Il testo dei Diari è affiancato a da contenuti e immagini di contesto e complemento (“riferimenti”). In particolare, sono riportati ampi stralci di due testimonianze “speciali”, lasciateci da due persone che hanno condiviso da vicino con il papà quelle tragiche vicende e che ne hanno voluto, come il papà, lasciarne testimonianza e ricordo: sono quelle del tenenete Sergio Quaglino e del bersagliere Luciano Scalone. Il primo ha scritto un libro di qualificata valenza memorialistica e storica, descrivendo fatti, luoghi e persone in un perfetto equilibrio tra il mito patriottico, la passione determinata dagli eventi e il succedersi di questi nel loro contesto storico-militare. Il secondo, un semplice ragazzo del Sud gettato nella tragedia, ha sentito il bisogno e realizzato il forte desiderio di raccontarne la sua partecipazione ad essa, con sincerità di sentimento e semplicità di linguaggio.
La ricerca prima e la disponibilità poi di tali elementi di riferimento storico-fattuale ha reso l’attività di trascrizione dei Diari ancora più emozionante ed ha conferito ad essi un più consistente valore memorialistico, attraverso confronti, chiarimenti e contestualizzazioni di fatti, luoghi e circostanze, oltre ad aver dato spunto ad inaspettati approfodimenti e consentito sorprendenti scoperte storiche, che altrimenti sarebbero andate perse. Almeno per me.
Su PC e tablet, il testo del diario e il contenuto delle colonne a lato sono visibili affiancate, per quanto possibile cronologicamente, mentre su smartphone, i “riferimenti” appaiono alla fine di ciascun blocco contenitore.
[NdT] indica una “Nota di Trascrizione” inserita direttamente nel testo.
Testo tratto dal diario del Ten. Sergio Quaglino
Testo tratto dal diario del bers. Luciano Scalone
Nei Diari
Terminata la licenza, Dante parte tutto contento lasciando la sorella e la Pina. Dante, giunto dai suoi amici, tutto rammentava della sua licenza. Dopo pochi giorni, riceveva notizie della Pina dalla sorella: la busta conteneva anche una foto di noi tre, ché a caso ci avevano preso a passeggio per Milano, nella passeggiata fatta la domenica di licenza. Dante lasciava la Giuditta, e, a pensiero sicuro, pensava alla Pina, con la quale sempre si scrivevano. Sotto la tenda si incominciava a starci male e la pioggia continuava. Viene l’autobagno[1], si fa il bagno e si disinfetta tutta la nostra roba; poi si va accantonati in una rimessa a Crusevizza, un paesetto lì vicino. Dante arrivava al suo corpo il giorno 26 agosto e il 30 agosto si andava accantonati. Dante e tre compagni trovavano il posto per dormire su una cascina proprio vicino alla rimessa dove stavano gli altri compagni. Candele non ce n’erano e alla sera avevano bisogno di un po’ di luce. Cosa abbiamo fatto allora con un boccettino? Abbiamo fatto un lumino e avviene che Dante e l’amico Barbero mettono la benzina nella boccetta che si trovava ormai vuota. Dante teneva in mano la boccetta, ma ad un tratto prende fuoco tutto, col rischio che poteva prendere fuoco anche tutta la cascina. Ma i due bersaglieri, con coraggio prendevano la coperta e spegnevano il fuoco. Dante, nella fretta, non si era neanche accorto che aveva il fuoco nella mano sinistra, ma, bruciata la prima pelle, se ne accorse, e allora Dante si metteva la mano in tasca: la mano si salvò, ma dal bruciore si vedevano le stelle. Subito la padrona mi copriva la mano di olio, ma ormai la mano faceva ballare Dante, sebbene non ci fosse musica e tutta la notte la passai con la mano in una gavetta di acqua. Ma il male aumentava sempre e Dante non voleva far sapere niente a nessuno. Dopo due giorni, 3 settembre, portando io la mano fasciata, il sottotenente Tonti, che da pochi giorni comandava il plotone, mi vide e per forza gli ho narrato il fatto; così mi mandava subito dal dottore e anche questa passò, anche se per tutto il mese mi sono portato la mano fasciata. Istruzione sempre tutti i giorni, ma da mangiare un fulmine! Tre pagnotte al giorno, pane ce n’era in avanzo, la mucca che c’era nella stalla continuava a mangiare il pane che noi avevamo in più.
La bella sera del 29 settembre tutti giù a dormire. Dante si sente chiamare e corre giù, dove lo cercava il suo tenente, dicendomi: «Domani mattina ti prepari tutta la tua roba e ti lavi in ripostiglio, che devi andare via!» Niente di male, va bene, ma roba da matti! Gli amici subito fecero domande, ma tutti si pensava in bene. Già da quindici giorni stavamo lucidando tutto, la voce era che si andava a Torino e null’altro si pensava. Viene il mattino, da qualche portaordini corre la voce che si va ad Ancona. Appena dopo il rancio, su di un camioncino eravamo in sei e un ufficiale, andiamo al comando di reggimento a San Daniele, dove c’erano altri del XXIX e del XXXI e tutti assieme si parte. Alle due eravamo a Trieste e qui siamo sicuri che si parte per Ancona. Dante subito spedisce una cartolina alla sorella, una alla Pina e un’altra alla Gilda, che sempre scriveva. Alle tre si parte, si fa la linea Trieste-Bologna; alle undici siamo a Bologna e lì si deve aspettare sino al mattino del 1° ottobre.
Partenza da Bologna per Ancona: verso le dieci siamo ad Ancona e lì aspettiamo che gli ufficiali trovino il posto dove mettere tutto il reggimento. Anche da lì do notizie alle tre signorine. Dove si va a mangiare? Lì vicino c’è una trattoria e dentro! Per bene ci siamo riempiti, ma alle quattro arrivano gli ufficiali: bisogna prendere ancora il treno, per andare a Jesi, lontano quindici chilometri, perché lì non c’era posto per mettere in accantonamento il reggimento. Alle nove siamo a Jesi e ci mettono a dormire dentro una chiesa: mettiamo giù la coperta e il tascapane e poi fuori! Pioveva che Dio la mandava ma non importa. Alla prima trattoria dentro a mangiare e bere, tutto vino bianco, ma al togo. Il mattino del 2 ottobre si trova subito il posto per tutti e tre i battaglioni, ma Dante aveva l’incarico di cercare la stanza per i suoi ufficiali. Cerca e trova le stanze e con questo si fa amico con l’Anna Maria, una bella signorina. Il pomeriggio arriva il battaglione e proprio lì vicino alla stazione c’era il capannone, dove dentro ognuno aveva il suo posto. Alla sera fuori in compagnia con diversi amici e ci siamo presi una sbornia, ma proprio coi fiocchi. La gente tutta contenta dei bersaglieri e tutte le sere era una sbornia, in quanto ormai si sapeva che per noi erano gli ultimi divertimenti. Un pochino di istruzione, ma cosa da poco. Alla domenica, dopo la messa, la corsa attraversando la città poi, il 28 ottobre, c’è la sfilata di tutto il reggimento, tra applausi e fiori dal pubblico. Nello stesso giorno l’Italia dichiarava guerra alla Grecia.[2]
Tutti i giorni cartoline a sorella e Pina, siamo al 3 novembre e ci danno tutto quello che serve per l’inverno: scarpe nuove e un paio di scorta, mettiamo tutto nel bottino e il giorno 3 passò. Dante aveva già salutato l’Anna Maria, sapendo che doveva partire. Il 4 novembre si prende il treno e si va a Bari. Il giorno 5 novembre siamo a Bari nei capannoni della fiera campionaria e lì andiamo a dormire. Il giorno 6 novembre mattino notizie a tutti, si passa il giorno fuori a spasso per Bari. Zitti si prepara tutto e verso sera si va al porto, dove ci siamo imbarcati sulla nave Italia. Partenza alle nove e quaranta: è la prima volta che Dante vedeva una nave e che viaggiava in mare. Niente di male e alle sette del giorno 8 novembre siamo al porto di Durazzo, Albania del mio cuore![3] Si scende dalla nave, incomincia a farsi buio, ma non si trova il posto per dormire. Il nostro maggiore Mennuni bisticcia un po’ con l’ufficiale della nave, si fa dietrofront e tutti per l’ultima notte abbiamo dormito tranquilli sui lettini della nave.
Giorno 9 novembre, mattino: sbarchiamo di nuovo e siamo andati poco lontano dal porto, aspettando lo scarico del materiale e delle bici. Di mangiare non se ne parla; quelli che fumano trovano con poco da fumare: ogni bambino che c’era aveva le tasche piene di sigarette, e a buon prezzo, e giù del fumo. Dante non fumava e guardava in faccia i suoi amici.[4] Il giorno è brutto con nebbia e acqua; nel pomeriggio ce ne andiamo al porto a prenderci le nostre biciclette e per sette-otto chilometri ci siamo allontanati da Durazzo per fare le tende su di una collina, qua forse viene il bello. Dante, sempre coraggioso, dà sue buone notizie alla sorella, a Pina e a Gilda: tanto poteva amare la sua Pina, ma la Gilda non la poteva mai dimenticare e appena aveva sue notizie e se mi fosse stato possibile, subito le avrei dato mie notizie, ma da qui più nessuna notizia a Giuditta, tanto due sono già troppe. Coraggio! Il giorno 11 novembre mattino beviamo il caffè, si disfano le tende e si pedala. Gli innocenti, silenziosi e tranquilli, pedalavano, ma purtroppo siamo ormai in guerra e sarebbe questa la “marcia al nemico”. Dopo una quarantina di chilometri siamo a Tirana, la capitale dell’Albania. Tutti acclamati dalla popolazione, si sfilava per la città, ma di rancio non se ne parla. E tu pedala! Ci facciamo un bel numero di ore e nel pomeriggio, una lunga salita di trentadue chilometri. Infine, fortunatamente, la discesa, ma nelle gambe rimanevano i nostri 118 chilometri. Arriviamo a Elbasan. Che cosa si fa? La sfilata di corsa con la bicicletta a mano![5] Alla fine, metà dei compagni sono sdraiati lungo la riva dei fossi, sfiniti. Speriamo almeno che ci sia qualche cosa da mangiare e così fu.
Note
[1] Autobagno – Una chicca logistica che non mi era nota.
[2] Nello stesso giorno l’Italia dichiarava guerra alla Grecia. – Da brividi, questo passaggio: dalla piccola storia personale, dalle sbornie, dai fiori, dagli applausi, da un’altra conoscenza femminile, alla grande Storia, alle “decisioni irrevocabili” di un pettoruto s’un balcone: e tu ci sei dentro, stai andando proprio là, è il tuo dovere, fino alla vittoria!
[3] Albania del mio cuore. – Forse uno slogan o una canzone fascista, del tipo “Faccetta nera”?
[4] Dante non fumava e guardava in faccia i suoi amici. – Frase netta, tagliente: ma cosa pensava Dante, guardando (proprio in faccia) gli amici che fumavano? Cerca di capirli? Li compatisce? Non può non venirmi in mente il ricordo di una frase che il papà mi disse quando ero bambino: “Se sono ancora vivo è perché non fumo.” Mi spiegò che, in uno o più momenti di fame disperata, (non ricordo con precisione se durante operazioni di combattimento – lo scopriremo eventualmente più avanti – o in campo di concentramento) scambiò le sigarette che aveva con del pane e delle patate, salvandosi così la vita.
[5] La sfilata di corsa con la bicicletta a mano! – Questa proprio non l’avevo mai sentita! Ne abbiamo già letto di sfilate che il reggimento ha sin qui già dovuto fare e nel mio piccolo ne so qualcosa (rispetto agli altri reparti, invece di riposare, noi bersaglieri eravamo richiesti di qui e di là per sfilare di corsa): ma questa no, dopo una faticaccia come quella descritta, durante “la marcia al nemico” (ma in realtà sappiamo che era il nemico che stava loro andando incontro), con una modalità assurda: di corsa con la bicicletta a mano, per di più affardellata? Anche Quaglino ne parla e assicura che i bersaglieri ne hanno tratto anzi un beneficio morale in quanto a consapevolezza delle proprie qualità di forza e resistenza.
La tensione si allenta?
La tensione con la Jugoslavia pare attenuarsi comincia così a pensare ad un possibile rientro in Piemonte. Radio marmitta dati lettura per certa la notizia del ritorno a Torino entro breve tempo.
I giorni passano, ma è solo al principio di ottobre che, ad un rapporto ufficiali tenuto dal generale comandante il Raggruppamento Celere ai comandanti delle singole unità che lo compongono, e cioè un reggimento di cavalleria, un reggimento carristi e il 4° bersaglieri, pare sia stato ufficialmente comunicata l’imminente sostituzione del nostro reggimento, che rientra in sede sostituito con altro reparto della stessa specialità. Invece, il 15 ottobre, al pomeriggio…
Siamo come ogni giorno a quest’ora a rapporto nell’ufficio del colonnello comandante. È da poco cominciato l’esame degli avvenimenti del giorno, quando viene bussato alla porta. L’aiutante maggiore va a sentire cosa ci sia di così urgente l’importante. È giunto un portaordini del comando Raggruppamento Celere con la solita busta gialla. Urgentissimo e riservato. Il colonnello apre il plico, che certamente reca il tanto atteso ordine di spostamento e legge. Lo vediamo scurirsi in volto e farsi serio serio.
«Signori», dice, «l’ordine di rientro è sospeso. Partiamo fra qualche giorno per altro scacchiere di operazioni, che qui è designato soltanto con tre lettere: O.M.T.»
Inutile descrivere l’effetto di tale notizia, ma siamo in guerra e gli ordini non si commentano, anche se sono parecchio diversi da quelli che si speravano. Ed ora dove si va? OMT […] Tunisia? Giudicheremo dall’equipaggiamento e dal vestiario che ci verrà assegnato. Fervono intanto preparativi per il nuovo trasferimento del reggimento.
Nel trafiletto seguente, Scalone aggiunge informazioni interessanti sulla traversata: il convoglio è numeroso, quindi il contingente comprende altri reparti, oltre al 4°, e viaggia sotto scorta. Ciò risponde ad un interrogativo che mi si era persentato in merito, anche mi sarei aspettato una protezione aerea, piuttosto che navale, visto che in zona era molta attiva la R.A.F . Curioso, ma assolutamente comprensibile, l’obbligo di restare in mutande col salvagente indossato. Ecco un particolare che nessun regista, in nessuno dei mille film di guerra visti, mi ha mai mostrato.
La traversata
La sera del 7 novembre ci imbarcammo su una nave e, non appena completato il carico, l’intero convoglio si mosse lentamente. La notte passò silenziosa: si sentiva solo il fruscio delle acque ed il rombo dei motori. Il convoglio comprendeva ventitré navi da trasporto, un incrociatore e tre cacciatorpediniere di scorta. Tutti i soldati sulle navi dovevano stare in mutande e con il relativo salvagente indossato. La destinazione era Durazzo, in Albania. Però il convoglio prima fece rotta direttamente per lo specchio di mare di fronte a Brindisi, dove all’alba dell’8 novembre cominciò la traversata per Durazzo. Verso la sera avvistammo la costa albanese.
Una festa nazionale
In Grecia, ogni anno, il 28 ottobre, è il giorno in cui si festeggia l’indipendenza nazionale e si celebra il “Grande No” (μεγάλο Όχι), in commemorazione del rifiuto opposto dal popolo ellenico all’occupazione della Grecia da parte delle truppe italiane nel 1940. Questo è quello che rimane vivo oggi, memoria e dolore a parte, di quella sciagurata guerra italiana.
Tutto inizia invece quando, non sono ancora le sei del mattino di quel giorno, quando le truppe italiane entrano in Grecia. Piove e fa freddo. Gli aerei non possono volare per appoggiare l’avanzata delle fanterie o per colpire obiettivi strategici. Insomma, si comincia male. Le colonne di testa italiane avanzano in territorio greco come dita sottili protese nelle valli, il tempo si mette ancora al peggio, si chiede di rinviare l’ invasione, ma da Roma rispondono che il tempo è cattivo anche per i greci: con migliaia di soldati che stanno soffrendo e morendo, un’affermazione così stupida è raccapricciante. La differenza è che noi dobbiamo avanzare, mentre i greci possono anche aspettare, al sicuro nelle loro postazioni preparate per tempo e con i rifornimenti efficienti e vicini.
Qualche giorno prima…
Mussolini, scopiazzando quello inviato da Hitler qualche mese prima alla Norvegia e alla Danimarca, invia il suo ultimatum alla Grecia, trascurando però un particolare: dietro il primo c’erano un piano preciso e un esercito nel pieno della sua potenza, mentre, dietro l’ultimatum di Roma, c’era tutt’altro: c’erano un desiderio ambizioso e una vagheggiante illusione, senza la concreta possibilità di ottenere risultati positivi e un esercito che, già poco moderno e meccanizzato, pativa ancora le fatiche e le spese delle guerre sostenute in Etiopia e in Spagna. Peggio, fino al limite del credibile: terminata la campagna di Francia, si smobilita, in quanto non ci sono guerre in vista, i soldati sono attesi dalle loro famiglie, le spese di mobilitazione sono tante. Anche nei nostri diari percepiamo il paradosso: a fine settembre il reggimento è al campo a San Michele del Carso e si prepara per tornare in sede a Torino, preludio necessario per un eventuale ritorno a casa. Il colonnello Scognamiglio, a metà ottobre, va al comando per ricevere la buona notizia e… invece si parte per Bari.
Un vecchio piano per l’invasione della Grecia in realtà esiste, ma, prevedendo esso l’impiego di una ventina di divisioni, viene rimesso negli scaffali, preferendo ad esso quello meno impegnativo ed ottimistico del generale Visconti Prasca, cui ne basterebbero meno della metà. Ad una manovra preordinata e organica si preferisce un colpo di mano di tipo coloniale, che, una volta messo in fuga l’esercito greco, ci avrebbe portato ad Atene. Il motto era quindi: partiamo, vediamo e speriamo.
La Germania
Nessuno si oppone, in quanto pare a tutti debba trattarsi di una passeggiata senza combattere, proprio quello che il duce vuole sentirsi dire. Marina a Aviazione non sono consultate, si prendono per buone false informazioni e via: la bibliografia su punto è praticamente illimitata, univoca e illuminante, c’è l’imbarazzo della scelta.
Gli unici contrari sono invece i tedeschi. Pensano al loro Barbarossa e non vogliono casini in giro. Mussolini lo sa, ma l’Italia è una grande potenza e il Mediterraneo è suo e può farci ciò che vuole, anche una guerra parallela. Anzi, occorre tenere i tedeschi e i greci all’oscuro di tutto fino all’ultimo momento. Quando Hitler lo saprà, la genialata era già stata fatta e molto dopo egli dirà chiaramente che, se non ci fosse stata la bravata di Mussolini in Grecia, la Germania avrebbe invaso l’Unione Sovietica un mese prima e avrebbe vinto. Se questo era il punto di vista tedesco, un Mussolini sfuggito ai partigiani e messo sotto processo a Milano, avrebbe potuto addurre, a sua discolpa o attenuante, quella di aver favorito, quindi, la sconfitta e la caduta del Reich. I greci invece sanno tutto, i maldestri incidenti provocati da Ciano glielo confermano e così ci aspettano al varco.
Nativi ostili
Proseguono anche qui le nostre esercitazioni estive. L’ambiente che ci circonda è però cambiato. Alla cordialità e alla simpatia dei piemontesi è succeduta una fredda diffidenza dei nativi del luogo. L’elemento di origine slava nasconde la sua ostilità sotto un ambiguo sorriso di degnazione.
Sono forse impressioni sbagliate, ma si sente nell’aria qualcosa che non va. La maggior parte dei vecchi ed una parte dei giovani parlano o cercano ostentatamente di parlare soltanto la lingua slava.
Quante diversità invece a Gorizia Trieste! È una cosa che allarga il cuore fare una capatina in queste città. Si direbbe che lo spirito patriottico e la fierezza di essere italiani non si affievoliscono mai in queste popolazioni, o meglio che non si offuschino mai nel torpore e nella normalità della vita quotidiana.
Quale nemico?
Il regno di Jugoslavia, subito dopo lo scoppio della guerra, si era dichiarato neutrale. Ma, mentre la maggioranza della popolazione non nascondeva un certo favore verso Inghilterra e Francia, il governo era costretto per contro a tener conto della vicinanza della Germania e, una volta che fu entrata nel conflitto, anche dell’ancor più vicina Italia, con la quale erano sempre accese la questione dalmata e tutte le problematiche relative ai territori di confine, con le note implicazioni etnico-linguistiche mai sopite. La Germania accettava di buon grado la neutralità di Belgrado, in quanto bilanciata da una maggior accondiscendenza economico-logistica, che, a dispetto di Londra e Parigi, consentiva a Berlino di ricevere rifornimenti essenziali, in particolare, via Danubio, il petrolio rumeno di Ploiesti. Hitler quindi si oppose alla proposta di Mussolini di attaccare la Jugoslavia e questo veto spinse il dittatore italiano verso un’alternativa immediata per l’espansione nei Balcani: l’aggressione alla Grecia. Del resto, le testimonianze dirette che arrivano dai nostri testimoni del 4° reggimento, confermano a livello operativo le incertezze strategiche: prima lo spostamento dal fronte occidentale verso il confine orientale, pronti per invadere la Jugoslavia; poi non se ne fa niente perché il “capo” ha detto “nein” e quindi si torna a Torino; poi alla fine, si attacca la Grecia, così l’amico Adolf “saprà dai giornali che ho occupato la Grecia”. (*) Il tutto nel solco della strategia del regime: “intanto entriamo in guerra, poi si vedrà”.
– Quaglino rileva le cause del contrordine: dapprima qualcosa non lo convince nei Balcani, poi registra un’attenuazione della tensione con la Jugoslavia. Ma allora le informazioni erano queste. Ma, mi domando per la seconda volta, nel 1985, quando ha scritto il suo (per me) provvidenziale e bellissimo libro, una revisione storica del contesto?
(*) – v. Cervi e Rochat nella bibliografia.
Nativi ostli
Il trafiletto di Quaglino che precede racchiude in poche righe la spontanea percezione di un ufficiale imbevuto di nazionalismo e il richiamo ad un tema storico, etnico e politico ancor oggi dibattuto, che esploderà poi con l’occupazione italiana dei territori ex-jugosalavi, fino a comprendere anche (strumentalizzazioni a parte) il dramma delle foibe.
Per quanto riguarda in particolare l’aspetto linguistico, riporto qui sotto una breve sintesi del libro “Il martire fascista” , che ci contestualizza appropriatamente, e incredibilmente proprio nello specifico, la percezione di Quaglino.
Dal libro “IL MARTIRE FASCISTA” di Adriano Sofri – Sellerio Editore
Il 4 ottobre 1930 qualcuno uccise a fucilate il maestro Sottosanti in un paese sloveno vicino Gorizia. Adriano Sofri ha ricostruito questa cronaca, cui lo legano imprevisti fili personali, andando su e giù dai confini.
Un maestro siciliano, di solida fede fascista, va a insegnare nella scuola di un paesino sloveno vicino a Gorizia, annesso all’Italia dopo la carneficina della Grande guerra. Ha una giovane moglie, cinque figli e un sesto in arrivo. È uno dei molti convocati a realizzare la «bonifica etnica», l’italianizzazione forzata di una minoranza renitente. Una sera, all’inizio dell’anno scolastico del 1930, il maestro Sottosanti viene ucciso in un agguato. L’Italia fascista commemora il suo martire. Ma da oltre confine si accusa: infieriva contro i bambini, sputava in bocca a chi si lasciasse sfuggire una parola nella sua lingua madre, lo sloveno. Ed era tisico. Il rumore si spegne presto. Le autorità fasciste sanno che i maltrattamenti raccapriccianti avvenivano davvero, ma l’autore era un altro, il più vicino all’ucciso. I militanti antifascisti sloveni si accorgono di aver commesso un incredibile scambio di persona. Adriano Sofri ha ricostruito questa cronaca del 1930, cui lo legano imprevisti fili personali, andando su e giù dai confini. Niente è bello come un confine abolito. Soprattutto quando c’è chi lo rimpiange, e investe in fili spinati.
Tra la vendemmia e la visita del duce.
A San Daniele del Carso siamo stati fino al 19 settembre 1940. Quella giornata, dopo aver fatto la disinfestazione a tutto il vestiario, ci toccò partire per Monte Spina, che si trova a 10 km da San Daniele del Carso. Lì c’erano molti vigneti e proprio in quei giorni si svolgeva la vendemmia. Tutti i giorni venivano dei contadini dal nostro capitano a chiedere di mandare i bersaglieri ad aiutarli a raccogliere l’uva ed il capitano non esitava a lasciar andare chi voleva andare.
Nei giorni 21, 22 e 23 settembre tutto il battaglione partecipava a manovre di guerra con il corpo d’armata al quale eravamo aggregati. […]
Era in programma la visita di Mussolini alla seconda armata, attestata a ridosso della frontiera italo-jugoslava e il giorno 11 di ottobre si andò a Montenero per la sfilata. […]
Ad un certo punto sbucò il 4o reggimento bersaglieri, con in testa il colonnello Scognamiglio. Una tromba suonò tre volte il segnale di allarmi e iniziò la corsa di tutti i bersaglieri del reggimento. […]
Giunti al posto assegnatoci, ci schierammo per compagnia e il colonnello presentò il reggimento al duce, che rispose al saluto: «Questo è il più bel reggimento d’Italia»!
Nè Quaglino nè Dante fanno cenno alla visita di Mussolini, nonostante l’elogio del duce al 4° reggimento bersaglieri.
Destinazione Grecia
A Jesi fermata definitiva punto: è il 21 ottobre. […] Giungono anche alcuni ufficiali assegnati al reggimento per il completamento dei quadri. Molte famiglie di ufficiali e bersaglieri giungono a Jesi per salutare i loro cari prima della loro partenza verso questa ignota destinazione.
Dai giornali e dalla radio abbiamo intanto notizie di aggressioni da parte di elementi greci a patrioti albanesi lungo la frontiera che divide la Grecia dall’Albania. Il 28 ottobre apprendiamo poi con trepidazione come l’Italia abbia ritenuto opportuno di proteggere con le armi gli interessi italiani e albanesi e come sia perciò entrata in guerra con la Grecia. Comprendiamo finalmente il significato delle lettere OMT: cioè “Operazione Militare Tirana”. Beh, dopotutto meglio l’Albania che la Tunisia. Perlomeno è più a portata di mano e più vicina alle nostre case.
Provocazioni! E quindi è la guerra!
Ancora la stessa domanda e la stessa riflessione, che si aggancia anche sin troppo bene alla disinformazione, specie a scopo “bellico” ancora in auge ai nostri giorni. Ma era così difficile, non dubitando della buona fede e dell’intelligenza di Quaglino e pur nel contesto disinformativo del regime, dubitare della credibilità delle provazioni greche? Metaxas era un dittatore di ispirazione fascista, temeva l’aggressione italiana, l’alleato inglese aveva altro a cui pensare e… provoca?
Poche righe sotto, nello stesso solco interpretativo, l’Italia, secondo Quaglino, andrebbe a tutelare i propri interessi e quelli albanesi: la storia, ben presto, avrebbe documentato l’assenza di una vera motivazione strategica dietro la decisione di attaccare la Grecia.
Vedere sulla questione:
LA GUERRA FASCISTA – di Gianni Oliva pagine 90-98 . Le Scie – Mondadori 2020
Wikipedia
Il 4° reggimento bersaglieri all’inizio delle operazioni in Grecia (7 novembre 1940)
Comandante: colonnello Guglielmo Scognamiglio
– XXVI battaglione – comandante maggiore Mennuni
– XXIX battaglione – comandante maggiore De Martino
– XXXI battaglione – comandante maggiore Ferrari
– 12a Compagnia motociclisti – c.te capitano Viola
– Compagnia comando reggimentale – c.te tenente Scuderi
Ogni battaglione è composto da:
– 3 compagnie fucilieri
– 1 compagnia mitraglieri
– 1 compagnia comando btg.
Forza complessiva: circa 2.000 uomini
Armamento:
– Moschetto Carcano mod. 91/38 TS
– Fucili mitragliatori Breda mod. 30
– Mitragliatrici Breda mod 37
– Bombe a mano SRCM Mod. 35
Autodrappello:
Vedere riquadro a fianco.
Appena dopo lo sbarco il maggiore Ferrari lascia il comando del trentunesimo battaglione che viene assunto dal maggiore Bernardino Grimaldi.
Composizione dell’autodrappello
Fiat 15 Ter – 1911 (uno)
SPA 25C/10 (alcuni)
Fiat-SPA 38R (alcuni)
Fiat 18 BL – 1915 (due)
Fiat 626 (uno)
Lancia 3Ro (uno)
Carro officina (uno)
A proposito dell’autodrappello
Per chi se ne intende le sigle esposte indicheranno facilmente quali vetusti automezzi, risalenti anche alla guerra 1915-18, siano in dotazione al reggimento, con qualche eccezione…
Lo sbarco in Albania
Oggi pomeriggio, 7 novembre 1940 ci siamo imbarcati per l’Albania. Tre piroscafi, fra cui ricordo l’Armida, hanno accolto i bersaglieri con il loro equipaggiamento e le biciclette. L’autodrappello partirà più tardi, appena affluite le prime truppe in Albania. Fino a notte inoltrata rimaniamo in porto. Proibito fumare, soprattutto in coperta, poi sbarchiamo. Pensiamo a casa ed a quali eventi possiamo ora andare incontro. Da oggi siamo considerati nuovamente in zona di operazioni.
La situazione militare in Albania, a detta dei giornali, non è preoccupante: la nostra sarà quasi certamente una “passeggiata militare” sino ad Atene. L’esercito greco non è in grado, per scarsità di uomini e di mezzi, per deficienza d’addestramento, eccetera eccetera, di opporre una seria resistenza alla nostra penetrazione in territorio ellenico, ove la popolazione non attende altro che l’arrivo degli italiani eccetera eccetera. Molto ottimistico il quadro; tuttavia vedremo di persona come stanno le cose.
Cadono le prime certezze
Quaglino dà segni di ravvedimento: nella sua narrazione si fa adesso spazio la critica e iniziano a cedere gli effetti della propaganda fascista.
Approfondimenti
Bibliografia – Fonti (in revisione)
Le altre parti dei Diari
Extra
Testi collegati
Testo tratto dal libro del Ten. Sergio Quaglino
Testo tratto dal libro del Bers. Luciano Scalone
Avvertenze
Il testo dei Diari di Dante è riportato su una colonna principale, affiancata a destra da due colonne di raffronto e complemento, nelle quali sono riportati gli stralci di due testimonianze “speciali”: sono quelle lasciateci da chi ha condiviso da vicino con il papà quelle tragiche vicende: in particolare con quelle di Sergio Quaglino e di Luciano Scalone. Il primo è stato un ufficiale che ha scritto un libro di assoluta valenza memorialistica storica, descrivendo fatti, luoghi e persone coniugando in un perfetto equilibrio la passione determinata dagli eventi con il manifestarsi di questi nel loro contesto storico-militare. Il secondo un semplice ragazzo del Sud gettato nella tragedia, che ha sentito il bisogno e realizzato il forte desiderio di raccontarne la sua partecipazione, con sincerità di sentimento e semplicità di linguaggio.
La disponibilità di tali elementi di riferimento storico-fattuale ha reso l’attività di trascrizione dei Diari di Dante ancora più emozionante ed ha conferito ad essi un più consistente valore memorialistico, attraverso confronti, chiarimenti e contestualizzazioni di fatti, luoghi e circostanze.
Su PC e tablet, il testo del diario e il contenuto delle colonne a lato sono visibili affiancate, per quanto possibile cronologicamente, mentre su smartphone le note appaiono alla fine di ciascun blocco.
Nelle colonne di raffronto e complemento, il racconto di Dante è affiancato e correlato a destra anche da:
– Cronologia essenziale internazionale
– Note esplicative o a commento del testo
– Collegamenti esterni o ad altri articoli interni sullo stesso tema (Categoria “EXTRA”, per esempio)
– Immagini e mappe
Il collegamento tra il contenuto dei Diari e quello dei due testi principali di raffronto è segnalato con una nota (in apice) solo se il nesso è specifico e circostanziato, altrimenti il raffronto è lasciato alla cura ed all’interesse del lettore con l’ausilio delle date, evidenziate all’uopo in grassetto su tutti e tre i testi.
Il collegamento tra parti del contenuto del testo dei Diari ed elementi presenti nelle colonne di raffronto e complemento (comprese parte delle immagini) è segnalato da una sottolineatura. Alcuni elementi presenti nella colonna di complemento (comprese alcune altre immagini) hanno invece solo un riferimento generico con il racconto e sono quindi privi di un collegamento specifico.
[NdT] indica una “Nota di Trascrizione” inserita direttamente nel testo.
Le immagini con bordo e didascalia di color cremisi provengono dalla raccolta pesonale di Dante.
Qui di seguito sono riportati ulteriori formati utilizzati per ulteriori contenuti.