natiche, plurale neutro dialettale). Più pesante, allusivo, scambiato solo tra adulti o in contesto informale o confidenziale; il corpo entra in gioco (le “chiappe”), ed è per questo che richiede più cautela. “sparisci, ma stavolta con quel tocco di volgarità che ti butta fuori dalla porta con più forza e sarcasmo. Più rude, ma spesso smorzato dall’ironia, usato tra adulti. In sostanza serve a spingere via, a dire “vattene”, “sparisci”, molto più gentile del banale e volgare “vaffa…” d’importazione meridionale.

La struttura è sempre imperativo + infinito + complemento oggetto: una formula che simula un invito a prostituirsi… ma spesso detta in modo più teatrale che offensivo, come a dire: “smettila di dire scemenze e sparisci inelegantemente”. Il “va’” usato in “va’ a “ciapà” di ratt” e quello in “va’ a dà via i “ciapp” sono identici nella funzione, ossia l’imperativo del verbo “andare”, usato per “mandare a quel paese” in modo colorito e non differiscono nel verbo stesso, ma solo nel complemento e nel grado di volgarità/sfumatura.

Il nostro “va’…”, in realtà, ha fatto molta più strada di quanto chiunque si possa aspettare: c’è infatti l’altra grande variante del “va’” insultante, quella che si trova a metà strada tra la comicità popolare e la licenza poetica dialettale. Si tratta di “Va’ a dà via i “ciapp!”, una locuzione che oggi qualcuno trova colorita, altri scurrile, ma che nel tempo ha saputo assumere anche una certa carica affettuosamente offensiva, quasi teatrale, se ben dosata.

Ma è la stessa cosa di “Va’ a “ciapà” di ratt”? Non proprio. Il senso è vicino – allontanamento, sberleffo, ridimensionamento – ma i due modi di dire hanno sfumature culturali diverse. Entrambe le frasi servono a detronizzare chi parla, ma la seconda lo fa con una punta in più di ironia “da adulti”. In particolare:

  • “Va’ a “ciapà” di ratt” – Popolare, ma detto anche ai bambini, ammesso in ambiente famigliare (spesso in tono scherzoso). Conta sul ridicolo – “vai a cercare topi” è assurdo e comico – “sparisci, vai a fare una cosa inutile o ridicola”
  • “Va’ a dà via i “ciapp” – Forma dialettale di “vai a dare via le chiappe” (natiche, plurale neutro dialettale). Più pesante, allusivo, scambiato solo tra adulti o in contesto informale o confidenziale; il corpo entra in gioco (le “chiappe”), ed è per questo che richiede più cautela. “sparisci, ma stavolta con quel tocco di volgarità che ti butta fuori dalla porta con più forza e sarcasmo. Più rude, ma spesso smorzato dall’ironia, usato tra adulti. In sostanza serve a spingere via, a dire “vattene”, “sparisci”, molto più gentile del banale e volgare “vaffa…” d’importazione meridionale.

La struttura è sempre imperativo + infinito + complemento oggetto: una formula che simula un invito a prostituirsi… ma spesso detta in modo più teatrale che offensivo, come a dire: “smettila di dire scemenze e sparisci inelegantemente”. Il “va’” usato in “va’ a “ciapà” di ratt” e quello in “va’ a dà via i “ciapp” sono identici nella funzione, ossia l’imperativo del verbo “andare”, usato per “mandare a quel paese” in modo colorito e non differiscono nel verbo stesso, ma solo nel complemento e nel grado di volgarità/sfumatura.

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Il servizio di leva, il richiamo alle armi e tre anni di guerra, il tutto raccontato su quattro diari tardivamente aperti e trascritti. Eccolo, il papà, contadino e operaio, umile e leale cittadino, imbracciare un’arma per ottenere quella “vittoria” che, sopravvivendo, gli avrebbe consentito il ritorno a casa. Così, nella breve campagna di giugno contro la Francia, poi nella campagna greco-albanese e quindi nella controguerriglia croata, fa la conoscenza della fame, della paura e della morte in una guerra assurda, ove combatte con valore ed onore solo per la dignità del dovere contro avversari ben più e a ragione motivati, Gli tocca di “marciare al nemico” in bicicletta, scalare e discendere montagne di notte sotto la bufera, affrontare proiettili e cannonate, sopravvivere per mesi in una buca sotto la neve, attendere per giorni il pane e la posta che non arrivano… Poi, invece della vittoria, ci sarà l’inferno di uno stalag.

La produzione di calcestruzzo deve essere controllata in modo tale che le specifiche di Resistenza siano rispettate e i costi dei materiali siano mantenuti il ​​più bassi possibile.

 

  • Il Metodo CUSUM è un mezzo pratico per soddisfare questi requisiti.
  • In generale, il Metodo CUSUM misura le prestazioni relative alle intenzioni di progettazione.
  • Confronta i risultati con i valori target e verifica se sono coerenti con i livelli previsti e richiesti.
  • Il Metodo CUSUM viene utilizzato per monitorare le tendenze nella Resistenza media, nella deviazione standard e nella relazione tra resistenze iniziali e a 28 giorni.
  • Aiuta a rilevare i cambiamenti in queste proprietà e indica quando è necessario intervenire per aumentare la probabilità di soddisfare le specifiche o per ridurre il costo dei materiali del calcestruzzo.

 

Quando utilizzato per monitorare la Resistenza del calcestruzzo, il Metodo CUSUM presenta vantaggi rispetto ad altri sistemi:

 

  • Il Metodo CUSUM è più sensibile nel rilevare cambiamenti dell’entità riscontrata nella produzione di calcestruzzo.
  • È possibile prendere decisioni affidabili su un numero inferiore di risultati.
  • L’andamento dei risultati può essere identificato dalla pendenza generale di un grafico.
  • Le pendenze dei grafici possono essere utilizzate per determinare le grandezze delle proprietà (ad es. Resistenza media e deviazione standard).
  • Le posizioni delle variazioni nelle pendenze dei grafici indicano approssimativamente quando si sono verificate le variazioni.

 

A fronte di questi vantaggi, potrebbe esserci una complessità leggermente aumentata nell’elaborazione dei dati rispetto ad altri sistemi. Ciò ha poca importanza quando il sistema è computerizzato.

 

Lo scopo di questa procedura è fornire le conoscenze necessarie per monitorare la Resistenza del calcestruzzo mediante il Metodo CUSUM. Vengono trattati i principi del Metodo CUSUM e il lavoro preparatorio. Viene quindi trattato il funzionamento di un Metodo CUSUM per monitorare la Resistenza del calcestruzzo. Questa pubblicazione tratta principalmente del monitoraggio della Resistenza di un singolo grado di calcestruzzo (utilizzando un singolo set di materiali) mediante il Metodo CUSUM. Viene trattata brevemente la combinazione (o la massa) dei risultati di diverse miscele in un CUSUM. 2

 

2 – PRINCIPIO DEL METODO CUSUM

 

Principio del Metodo CUSUM Il principio essenziale è che le differenze tra i risultati e i loro valori target vengono calcolate e sommate cumulativamente per formare una somma cumulativa (CUSUM). Quando questo CUSUM viene tracciato graficamente rispetto alla sequenza dei risultati, viene prodotta una presentazione visiva della tendenza relativa al livello target.

La produzione di calcestruzzo deve essere controllata in modo tale che le specifiche di Resistenza siano rispettate e i costi dei materiali siano mantenuti il ​​più bassi possibile.

 

  • Il Metodo CUSUM è un mezzo pratico per soddisfare questi requisiti.
  • In generale, il Metodo CUSUM misura le prestazioni relative alle intenzioni di progettazione.
  • Confronta i risultati con i valori target e verifica se sono coerenti con i livelli previsti e richiesti.
  • Il Metodo CUSUM viene utilizzato per monitorare le tendenze nella Resistenza media, nella deviazione standard e nella relazione tra resistenze iniziali e a 28 giorni.
  • Aiuta a rilevare i cambiamenti in queste proprietà e indica quando è necessario intervenire per aumentare la probabilità di soddisfare le specifiche o per ridurre il costo dei materiali del calcestruzzo.

 

Quando utilizzato per monitorare la Resistenza del calcestruzzo, il Metodo CUSUM presenta vantaggi rispetto ad altri sistemi:

 

  • Il Metodo CUSUM è più sensibile nel rilevare cambiamenti dell’entità riscontrata nella produzione di calcestruzzo.
  • È possibile prendere decisioni affidabili su un numero inferiore di risultati.
  • L’andamento dei risultati può essere identificato dalla pendenza generale di un grafico.
  • Le pendenze dei grafici possono essere utilizzate per determinare le grandezze delle proprietà (ad es. Resistenza media e deviazione standard).
  • Le posizioni delle variazioni nelle pendenze dei grafici indicano approssimativamente quando si sono verificate le variazioni.

 

A fronte di questi vantaggi, potrebbe esserci una complessità leggermente aumentata nell’elaborazione dei dati rispetto ad altri sistemi. Ciò ha poca importanza quando il sistema è computerizzato.

 

Lo scopo di questa procedura è fornire le conoscenze necessarie per monitorare la Resistenza del calcestruzzo mediante il Metodo CUSUM. Vengono trattati i principi del Metodo CUSUM e il lavoro preparatorio. Viene quindi trattato il funzionamento di un Metodo CUSUM per monitorare la Resistenza del calcestruzzo. Questa pubblicazione tratta principalmente del monitoraggio della Resistenza di un singolo grado di calcestruzzo (utilizzando un singolo set di materiali) mediante il Metodo CUSUM. Viene trattata brevemente la combinazione (o la massa) dei risultati di diverse miscele in un CUSUM. 2

 

2 – PRINCIPIO DEL METODO CUSUM

 

Principio del Metodo CUSUM Il principio essenziale è che le differenze tra i risultati e i loro valori target vengono calcolate e sommate cumulativamente per formare una somma cumulativa (CUSUM). Quando questo CUSUM viene tracciato graficamente rispetto alla sequenza dei risultati, viene prodotta una presentazione visiva della tendenza relativa al livello target.

La produzione di calcestruzzo deve essere controllata in modo tale che le specifiche di Resistenza siano rispettate e i costi dei materiali siano mantenuti il ​​più bassi possibile.

 

  • Il Metodo CUSUM è un mezzo pratico per soddisfare questi requisiti.
  • In generale, il Metodo CUSUM misura le prestazioni relative alle intenzioni di progettazione.
  • Confronta i risultati con i valori target e verifica se sono coerenti con i livelli previsti e richiesti.
  • Il Metodo CUSUM viene utilizzato per monitorare le tendenze nella Resistenza media, nella deviazione standard e nella relazione tra resistenze iniziali e a 28 giorni.
  • Aiuta a rilevare i cambiamenti in queste proprietà e indica quando è necessario intervenire per aumentare la probabilità di soddisfare le specifiche o per ridurre il costo dei materiali del calcestruzzo.

 

Quando utilizzato per monitorare la Resistenza del calcestruzzo, il Metodo CUSUM presenta vantaggi rispetto ad altri sistemi:

 

  • Il Metodo CUSUM è più sensibile nel rilevare cambiamenti dell’entità riscontrata nella produzione di calcestruzzo.
  • È possibile prendere decisioni affidabili su un numero inferiore di risultati.
  • L’andamento dei risultati può essere identificato dalla pendenza generale di un grafico.
  • Le pendenze dei grafici possono essere utilizzate per determinare le grandezze delle proprietà (ad es. Resistenza media e deviazione standard).
  • Le posizioni delle variazioni nelle pendenze dei grafici indicano approssimativamente quando si sono verificate le variazioni.

 

A fronte di questi vantaggi, potrebbe esserci una complessità leggermente aumentata nell’elaborazione dei dati rispetto ad altri sistemi. Ciò ha poca importanza quando il sistema è computerizzato.

 

Lo scopo di questa procedura è fornire le conoscenze necessarie per monitorare la Resistenza del calcestruzzo mediante il Metodo CUSUM. Vengono trattati i principi del Metodo CUSUM e il lavoro preparatorio. Viene quindi trattato il funzionamento di un Metodo CUSUM per monitorare la Resistenza del calcestruzzo. Questa pubblicazione tratta principalmente del monitoraggio della Resistenza di un singolo grado di calcestruzzo (utilizzando un singolo set di materiali) mediante il Metodo CUSUM. Viene trattata brevemente la combinazione (o la massa) dei risultati di diverse miscele in un CUSUM. 2

 

2 – PRINCIPIO DEL METODO CUSUM

 

Principio del Metodo CUSUM Il principio essenziale è che le differenze tra i risultati e i loro valori target vengono calcolate e sommate cumulativamente per formare una somma cumulativa (CUSUM). Quando questo CUSUM viene tracciato graficamente rispetto alla sequenza dei risultati, viene prodotta una presentazione visiva della tendenza relativa al livello target.

 

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La produzione di calcestruzzo deve essere controllata in modo tale che le specifiche di Resistenza siano rispettate e i costi dei materiali siano mantenuti il ​​più bassi possibile.

 

  • Il Metodo CUSUM è un mezzo pratico per soddisfare questi requisiti.
  • In generale, il Metodo CUSUM misura le prestazioni relative alle intenzioni di progettazione.
  • Confronta i risultati con i valori target e verifica se sono coerenti con i livelli previsti e richiesti.
  • Il Metodo CUSUM viene utilizzato per monitorare le tendenze nella Resistenza media, nella deviazione standard e nella relazione tra resistenze iniziali e a 28 giorni.
  • Aiuta a rilevare i cambiamenti in queste proprietà e indica quando è necessario intervenire per aumentare la probabilità di soddisfare le specifiche o per ridurre il costo dei materiali del calcestruzzo.

 

Quando utilizzato per monitorare la Resistenza del calcestruzzo, il Metodo CUSUM presenta vantaggi rispetto ad altri sistemi:

 

  • Il Metodo CUSUM è più sensibile nel rilevare cambiamenti dell’entità riscontrata nella produzione di calcestruzzo.
  • È possibile prendere decisioni affidabili su un numero inferiore di risultati.
  • L’andamento dei risultati può essere identificato dalla pendenza generale di un grafico.
  • Le pendenze dei grafici possono essere utilizzate per determinare le grandezze delle proprietà (ad es. Resistenza media e deviazione standard).
  • Le posizioni delle variazioni nelle pendenze dei grafici indicano approssimativamente quando si sono verificate le variazioni.

 

A fronte di questi vantaggi, potrebbe esserci una complessità leggermente aumentata nell’elaborazione dei dati rispetto ad altri sistemi. Ciò ha poca importanza quando il sistema è computerizzato.

 

Lo scopo di questa procedura è fornire le conoscenze necessarie per monitorare la Resistenza del calcestruzzo mediante il Metodo CUSUM. Vengono trattati i principi del Metodo CUSUM e il lavoro preparatorio. Viene quindi trattato il funzionamento di un Metodo CUSUM per monitorare la Resistenza del calcestruzzo. Questa pubblicazione tratta principalmente del monitoraggio della Resistenza di un singolo grado di calcestruzzo (utilizzando un singolo set di materiali) mediante il Metodo CUSUM. Viene trattata brevemente la combinazione (o la massa) dei risultati di diverse miscele in un CUSUM. 2

 

2 – PRINCIPIO DEL METODO CUSUM

 

Principio del Metodo CUSUM Il principio essenziale è che le differenze tra i risultati e i loro valori target vengono calcolate e sommate cumulativamente per formare una somma cumulativa (CUSUM). Quando questo CUSUM viene tracciato graficamente rispetto alla sequenza dei risultati, viene prodotta una presentazione visiva della tendenza relativa al livello target.

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