IL XXVI BATTAGLIONE NEL 1943
DIARI DI DANTE – EXTRA 3 1943, FINO ALL’8 SETTEMBRE Abbiamo lasciato Dante il primo gennaio 1943, in
Si parva licet componere magnis
In queste pagine si rincorrono luoghi e tempi in cui non è più possibile andare, perchè non ci sono più. Quindi, non ci resta che scriverne.
Questo sito va preso, dunque, per quello che è: il frutto della passione di un dilettante, una sorta di esercizio vitale, per tenere accesa la Memoria e le Parola. Niente di più. Se l’una e/o l’altra vi piaceranno, potrete approfondire quei temi tramite la bibliografia e i collegamenti citati. In caso contrario, potrete abbandonarle al loro passato destino.
«La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla». (Gabriel García Márquez)
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LINGUA E DIALETTO: PENSIERI E PAROLE
Nei Diari di Dante
MILANO NEL PALLONE
STORIE NELLA STORIA
In che modo si riesce a superare la paura? Vedendo a destra e a sinistra la gente fucilata, impiccata, deportata, e questo dà la forza e il coraggio di fare quello che ho fatto. Io, quando mi hanno incaricato… arrivo in questa casa, mi vengono a parlare i dirigenti del partito di Torino: “Bisogna andare in pieno giorno a uccidere un gerarca fascista, una spia”. Fra di me ho detto: “Come si fa?”. Non riuscivo a capire, io abituato là, alla guerra di Spagna, in compagnia… ci ho riflettuto molto, sono stato 20 giorni a riflettere, poi sono venuti una serie di altri compagni, è venuto anche Amendola. Allora mi hanno fatto capire: “Tieni conto che il problema non è tanto di colpire la spia, più importante è questa fiducia, il coraggio agli operai della fabbrica, alla gente che è passiva, così ha fiducia, vede che c’è anche… Allora, su questo, ho superato questo stato animo e ho cominciato a lavorare per l’azione.
PROSSIMAMANTE
STORIELLE
Aspettammo, guardando verso la pianura, in fondo alla quale, nei giorni più limpidi, si poteva vedere Milano ed io immaginare, il papà e la mamma, piccoli piccoli, che attraversavano la strada.
Chi guardava in cielo, chi guardava verso le montagne dietro Montù; un po’ angosciato, il giorno prima, io avevo spedito una cartolina ai miei: “Se non ci sarà la fine del mondo, ci vediamo domenica”. Mi venne anche il pensiero di una telefonata, l’ultima, nell’imminenza dell’evento, ma la bottega, a quell’ora, era chiusa.
Era anche un giorno decisivo per il giro di Francia: un italiano, Gastone Nencini, stava per vincerlo e quel giorno c’era la diciottesima tappa, probabilmente decisiva. Allora era normale mettersi alla radio a metà pomeriggio e attendere il collegamento per la radiocronaca diretta. Tra l’altro pareva strano che Dio, avesse decretato la fine del mondo sul più bello del Tour… I miei amichetti di Zenevredo cercavano di saperne di più e, un po’ come sempre, di rivolgevano a me: io ero di Milano, sapevo tante cose, andavo a San Siro, leggevo il giornale. E proprio dai giornali avevo appreso da tempo e riferito loro la notizia della fine del mondo prevista per il 14 luglio di quell’anno: naturalmente ci avevo messo del mio nel dosare un po’ di più l’ineluttabilità dell’evento, ma, del resto, ero a mia volta preoccupato dall’eco notevole riservata dai giornali a Fratello Emman e alla sua profezia.
«La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla». Gabriel García Márquez