I DIARI DI DANTE

QUADERNO III - Da Aprile 1941 a Giugno 1942

Indice

Extra

Testi collegati

Testo tratto dal libro del Ten. Sergio Quaglino

Testo tratto dal libro del Bers. Luciano Scalone

Avvertenze

Il testo dei Diari di Dante è riportato su una colonna principale, affiancata a destra da due colonne di raffronto e complemento, nelle quali sono riportati gli stralci di due testimonianze “speciali”: sono quelle lasciateci da chi ha condiviso da vicino con il papà quelle tragiche vicende: in particolare con quelle di Sergio Quaglino e di Luciano Scalone. Il primo è stato un ufficiale che ha scritto un libro di assoluta valenza memorialistica storica, descrivendo fatti, luoghi e persone coniugando in un perfetto equilibrio la passione determinata dagli eventi con il manifestarsi di questi nel loro contesto storico-militare. Il secondo un semplice ragazzo del Sud gettato nella tragedia, che ha sentito il bisogno e realizzato il forte desiderio di raccontarne la sua partecipazione, con sincerità di sentimento e semplicità di linguaggio.

La disponibilità di tali elementi di riferimento storico-fattuale ha reso l’attività di trascrizione dei Diari di Dante ancora più emozionante ed ha conferito ad essi un più consistente valore memorialistico, attraverso confronti, chiarimenti e contestualizzazioni di fatti, luoghi e circostanze.
Su PC e tablet, il testo del diario e il contenuto delle colonne a lato sono visibili affiancate, per quanto possibile cronologicamente, mentre su smartphone le note appaiono alla fine di ciascun blocco.

Nelle colonne di raffronto e complemento, il racconto di Dante è affiancato e correlato a destra anche da:
– Cronologia essenziale internazionale
– Note esplicative o a commento del testo
– Collegamenti esterni o ad altri articoli interni sullo stesso tema (Categoria “EXTRA”, per esempio)
– Immagini e mappe

Il collegamento tra il contenuto dei Diari e quello dei due testi principali di raffronto è segnalato con una nota (in apice) solo se il nesso è specifico e circostanziato, altrimenti il raffronto è lasciato alla cura ed all’interesse del lettore con l’ausilio delle date, evidenziate all’uopo in grassetto su tutti e tre i testi.
Il collegamento tra parti del contenuto del testo dei Diari ed elementi presenti nelle colonne di raffronto e complemento (comprese parte delle immagini) è segnalato da una sottolineatura.  Alcuni elementi presenti nella colonna di complemento (comprese alcune altre immagini) hanno invece solo un riferimento generico con il racconto e sono quindi privi di un collegamento specifico.
[NdT] indica una “Nota di Trascrizione” inserita direttamente nel testo.
Le immagini con bordo e didascalia di color cremisi provengono dalla raccolta pesonale di Dante.
Qui di seguito sono riportati ulteriori formati utilizzati per  ulteriori contenuti.

Capitolo 14 - LE “FERIE” ALBANESI E LA LICENZA DEL ’41

IL RACCONTO

Anche la festa del reggimento è passata, ora aspettiamo il giorno di andare a Tirana, che, sapevamo da fonte sicura, era il premio che avrebbe avuto il reggimento. Passano i giorni e niente. Viene il giorno 26 giugno, si parte per Tirana e, andando verso la strada, dovemmo portarci la bicicletta a spalla, dal fango che c’era. A spingerle, le ruote non giravano più. Una lotta, ma una di quelle proprio a numero uno. Non importa, speriamo di non tornarci più, a Perrenjes. Si pedala, non faccio dieci chilometri, che si rompe la bicicletta. Andiamo bene! Passano tutti i bersaglieri e aspetto tutta la riserva del battaglione, prendono un pezzo da un’altra, mi aggiustano la mia e poi avanti. Mi accompagno con uno della prima compagnia e seguiamo. Senza accorgermene, raggiungo la compagnia. Siamo quasi a Tirana e si strappa la catena! È inutile, oggi non vuole andare bene! Aspetto, mi riposo un po’, tanto la fretta non ci ha nessuna importanza, arriva il meccanico, mi aggiusta la catena e poi, tranquilli, seguiamo. Passiamo nel centro della capitale e, vedendo tutte le belle signorine, ci vengono in mente i giorni passati, di quella bella borghesia[1] passata. Seguiamo la colonna e, dopo un bel tratto di strada siamo, già fuori dalla città: forse si sono fermati, girano a sinistra e si vanno a fermare ai capannoni: siamo giunti finalmente! Pian piano ci mettiamo a posto tutti, anche le biciclette. Era giovedì, venerdì e sabato tutti tranquilli, passa la domenica. Tutte le sere, senza parlarne, fuori in libera uscita, tanto i lek c’erano. Tutte le sere a mangiare e poi, al ritorno, due pagnotte sotto la sella e al mattino si faceva lo spuntino. Quanto era mai bella la vita di Tirana! Un po’ di passeggiate al mattino, ma era per tenersi allenati in tutto. Dopo pochi giorni, a tutti quelli che erano stati ad Atene debbono fare le punture, anche queste per la parenchimatosi. La fortuna nostra è stata che i nostri compagni ne han fatte due, e a noi, invece, la stessa quantità di liquido ce l’han ficcata nella pelle in una volta sola.

Oggi è sabato 28 giugno, suona la sveglia, nessun pensiero. Sono le 9 e chiamano tutti quelli che debbono fare la puntura: non era per il male che si deve soffrire, ma c’era un medico che era tanto come un macellaio! Coraggio, anche questa è fatta! Sono le 16, incomincia ad aumentare la febbre, invece di andare in libera uscita bisogna andarsene a dormire e addio baracconi della piazza di Tirana, dove c’erano tutti i divertimenti e tutte le sere si desiderava andarcene a fare una passeggiata.

Domenica 29 giugno la febbre non passa e allora stiamocene seduti sul pagliericcio! Sono le 14, mi trovo davanti l’amico Antonio che era stato mandato dal Maggiorino: immaginiamo la gioia! Dopo un po’ di chiacchiere, saluto l’amico: «Stai tranquillo, che domani sera ti vengo a trovare!» E così fu arriva la sera del 30 giugno, mi prendo l’amico Lidio e ce ne andiamo dell’Antonio a fare un brindisi. È l’ora di rientrare, ci salutiamo e andiamo al nostro posto.

Alla vita a Tirana non si poteva resistere: al pomeriggio avevamo anche il nostro campo sportivo e andavamo a giocare al pallone. Intanto c’era la voce che dovevamo andare a Durazzo a fare un bagno e, al giorno 4 luglio, al mattino presto ci prendiamo la nostra bici e si pedala fino a Durazzo. Passando accanto alla baracca dell’amico gli ho dato la voce, subito si fa vedere e mi grida: «Vieni questa sera, che ti aspetto!» «Va bene! Ciao ciao!» e andiamo. Arriviamo a Durazzo, facciamo il bagno, poi arriva il rancio, si mangia e poi dentro ancora a fare un altro bagno. Intanto viene l’ora di ritornare, adunata e si parte. Il bagno ci ha dato della fiacca, c’era la volontà, ma accelerare non si poteva: in poche parole, siamo arrivati alla sera un po’ tardi. Arriviamo e la pastasciutta la buttiamo giù in fretta. Poi ci prendiamo la pagnotta d’avanzo, già tanto sapevamo il trucco: arriviamo dall’amico e troviamo una bella padella di uova fritte e due fiaschi di vino. In pochi minuti tutto fu nella pelle: eravamo stanchi, ma avevamo anche l’appetito. 

In un volo venne anche l’ora di ritirarsi: salutiamo i compagni e andiamo al nostro posto. Il giorno dopo, radio gavetta trasmetteva che dovevamo andare a Durazzo per fare una ventina di giorni di bagni. così fu e subito si seppe la data del giorno che dovevamo fare il trasloco. Il giorno 7 luglio si parte e con le nostre bici andiamo a Durazzo. Sempre al lavoro! Ci trovano sempre del lavoro, dobbiamo fare le tenda, tutte allineate una dietro l’altra e ci mancavano anche i bagni. Pazienza sempre, tanto la vita è un lampo. Tutte le sere si mangiavano i pomodori con la sale[2], il vino lo vendevano al nostro spaccio, i lek non mancavano, al mattino c’era da fare qualche giro di corsa e qualche esercizio di ginnastica, tanto per far passare il tempo. Però, più della corsa, dovevamo prepararci per l’arrivo del nuovo colonnello. Tutti i giorni al pomeriggio avevamo la nostra gita al mare, già si pensava a quelle navi che fumavano, ma per noi nessuna in vista. Intanto correva la voce che c’erano le licenze a premio di 15 giorni più il viaggio. I giorni passavano, ma con mille pensieri al giorno, pensando il più a casa. Il colonnello doveva venire il giorno 17 luglio e noi siamo già qui che lo aspettiamo: ancora prima di arrivare, la voce era che sarebbe stato molto severo, ma ormai siamo abituati a tutto. Il giorno 15 luglio mi partono due in licenza: già non contento di quello, il colonnello non veniva più il giorno 17 e intanto le prove si ripetevano. Il giorno 19 luglio vado con due altri al sorteggio per la licenza, ma in quello mi tocca fuori e la rabbia saliva al cento per cento[3].

Questi dovevano partire la mattina del giorno 22 luglio e, la mattina del giorno detto, mentre i compagni preparavano tutta la loro roba e la portavano in ripostiglio, io con la testa lassù, mi toccava rimanere. Cosa debbo fare? Rimedio non ce n’è. Più nessuno osava parlare con me perché sapevano il motivo. Appena dopo il rancio i compagni mi salutano e partono e, con tutte le buone parole, mi fanno coraggio, dicendomi che dopo pochi giorni ci sarebbe stata la partenza anche per me. Con un po’ di nervoso mi metto a dormire, ma chi dorme in quei momenti? Sono le diciannove, mi sento chiamare ma non osavo alzarmi. Ma mi chiamano ancora due o tre volte e allora mi alzo. «Cosa c’è? Cosa volete?» Mi fa un bersagliere: «Sei tu Schiavi?» «Sì perché? Cosa c’è?» «Prenditi il libretto e il fez e vai giù al comando di battaglione a firmare la licenza, ché partite subito tu, il tale, il tale e il tale. Vi portano giù col motocarrello e questa sera partite subito». «Me lo dici per scherzo o in verità?» «Sì, sì, sbrigati!» Avviso gli amici Fiocchi e Pozzi, che mi preparano uno scritto da consegnare ai suoi e me ne vado. Erano le diciannove e trenta, firmo la licenza, ritorno, mi preparo la roba e vado in fureria avanzata[4], mi prendo le due lettere dei compagni, saluti e me ne vado al comando di battaglione. Là trovo il motocarrello, ci siamo tutti e quattro, allora andiamo e in pochi minuti, siamo al comando tappa. Lì troviamo i due amici Pissinis e Ansaldi, che mi guardano e si mettono a ridere. «Cosa avete da ridere? L’avete fatto il bagno e passata la visita?» «No, andiamo ora alla tre». «Allora siamo a posto», mi fanno, «vieni anche tu! Siamo d’accordo e partiamo questa sera!»[5]. Passiamo alla visita, tutto bene, vengo fuori, trovo l’amico Maggiorino e gli chiedo: «Sei in licenza? Sì? Allora andiamo insieme, meno male, così siamo accompagnati!» Ci chiamano e fanno i ruolini[6], ci danno i viveri e poi in fila indiana ci incamminiamo al posto. Alle ventitré tutti eravamo sulla Nave Italia, quella che ci aveva portato in Albania.

Alle quattro del 23 luglio la nave leva l’ancora e parte. Alle diciotto eravamo a Bari, in Italia, ci siamo! Sbarcando ci consegnano il foglio per presentarci al bagno, passiamo alla dogana e poi al bagno. Fuori dal bagno, al comando tappa[7] a fare il biglietto per il treno e poi via alla stazione, dove c’è la tradotta che ci aspetta. Dentro in un vagone da bestiame, sono le ventidue, alle ventitré si parte. Meno male, andrà piano, ma intanto ci avviciniamo sempre più a casa. Alle undici del 24 luglio siamo ad Ancona e qua ci fermiamo sino alle quattordici. Allora giù al ristoro militare a prenderci due pere e un panino; un quarto d’ora di qua e uno di là, vennero le 14 e si parte. Sembra che pedali un po’ di più, forse dopo tanto tempo si son decisi a fare dei chilometri. Alle venti siamo a Bologna: lì cambiano la macchina e subito si riparte. Alle ventitré siamo a Piacenza. La coincidenza per andare Stradella c’è l’indomani mattina alle sei. Allora deciso vado a Milano, già che non ho da aspettare, e alle dodici e venti ero alla stazione centrale di Milano. Sempre a passo da bersagliere è giunta l’ora per fare l’improvvisata alla sorella: è mezzanotte e mezza, entro sotto la porta, che per fortuna era ancora aperta, saluto i portinai e domando della sorella. Rosa era a casa sola, forse già a letto. «Telefonatele su, ma non ditele che sono io!» «Va bene!» Il portinaio chiama, Rosa risponde subito, e le dice: «C’è una persona tanto cara che desidera venire da voi.» «Ma se non so chi è, non apro la porta perché sono in casa sola.» «Questa persona è il fratello Dante, venuto in licenza!» La sorella tremava dalla gioia e non le sembrava vero. Faccio per salire le scale, ma arriva un signore, apre l’ascensore, entro anch’io, si ferma al piano desiderato, la sorella apre la porta e mi salta il collo. «Povero Dante! Quanto piangere ho mai fatto quest’inverno per te!» «Ebbene tutto questo è passato, ora parliamo d’altro».

La sorella era a casa sola, nessuno ci disturba. «Hai fame? Sì?» «Eccoti, mangia quello che vuoi!» In poco tempo mi riempii e sempre si parlava: che ore felici erano mai quelle! Questo, quello e quell’altro! Sono le tre del 25 luglio, le prime ore della licenza, sono stanco. «Rosa, andiamo a dormire?» «Sì Dante, andiamo.» Ma per la felicità di essere a casa e trovarmi in un letto così soffice, non ero capace di prendere sonno. Erano le cinque e ancora non si dorme, ma, quando il sonno oltrepassò la felicità, mi addormentai e mi svegliai alle dieci. «Sarà ora che mi alzi!» E Rosa: «Fai come credi!» Mi alzo, mi lavo, mi faccio la barba e poi un bel vestito borghese e la naja è sparita. «Sarei contento se la Pina fosse stata qui…» «Cosa vuoi, tanto, per la ragazza che è, è meglio che non la veda.» Beh, pazienza! Volevo poterla vedere due minuti per consegnarle le venti lire che mi aveva dato il 25 agosto 1940, per me bastava quello: non c’è? Pazienza! Intanto facciamo colazione e poi a mezzogiorno la replica: bisognerebbe avere un sacco per farsi la scorta per quando sarò là di nuovo. Passa il pomeriggio, viene la sera, arriva il signor Nino, entra e non mi vede, silenzio, si leva il cappello, si gira e… ci resta! Allunga la mano, una stretta di mano, tanti saluti e subito domanda del passato. Intanto viene l’ora della cena e ci siamo intesi: domani mattina vado a Stradella, così vado a farmi firmare la licenza. È giorno, mi alzo, mi preparo e poi saluto la sorella e il signor Nino e parto. Alle nove e trenta sono a Stradella, è mercato, ma vado direttamente dai CC.RR.[8] per far firmare la licenza. Non c’è il maresciallo: «Venite tra una mezz’ora.» «Ma posso venire in borghese?» «Sì, è uguale.» Allora parto e via al Monastero. Strada facendo incontro la cugina Gina anche per lei fu un’improvvisata; poi trovo l’amico Salvo, che partiva, ci salutiamo, ciao ciao e via.

26 luglio 1941. Arrivo in corte, nessun’anima al mondo, busso alla porta, è aperta, entro, mi si presenta il cugino del cognato e chiama Luisa. «Luisa guarda, guarda chi c’è!» Arriva la sorella e anche lei mi salta al collo. «Papa verrà a casa presto e la mamma è al mercato. Livio ha scritto dicendo che sta bene.[9]» Arriva il papà, si alza il fratello del cognato e poi arriva la mamma. Tutti contenti e affaccendati per questo o quell’altro e tante cose… Mi cambio e giù a far firmare la licenza. Al mercato trovo l’amico Vercesi, che il giorno 12 marzo ho conosciuto sul Monte Kalase e al quale ho dato le sigarette che io non le fumavo. Un saluto e sempre c’è l’abitudine di parlare di tutto. Gli dico che debbo andare dai Fiocchi e lui mi dice:

«Guarda, i suoi mi hanno già domandato, mi hanno detto che hanno saputo dal figlio che deve andare un amico di Stradella a trovare i genitori e che ci ha uno scritto.» «Allora andiamo domani, vieni a casa mia e poi andiamo su.» Ritorniamo, la tavola è pronta e si mangia: mangia, mangia, ma sempre mangiare non si può! Si continua a narrare il passato, dopo una mezz’ora mi prendo la mia balilla a due ruote e faccio il giro dei parenti. La giornata fu un lampo. Ritornai dal giro dei parenti dopo la mezzanotte. Al mattino si dormiva con una dolcezza… Mi alzo, prendo il caffè e poi a fare un giro nelle campagne. È mezzogiorno e giù a mangiare. Poi, con l’amico Roberto, il fratello del cognato, prendiamo la bicicletta e andiamo dal Vercesi, già d’accordo per andare poi dal Fiocchi. Alle quindici eravamo dal Fiocchi: tutta la famiglia sorridente e gioiosa per le notizie dategli del figlio e fratello. La sorella Carla[10], senza nessun gesto del papà, prepara i bicchieri e prende una bottiglia di quello buono e si ricomincia. Dopo una mezz’ora arrivò sul tavolo un bel piatto di salame e pane fresco: immaginiamo la fame che potevamo avere, ma, per accontentarli di quello che offrivano, per forza bisogna mangiare; in più, con i complimenti, della Carla, l’appetito vien mangiando. Anche la merenda è fatta. Sono le diciassette, salutiamo tutta la famiglia d’accordo di vederci alla domenica a Stradella e ritorniamo alla nostra Stradella. Nel ritorno riesco a condurre l’amico a casa mia: solo un bicchiere di vino, quello non manca e l’amico torna a casa sua. Intanto viene l’ora della cena. Dopo cena prendo la bici e vado a trovare la famiglia Bailo, i genitori dell’Albertina: anche questi con un mondo di complimenti e la sera volò. Di tanto in tanto qualche lavoretto, bisogna che aiuti anche il papà, per quanto la necessità c’era senz’altro.[11]  

Ancora da due amici dovevo andare e mi son poi deciso il giorno dopo. Parto e vado a casa dell’amico Pozzi a Campospinoso, … … …[12] e trovo la moglie dell’amico: immaginiamo cosa fu per lei per lei spiegarle un po’ della nostra vita. Subito offre da bere e, dopo un’oretta, tutto è a posto riguardo il pacco che dovevo portare all’amico. Saluto la signora, un bacio alla piccina che l’amico mi raccomandò tanto e ritorno a casa. Mi decido e parto a passarmi ancora tre giorni a Milano, dalla sorella Rosa, che mi aspettava. Tre giorni a casa di Nagel furono un lampo. L’ora spiacente è giunta, c’è la partenza e lasciare la sorella… Mi faccio forte e, vedendo la sorella piangere, non piango io; ma nel mio cuore c’era un fosso pieno di lacrime. Saluto il signor Nino e poi bacio la sorella e parto da Milano. Siamo alla fine della licenza: addio bei giorni! L’ultimo sabato, sono le sedici, parto e vado dall’amico Tondulli a Pavia. Alle diciassette e trenta sono dai genitori, che da parecchi giorni mi aspettavano. Anche per questi la felicità era immensa. Sono le ventuno e torna dal lavoro la sorella dell’amico e saluto la signorina. La cena è pronta e giù! Per poco che abbia mangiato, mangiai come tutti loro, ma non era basta: volevano che mangiassi tutto quello che la mamma preparò, ma ci vorrebbe la bisacca[13] di un cammello. Dopo cena la sorella prepara il pacco per il fratello, il pacco è pronto e allora io me ne vado. Ma sì, ma no… «L’ha dä sta chi, ël dorma chi, ël va ä ca dumän mateina.» Beh, accettiamo anche questo, saluto la cugina e il cugino dell’amico e a tutti andiamo a dormire. Domani mattina alle sette devo partire. È l’alba, guardo l’orologio, sono le sei e mezza, mi alzo, una rinfrescata, sono le sette, Dante saluta i genitori e la sorella e parte. Alle otto e trenta sono a casa, mi cambio e vado a Stradella per trovarmi con il papà del Fiocchi e così fu. Trovo il papà, che poi dice: «Beh, martedì a mezzogiorno venite tutti e due e facciamo un piccolo…[14] di quel poco che c’è.» Bisogna accettare. Sono le undici e bisogna tornare a casa, per poi trovarsi dalla zia. A mezzogiorno siamo dalla zia, con quel poco che c’era ma contenti della compagnia. In un lampo vennero le quattordici, saluto gli zii e il cugino Carletto e parto deciso a trovare la Elsa e le poche ore passate a lei accanto furono[15]. Al tramonto torna il fratello Pierino, che mi ferma a cenare e poi, in sua compagnia, dovetti andare a casa delle sue cugine e anche questo bisogna accettare. Andiamo dalle cugine, tutte a complimenti anche qua.  

La sera passò, torniamo a casa del Pierino, sono le due e Dante, ormai deciso, ripartirebbe per Stradella, ma l’amico mi trattiene a dormire con lui e anche questo bisogna accettare. La mia idea però era di ripartire al mattino buon’ora. La mamma mi dà il caffè e, appena datomi una rinfrescatina, saluto la famiglia e parto. Anche il lunedì volò. È mattino, martedì, e andiamo al mercato, sempre in compagnia di Roberto, il fratello del cognato. Aspettiamo l’ora giusta e poi partiamo per andare dall’amico Fiocchi, siamo a Zenevredo, tutto silenzioso. Permesso, avanti, siamo qua a disturbare, niente disturbo, accomodatevi. E beviamo il vino bianco. Intanto si sentiva la sorella maggiore che, ci ha dato l’impressione, preparava il trucco dell’ora nuova[16]. Intanto Carla prepara la tavola, due minuti la tavola fu pronta e arrivò un bel piatto di antipasti, salame e altro, poi una bella minestra e quindi lasciamo stare, altrimenti non si terminerebbe più. Terminato il bel pranzetto, il papà mi accompagna in campagna e già trovammo l’uva matura il bel 12 agosto 1941. Torniamo a casa, la testa girava già abbastanza per accontentare la famiglia, ma bisogna bere ancora un’altra qualità di vino. Salutiamo il papà e le sorelle torniamo a Stradella e, già che passiamo davanti alla famiglia Bailo, è meglio entrare a salutare e così facciamo, però rifiuto di bere. Anche qua una stretta di mano a tutti, un bacio alla piccola Graziella, bambina della sorella dell’Albertina virgola, e siamo al Monastero, quando ormai il giorno è passato.

Il giorno 13 agosto mi alzo, vado a firmare la licenza e a salutare qualche parente. Finalmente, proprio l’ultimo giorno, riesco a far fare amicizia all’amico Roberto con la sua cara Andreina. Giornata immemorabile il 14 agosto, la fine della licenza. Tutti i parenti li abbiamo salutati, andiamo a casa, per l’ultimo pasto che metto i piedi sotto al tavolo: chissà quando ritornerò! Ora sto bene, mi vesto di grigioverde e poi vado a salutare i signori Profili e la famiglia Vercesi: due minuti è fatto, tutto è pronto, pacchi, valigie eccetera. Saluto la sorella e la cara famiglia Candellari e l’amico Roberto mi accompagna alla stazione. Là trovo l’amico Maggiorino, che fa tutto il viaggio con me: la compagnia c’è. Arriva il treno e parto, salutando l’amico e la sorella del Maggiorino. Siamo a Piacenza, già siamo fermi, sono le diciotto e bisogna aspettare sino alle diciannove e poi c’è la tradotta che si ferma a Bari: la prendiamo e troviamo il posto per sederci. Ventiquattro ore di viaggio continuo e siamo a Bari. Tutto buio, andiamo al comando tappa, troviamo un buco per dormire almeno coperti e ci buttiamo giù.

Sono le otto del 15 agosto, incominciamo a timbrare la licenza, mi raccomandano di non allontanarmi, perché al pomeriggio si partiva e così fu. Sono le tredici e incominciammo ad avvicinarci al porto. Ci danno i viveri per il viaggio e ritorniamo vicino alla nave “Milano”[17], che ci riporta ancora in Albania. Sono le venti e si parte. Tutta la notte dormo e anche al mattino sino alle dieci, fintanto che l’amico Canestri ha fatto delle foto e m’ha preso sotto un gabbione mentre dormivo. Sono le diciotto, siamo a Durazzo, dove andiamo? La prima cosa è quella di cercare di andare a mangiare e poi qualcheduno ci penserà. Poi andiamo sotto ad un tendone da carpentiere e abbiamo riposato. Ci alziamo al mattino, ricomincia già davvero la naja.

Note

[1] Borghesia.Qui è usato nell’accezione tipica del gergo militare, ad indicare lo stato opposto di quello sotto le armi, che impone la divisa. Viene dall’aggettivo borghese, nel significato di civile, non militare, estensione dell’originale riferito all’abito (abito borghese, abito civile, contrapposto alla divisa, anche nelle locuzioni mettersi in borghese e poliziotto in borghese, nelle quali abito è sottinteso. Tornare alla vita borghese: il giorno del congedo, col rientro tra tutti quelli che non sono militari. Dante pensa con nostalgia alla sua vita passata di vita borghese, alle feste, al ballo, alle “signorine” di Torino e non solo.

[2] La sale. – Nel dialetto oltre padano pavese sale è femminile e quindi potremmo considerarla quale forma di derivazione dialettale, anche se andrebbero fatte anche altre due considerazioni. Una per tener conto del fatto in Italia alcune parole sono in effetti passate, nel corso del ventesimo secolo, dall’uso al femminile a quello al maschile (per esempio durante la Prima guerra mondiale, si diceva la fronte, poi divenuto il fronte), l’altra per dare un’occhiata ad altre lingue neolatine, ove sale è ancor oggi usato al femminile (spagnolo, rumeno).

[3] La rabbia saliva al cento per cento. – Dante mancava da casa dalla licenza dell’agosto 1940: quasi un anno.

[4] Fureria. – La fureria è ufficio di un’entità militare (reggimento, battaglione, compagnia) responsabile dell’amministrazione e della contabilità. L’aggettivo “avanzata” sta ad indicare una sezione distaccata di quella principale, istituita presso i comandi, posta in prossimità delle zone di operazione o comunque presso la zona di accantonamento dei reparti.

[5] Siamo d’accordo e partiamo questa sera! – Il periodo riportato, decifrato senza alcuna incertezza e trascritto alla lettera, pare non consentire interpretazioni completamente esaustive, pur essendo il senso grossolanamente accettabile.

[6] Ci chiamano e fanno i ruolini. – Il ruolino di marcia, locuzione usata anche in senso figurato ed estensivo, è un documento che riporta i nomi dei militari, soli o componenti una colonna o un gruppo, in marcia o in trasferimento, con il compito affidato a ciascuno di essi e il programma di viaggio e sul quale vengono annotate tutte le variazioni di programma, i rifornimenti effettuati, gli inconvenienti, ecc. 

[7] Comando tappa. – Il comando tappa è un comando militare da cui dipendono tutti i servizi di un luogo di tappa e il luogo attrezzato per i servizi indispensabili, presso il quale la truppa permanente effettua una sosta su itinerari normalmente organizzati. Se in territorio nemico, svolge anche compiti di difesa. Normalmente i comandi di tappa sono luoghi tranquilli e sereni, specie, come accade per Dante, se frequentati in occasione di viaggi per licenze in fasi belliche stabilizzate. Ma, in certi frangenti sfavorevoli, essi si trasformano in luoghi da incubo, con grande fermento di attività, con andirivieni di reparti militari, automezzi e artiglierie e anche con afflusso di profughi, come nelle note situazioni critiche del 1916 e del 1917 sul fronte austro-ungarico.

[8] CC.RR. – Usa proprio la sigla per indicare i Carabinieri (Reali). Conformismo o ironia?

[9] Livio ha scritto dicendo che sta bene. – Si riferisce ai genitori di Livio, marito della sorella Luisa, del quale riporta le notizie ricevute, come sottinteso che anch’egli fosse sotto le armi. L’ho conosciuto e visto spesso nei viaggi dai parenti a Stradella. Era invalido ad una gamba, ma non ne seppi mai il motivo. Nei primi anni Cinquanta gli fu affidato l’incarico di custode e abitò presso l’Istituto Tecnico Faravelli di Stradella.

[10] Carla Fiocchi. – Ho rintracciato la famiglia e visitato la casa di Zenevredo ove avvenne la visita descritta dal papà. Al momento in cui scrivo questa nota (aprile 2023) Carla, ormai centenaria, vive con il figlio in un altro paese dell’Oltrepò.

[11] Di tanto in tanto qualche lavoretto, bisogna che aiuti anche il papà, per quanto la necessità c’era senz’altro. – Periodo di cui non sono per ora venuto ragionevolmente a capo.

[12] … … … – Tre parole non chiaramente decifrabili, che, fortunatamente non dovrebbero togliere nulla alla frase in cui sono inserite.

[13] Bisacca. – Italianizzazione a mezzo del raddoppio di consonante di “bisaca” dal dialetto stradellino, ad indicare la bisaccia, quale grossa sacca di pelle o stoffa da portarsi ad armacollo o a cavallo, o, come dice Dante, anche a cammello. “Bisacca” è comunque stato un termine usato in italiano antico ed è più vicino alla sua etimologia latina, nel significato di “doppio sacco”, composto di bi- e saccus “sacco”.

[14] … – Dante mette dei puntini al posto del termine omesso. Il significato è chiaro: mettere insieme un pasto improvvisato con le poche pietanze disponibili. Perché non ha riportato la parola detta dal papà di Fiocchi? Era intraducibile dal dialetto all’italiano?

[15] Le poche ore passate a lei accanto furono… – Non è stata possibile alcuna decifrazione di questo termine scritto da Dante, che, tra l’altro, presenta un segno grafico interpretabile come una separazione in due parole distinte, posta per correzione.

[16] Il trucco dell’ora nuova. – Questo è proprio un mistero. Decifrazione del senso impossibile.

[17] Nave Milano. – In realtà Dante la chiama “Milano-Napoli”. Costruita nel 1913, dopo varie vicissitudini e passaggi di mano, nel 1937 confluì nella flotta della Tirrenia di Navigazione, con base a Napoli.  Da qui, probabilmente, l’equivoco nella denominazione da parte del papà nel leggere la scritta sulla fiancata della nave. Al momento dell’entrata dell’Italia in guerra, fu sequestrato dalla Regia Marina, passando poi alla gestione del Ministero delle Comunicazioni. Trovatasi a Cattaro al momento dell’armistizio dell’8 settembre, la “Milano” fu catturata dai tedeschi e finì affondata nella rada di Sebenico durante un bombardamento aereo alleato nel gennaio del 1944. (Da Wikipedia).

RIFERIMENTI
Durazzo. Una cartolina inviata da Dante l'11 luglio 1941.
La stessa inquadratura, oggi, ripresa da Google Earth.
(Nota 10) - La casa di Fiocchi a Cascina Vecchia di Zenevredo, oggi. A parte il lavabo, è tale e quale a quella dell'estate 1941.
(Nota 10) - Immutata anche la sala del pranzo del 12 agosto 1941. A destra la porta della cucina.

Verso la Balcania

Dante si gode la sua licenza e poi fa ritorno in Albania. Qui è tutto finito, ma non si parla più di rientro e smobilitazione, perchè in Jugoslavia, o in quel che ne resta, le cose non vanno come ci si aspetta. Lo mandano in Dalmazia, ma non per una tranquilla attività di presidio, ma perchè si era aperto un nuovo fronte.

Quello della Balcania, come era ufficialmente designato il territorio dello stato jugoslavo aggredito e sconfitto, è stato forse il fronte meno noto e meno raccontato tra tutti quelli sui quali il Regio Esercito ha combattuto nella Seconda guerra mondiale. In realtà, la sua occupazione e le operazioni di controguerriglia che vi si svolsero andarono a costituire, alla fine, l’ammontare più alto dello sforzo bellico nazionale nel conflitto. Complessivamente, vi furono impiegate ventiquattro divisioni: a tale cospetto ed a parte il fronte alpino occidentale per la sua brevissima durata, in Libia si andò dalle quattordici nel 1940 alle otto di El Alamein nel 1942, sul fronte greco-albanese furono schierate in totale quattordici divisioni, sul tanto tristemente celebrato fronte russo l’ARMIR poteva contare su dieci divisioni. Arduo fare confronti di difficoltà tra i diversi fronti, ma quello balcanico fu senz’altro anomalo e asimmetrico, fatto di “puntate” di rastrellamento, imboscate, assedi, stragi, esecuzioni sommarie, sradicamento di popolazioni, internamenti di civili. Dal punto di vista strettamente militare, comunque, la Balcania fu un fronte che raccolse sicuramente dei successi operativi da parte dell’Asse, l’unico a partire dall’estate del 1942.

A tutto ciò va aggiunto poi un fattore pressoché unico di tutta la seconda guerra mondiale: il fatto, cioè, che il tutto avveniva in un contesto e con la determinante frammistione di una feroce guerra civile di tutti contro tutti (partigiani, ustascia, cetnici, domobranci), fatta di atrocità nei confronti delle popolazioni civili, di vere e proprie pulizie etniche, delle quali le foibe furono solo l’ultimo lascito.

Nel complesso, il numero delle vittime jugoslave aiuta a dare l’idea dell’entità del conflitto: in totale ci furono oltre un milione di morti, che, rapportati alla popolazione residente, costituiscono una percentuale spaventosa e tra le più alte della Seconda guerra mondiale.

 

La suddivisione della Jugoslavia nel 1941 (Becherelli - ITALIA E STATO INDIPENDENTE CROATO - Op. cit.)


Scalone e il vecchio

L’indomani, per ordine del nostro comando generale, ci recammo proprio in quel quartiere dove era cominciato l’attacco, per effettuare un rastrellamento. Entrando all’interno di una casa, trovai un vecchio seduto davanti un caminetto. Il caminetto era un focolare utilizzato per cucinare e per fare la ricotta, era molto antico e coperto di fuliggine. Invitai il vecchio ad uscire dalla casa, ma lui se ne stava fermo, guardandomi con gli occhi spalancati e con la faccia adornata da un paio di lunghi baffoni.

Si leggeva benissimo quanto ostile fosse il suo sguardo. Io, che mi trovavo un po’ più avanti dalla porta d’ingresso, infilai una mano nella carniera, tirai fuori una bomba a mano e la scagliai in quel caminetto. Le nostre bombe a mano non avevano un grande potere offensivo, a meno che non venissero scagliate addosso, ma facevano un bel botto. Quando la bomba scoppiò, sollevò tanto di quel fumo che nella casa si fece buio come se fosse notte; il vecchio venne fuori coperto di fuliggine, era impaurito dallo scoppio e tremava come una foglia: provai pena per lui.

In apparenza io mi mostravo crudele, ma in cuor mio quella volta il vecchio mi fece tanta pietà: non era lui il cattivo, e neanche io, i veri criminali erano quelli che avevano voluto la guerra e che ci hanno mandato allo sbaraglio per ammazzare e farci ammazzare. L’odio, poi, nelle guerre viene da sé, quando si vedono cadere i propri compagni, che portano la stessa divisa, si pensa che il dovere di chi sopravvive sia di vendicare i propri morti, poi, quasi sempre, va a finire che chi ne paga le conseguenze sono la povera gente inerme che con la guerra, o con la guerriglia, non c’entra per niente.

Gli ordini erano di rastrellare tutte le persone trovate nelle case, riunirli in una piazzetta e dare fuoco alle abitazioni, lasciando che le donne, visto che uomini non ne abbiamo trovato tranne qualche vecchio o ragazzo, assistessero agli incendi. Dopo quell’operazione li lasciammo lì, noi ritornammo sul treno mentre vedevamo loro andare nelle loro case, ancora fumanti, con la speranza di poter recuperare qualche cosa scampata al rogo, continuando ad implorare per la loro casa, la loro mamma ed il signore Dio.

Approfondimenti

  • F. Ferratini Tosi, G. Grassi, M. Legnani (a cura di), L’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, FrancoAngeli Editore, Milano 1988;
  • Giorgio Bocca, Storia d’Italia nella guerra fascista 1940-1943, Oscar Mondadori, Milano 1996;
  • Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (a cura di), Storia d’Italia. Guerre e Fascismo, Laterza Editore, Roma-Bari 1998;
  • Piero Melograni, La guerra degli Italiani 1940-1945, Istituto Luce, Roma 2004;
  • Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943 Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, G. Einaudi Editore, Torino 2005.

Bibliografia generale – Fonti 

  • CON IL 4° BERSAGLIERI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE – Sergio Quaglino – 1985
  • MEMORIE DI UN BERSAGLIERE – Luciano Scalone – 2011
  • LA GUERRA FASCISTA – Gianni Oliva – Le Scie – Mondadori – 2020
  • LE OPERAZIONI DEL 1940 SULLE ALPI OCCIDENTALI – (Autori vari, esegesi storica a cura dell’Ufficio Storico dello SME, 1994 Roma
  • DIARIO STORICO DEL COMANDO SUPREMO VOL I TOMO 1 – Autori: Biagini e Frattolillo, dal 11.6.1940 al 31.8.1940 – DIARIO- Edizione Ufficio Storico, 1986
  • IMMAGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE   Ufficio Storico dello SME, anno 1995
  • L’ESERCITO ITALIANO NELLA CAMPAGNA DI GRECIA – Autore Mario Montanari, Studio Monografico, Ufficio storico dello SME, 1995
  • STORIA DELLA GUERRA DI GRECIA – Mario Cervi – Oscar Mondadori 1969
  • GUERRA D’ALBANIA – Gian Carlo Fusco – Feltrinelli 1961
  • SOLDATI, GENERALI E GERARCHI NELLA CAMPAGNA DI GRECIA – Francesco Casati – Prospettiva Editrice 2008
  • QUOTA ALBANIA – Mario Rigoni Stern – Einaudi 1971-2022
  • FRONTE GRECO-ALBANESE: C’ERO ANCH’IO – Giulio Bedeschi – Mursia 1977
  • GLI ESERCITI DELLA CAMPAGNA ITALIANA DI GRECIA – Phoebus Athanassiou – Biblioteca di Arte Militare 2019