18 Aprile 2024

“Per rinfrancare lo spirito tra una storia e l’altra”…

O “Non ci resta che piangere”?

O “L’ultima gaffe”?

Da "La Repubblica" del 3 aprile '24

Per i soldati al fronte, l’arrivo e l’invio della posta erano momenti di gioia, anche nei frangenti più drammatici e sconsolati. Il papà ne reca una testimonianza forte e assidua. Con le lettere riusciva a tenersi in contatto con le persone care e con il mondo “normale”, dal quale era stato strappato e che sperava un giorno di ritrovare. Per lunghi periodi, la lettura e la scrittura di lettere e cartoline, in quegli avamposti sperduti, erano l’unico sollievo tra fatica, paura, freddo, sangue, anche se l’attesa della posta costituiva un tormentoso appuntamento quotidiano. Il papà timbra spesso le delusioni della posta che non arriva con un curioso e reiterato commento, con il quale ho pensato di dare il titolo a questo suo Diario di Guerra.  Tre anni di paura, di dolore e di morte, ma anche di onore e di gloria, narrati sullo sfondo di un incondizionato tributo di fedeltà alle istituzioni e nell’illusione collettiva e individuale di una vittoria possibile solo nella retorica dei bollettini di guerra.

In queste pagine si rincorrono luoghi e tempi in cui non è più possibile andare, perchè non ci sono più. Quindi, non ci resta che scriverne.

Questo sito va preso, dunque, per quello che è: il frutto della passione di un dilettante, una sorta di esercizio vitale, per tenere accesa la Memoria e le Parola. Niente di più. Se l’una e/o l’altra vi piaceranno, potrete approfondire quei temi tramite la bibliografia e i collegamenti citati. In caso contrario, potrete abbandonarle al loro passato destino.

«La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla».  (Gabriel García Márquez)

Nei diari del papà

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Data la terra, calcolare il tempo che le resta, in tre equazioni.

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In che modo si riesce a superare la paura? Vedendo a destra e a sinistra la gente fucilata, impiccata, deportata, e questo dà la forza e il coraggio di fare quello che ho fatto. Io, quando mi hanno incaricato… arrivo in questa casa, mi vengono a parlare i dirigenti del partito di Torino: “Bisogna andare in pieno giorno a uccidere un gerarca fascista, una spia”. Fra di me ho detto: “Come si fa?”. Non riuscivo a capire, io abituato là, alla guerra di Spagna, in compagnia… ci ho riflettuto molto, sono stato 20 giorni a riflettere, poi sono venuti una serie di altri compagni, è venuto anche Amendola. Allora mi hanno fatto capire: “Tieni conto che il problema non è tanto di colpire la spia, più importante è questa fiducia, il coraggio agli operai della fabbrica, alla gente che è passiva, così ha fiducia, vede che c’è anche… Allora, su questo, ho superato questo stato animo e ho cominciato a lavorare per l’azione.

Giovanni Pesce

PROSSIMAMANTE

STORIELLE

Aspettammo, guardando verso la pianura, in fondo alla quale, nei giorni più limpidi, si poteva vedere Milano ed io immaginare, il papà e la mamma, piccoli piccoli, che attraversavano la strada.

Chi guardava in cielo, chi guardava verso le montagne dietro Montù; un po’ angosciato, il giorno prima, io avevo spedito una cartolina ai miei: “Se non ci sarà la fine del mondo, ci vediamo domenica”. Mi venne anche il pensiero di una telefonata, l’ultima, nell’imminenza dell’evento, ma la bottega, a quell’ora, era chiusa.

Era anche un giorno decisivo per il giro di Francia: un italiano, Gastone Nencini, stava per vincerlo e quel giorno c’era la diciottesima tappa, probabilmente decisiva. Allora era normale mettersi alla radio a metà pomeriggio e attendere il collegamento per la radiocronaca diretta. Tra l’altro pareva strano che Dio, avesse decretato la fine del mondo sul più bello del Tour… I miei amichetti di Zenevredo cercavano di saperne di più e, un po’ come sempre, di rivolgevano a me: io ero di Milano, sapevo tante cose, andavo a San Siro, leggevo il giornale. E proprio dai giornali avevo appreso da tempo e riferito loro la notizia della fine del mondo prevista per il 14 luglio di quell’anno: naturalmente ci avevo messo del mio nel dosare un po’ di più l’ineluttabilità dell’evento, ma, del resto, ero a mia volta preoccupato dall’eco notevole riservata dai giornali a Fratello Emman e alla sua profezia.

«La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla».  Gabriel García Márquez