DIARI DI DANTE: PREFAZIONE

I

Il papà scrive i diari in maniera ordinata mentre si trova in Jugoslavia nel 1942, impiegato in uno dei contingenti a presidio dei territori occupati dopo l’invasione italiana del 1941. I diari sono tutti scritti alternativamente in prima o in terza persona e questa è una delle prime cose che mi sorprese leggendoli: un modo di raccontare di uno stile non convenzionale abbastanza sorprendente se confrontato con il modo di esprimersi semplice e colloquiale che ha mostrato in seguito nella sua vita…
L’alternarsi anche nello stesso periodo del presente storico e del passato remoto è mantenuto generalmente fedele all’originale, anche per rendere meglio l’efficacia del racconto, ispirato costantemente e contemporaneamente sia ai ricordi e sia alle riflessioni ad essi legate.
Sorprende anche il fatto che, nel tipo di narrazione pur così semplice e diretta, fatta di frasi semplici ed efficaci, non siano affatto trascurate le sensazioni, le percezioni, i particolari che riempiono il racconto di colore e di calore, caratterizzando con poche farsi i suoi protagonisti, quasi a renderli come i personaggi di un romanzo, cui può capitare di entrare in empatia.
Ho saputo dell’esistenza dei diari fin da piccolo: ogni tanto in casa se ne parlava, ma come di una cosa nascosta, segreta, di un mistero da non svelare. Comunque, a me erano sicuramente preclusi: forse, da grande… E per quanto gli accenni a momenti e a ricordi della guerra mi incuriosissero per il contenuto avventuroso che evidentemente possedevano, quel senso di tabù, di si sa ma non si dice, soffocarono ogni mia velleità, fino a convincermi che fosse giusto così, che un figlio non potesse entrare nel mondo e nella memoria del padre quando egli ancora era giovane e padre non ancora diventato: un altro uomo, quindi, con la sua vita e i suoi inviolabili segreti.
Non mi furono peraltro d’aiuto le informazioni contraddittorie ed apparentemente inspiegabili che avevo carpito sin da piccolo dai discorsi dei grandi: dunque mio padre era un bersagliere che aveva fatto la Seconda guerra mondiale ed evidentemente era stato anche bravo perché l’avevano promosso e decorato, ma l’Italia, alleata dei Tedeschi, aveva perso la guerra; poi mio padre fu fatto prigioniero ma dai Tedeschi. Dove non capivo? Avrei dovuto ancora aspettare, per capire e per aprire i diari.
Ma le contraddizioni legate ai diari di mio padre e alla guerra non finivano qui: altri racconti mi parlavano che la guerra era stata voluta dai fascisti. Avevano prima ucciso Matteotti, poi picchiato questo e quell’altro, usato violenza contro operai e contadini, maltrattato mio nonno, costretto con la forza un cugino ad andare “volontario” in Spagna, dove morì, e infine il terrore con i Tedeschi in casa e i fascisti al loro feroce servizio: Sicherheit, SS, Gestapo, Muti, Monterosa, Mongoli… Cos’era successo?
Ma allora, il papà aveva fatto la guerra dalla parte sbagliata? Perché non si era ribellato ed aveva combattuto a fianco di simili mostri?
Ebbene mia madre placò una volta per tutte la mia curiosità infantile e di capire e di poter essere orgoglioso di mio padre e mi disse: “Il papà sparava in aria, non ha ammazzato nessuno!” Ci capii ancora meno: a parte il mito dei bersaglieri che cantano e corrono, ma allora, come spiegare sei anni tra guerra e prigionia, fame, freddo, fuoco, sangue, amici che ti muoiono tra le braccia, pallottole che fischiano e cannonate che squarciano i corpi?
Del resto, quella risposta era almeno coerente con il divieto assoluto che in casa mia potesse entrare una qualsivoglia forma di arma-giocattolo: la memoria risale ad un carnevale per il quale mi fu regalato un completo da moschettiere, completo di spada flessibile: questa mi fu strappata dalle mani e sparì.
La bugia per giustificare un padre che aveva combattuto una guerra assurda e dalla parte sbagliata (e non sapevo ancora nulla di Ebrei e di Auschwitz) generò in me un ulteriore sbandamento e una convinzione di cui poi mi sarei alquanto pentito e non solo per aver letto un giorno quei diari. Mi convinsi che la guerra l’avevamo fatta alleandoci in realtà ed inspiegabilmente con un nemico e che l’avessimo persa perché i nostri, brava gente, avevano sparato in alto per non uccidere i francesi o i greci che non ci avevano fatto nulla. Il tutto in attesa degli americani, che ci avrebbero liberato da quel nemico con il quale ci eravamo un giorno alleati.
Poi piano piano la storia aprì nuove pagine e la ricostruzione degli eventi fu recuperata almeno in buona parte alla verità. Ricerche e testimonianze che seguirono, passati gli anni del silenzio, della vergogna, del “dimenticare a tutti i costi” e della verità taciuta, viene a galla la realtà: a prescindere dalla parte in cui furono schierati, i nostri soldati furono costretti al coraggio, alla gloria, al sangue, alla fame, al freddo, alla morte, senza dover temere. Altro che sparare in alto!
Sapremo dal racconto, dalla contestualizzazione storica che lo accompagna e dagli approfondimenti che seguiranno di un eroismo collettivo ed individuale che la storia e gli stessi protagonisti a lungo negarono e che solo negli ultimi anni, quando il silenzio li ha sepolti tutti, può essere collettivamente riconosciuto e individualmente gridato da chi c’è ancora a ricordare.
Purtroppo, nel ripristinare la memoria sospesa e la verità negata, la storia ha anche travolto il muro dell’ipocrisia nazionale e ne ha sciolti i nodi omertosi, mettendo a nudo la precaria banalizzazione del nostro scomodo passato: ebbene, se è giusto l’encomio allo sventurato coraggio, è anche dovuto il biasimo per gli errori e le atrocità che ad esso si accompagnarono e che oggi, concesso il beneficio della “misura in cui” a chi racconta di un buffo mostriciattolo a fianco del malvagio mostro, dobbiamo saper accettare. Prima che diventi ignominia nella storia.
I diari del papà sono incentrati sul tema della guerra e sul suo drammatico racconto, fatto che concede ad essi a pieno titolo l’appartenenza alla memorialistica di guerra. Tuttavia, nelle prime due parti, egli ha lasciato anche un breve racconto dei suoi primi vent’anni, visti a ritroso e frutto evidentemente di ricordi selezionati sulla base delle emozioni per esse conservate: la precisione con cui certi eventi personali e famigliari sono datati lascia aperta comunque l’ipotesi che essi possano essere stati annotati nel momento in cui si svolsero e ripresi all’atto della stesura finale dei diari.
In ogni caso, il racconto dell’infanzia, della giovinezza e del servizio militare, al di là del significato sentimentale e affettivo, assume dignitosa valenza testimoniale di quei tempi, nel rappresentarne la vita quotidiana di un cittadino italiano vissuto in un periodo dalla forte identità politica, sociale e culturale. Un bambino, un ragazzo e poi un uomo “normali” alle prese con le dure difficoltà della vita ma anche con le passioni e i piaceri che essa dispone.
I diari di Dante sono uno spaccato di vita di un uomo strappato a quella normalità subita e vissuta, a quel mondo di luoghi e tempi che comunque amava, per essere scaraventato nel ferro e nel fuoco della Seconda guerra mondiale. E non per modo di dire. Il suo reggimento, il 4° Bersaglieri, si distinse infatti per eroismo e sacrificio al punto da essere insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare, così come il suo comandante, caduto, come vedremo, sul fronte greco. E anche Dante, in mezzo a tanto generale coraggio, seppe ulteriormente distinguersi e aggiungerci del suo. Appare da quelle pagine l’eroismo naturale, semplice ed umano senza il quale non sarebbe possibile affrontare certe difficoltà e sofferenze né in esse riuscire a portare in salvo la propria vita e quella dei propri compagni: appunti di un lungo viaggio, in gran parte di guerra, dal quale emerge, in tutta la sua umanità il ricordo diretto e puntuale degli avvenimenti e le sensazioni di quei giorni.
Le sue testimonianze dirette degli eventi bellici e quelle riportate nelle decine di libri letti sullo stesso tema consentono di stabilire, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che i soldati italiani, a prescindere da ogni considerazione sulla guerra “sbagliata”, sull’impreparazione degli alti comandi, sull’inadeguatezza delle risorse, dimostrarono doti incredibili di abnegazione e un grande amore per una patria ingrata, che li costrinse prima alla guerra, poi alla resa e alla prigionia dopo tanto sangue versato e che infine, per tanti anni, sembrò volerli accusare di una inevitabile sconfitta, giunta nonostante il loro a lungo taciuto valore.
Tanto dolore ebbe a procurare poi mezzo secolo di pace, che, nonostante alcuni oscuri rigurgiti di paura, consentì loro di essere protagonisti senz’armi, ma vincenti, del miracolo irripetuto ed irripetibile di quegli anni e di crescere in pace una generazione di figli che potevano sognare.

Nota

Nella documentazione pubblicata sul sito www.studiobeton.eu, nella pagina dedicata ai Diari di Dante, sono riportati e correlati agli eventi ivi narrati ampi brani di memorie di un ufficiale (tenente Sergio Quaglino e bersagliere Luciano Scalone), che forniscono interessanti spunti di completamento e confronto sugli avvenimenti del fronte. Sono anche presenti immagini e altri contenuti storici e di commento a corredo del testo principale delle memorie di Dante. Tale documentazione a corredo sarà inserita nella prossima stesura cartacea dei Diari.

II

I Diari sono contenuti in quattro quaderni (I, II, III e IV), il primo utilizzando fortunosamente un quaderno da computisteria ricoperto con fogli di rivista, gli altri su quaderni scolastici a righe, tutti poi rivestiti con una sovra copertina ottenuta da robusti fogli di registri militari croati.
Il titolo originale che in realtà Dante ha dato alle sue memorie è: “Vita di Dante, nato il 30-1-1916”, il che lascerebbe intendere la prospettiva di una racconto dell’intero percorso di vita, almeno fino al momento della sua stesura. In realtà potremmo classificare quegli scritti come dei veri e propri “Diari di guerra” e ciò a seguito di alcune considerazioni. Innanzitutto, va considerato il fatto che essi siano stati interamente scritti (dal 27 settembre 1941 al 1° gennaio 1943) in pieno periodo bellico, nei luoghi ove Dante era in guerra, partecipandovi (eccome) in prima persona e poi perché il racconto riguarda per estensione quasi totalmente il periodo e gli eventi bellici, scivolando senza scossoni dai ricordi più lontani fino alla cruda “cronaca” in diretta degli eventi del fronte, costituendo con ciò un vero e proprio “diario” per definizione e inserendosi a pieno titolo nel filone della memorialistica di guerra. Solo una minima parte degli scritti è rievocativa di alcuni fatti notevoli dell’infanzia e della giovinezza, trascorse le quali anche le vicende private e personali raccontate avvengono in uno stretto contesto bellico, col quale si intrecciano fortemente. Nel corpo narrativo assume inoltre una notevole consistenza, sia temporale che di contenuti, la parte che copre il servizio militare di leva (ottobre 1937 – agosto 1938) e quella da richiamato in fase prebellica (settembre 1939 – giugno 1940), due periodi nei quali coesistono una vita militare in tutto e per tutto, con le sue privazioni, le fatiche, i pericoli, la vigilia della battaglia e la lontananza da casa, con una vita civile e sociale non ancora soffocata dalla guerra, col tempo libero da passare in una bella ed accogliente città, ove non mancano certo la voglia di divertirsi, i divertimenti (il ballo) e gl’intrecci amorosi.
Forse un quesito rimane inesplorato circa sulla stesura dei diari: come ha fatto Dante a riportare con tanta lucidità e precisione fatti, storie e date risalenti a molto tempo prima? Forse la risposta ha una doppia lettura. I fatti dell’infanzia e della prima giovinezza, i più lontani, sono ciascuno ben circoscritti e significativi, legati a emozioni incancellabili e quindi riversabili nella memorialistica vita natural durante. Possiamo invece pensare che quanto accaduto più avanti nella sua vita ormai adulta fosse ancora relativamente vicino nella sua memoria tanto consentirgli di evocare e di datare così nitidamente gli avvenimenti, le emozioni, i sentimenti e gli stati d’animo. Non possiamo infine escludere, ma nella sua vita sicuramente non ne ha fatto cenno, riferendosi ai suoi “misteriosi” diari, che avesse preso degli appunti giorno per giorno, nel corso della vita, per poi trascrivere tutto nelle pause consentite dagli eventi bellici. Ma è un’ipotesi che è difficile contestualizzare alla situazione e del resto la regolare continuità grafica della prima parte della scrittura, apparentemente di getto ed interrotta solo dalla necessità di ricaricare la penna stilografica, porta ad escludere pause per la consultazione di eventuali appunti pregressi. Certo il quesito si ripresenta spesso durante la trascrizione, specie ove sono narrate vicende tragiche in cui Dante rischia ogni momento di soccombere alla fame, al gelo, alla fatica, allo scoramento e al fuoco nemico: la precisione dei fatti, l’indicazione dell’ora e del giorno, le riflessioni articolate, contestualizzate e mai ripetitive (salvo le interiezioni per darsi pazienza, forza e coraggio: “è la guerra!”). Ogni tanto ne faccio richiamo nelle note, ma una spiegazione convincente è difficile da trovare: un rammarico particolare nel rammarico (immenso) generale di non averne potuto parlare col papà in vita.
La comprensione del testo è stata alquanto difficoltosa a causa della grafia molto personale. La trascrizione ha necessitato di varie correzioni di punteggiatura, di evidenti errori ortografici o grammaticali e di sintassi. Per una corretta comprensione del significato degli scritti, poi, è stato talora necessario integrare, accomodare o ricostruire intere frasi o reimpostarne la gerarchia: ma ciò è avvenuto solo con la risistemazione di periodi, con l’integrazione di parti del discorso (per lo più congiunzioni o avverbi di tempo o di luogo) necessarie a completare il senso logico del discorso. Qualche volta, però, la costruzione delle frasi, approssimativa per eccesso di semplificazione, è stata lasciata tale per non scalfire l’efficacia e la semplicità della comunicazione. Non è stato mai, in ogni caso, fatto ricorso a vocaboli estranei al contenuto dei diari, né a termini in qualche modo ricercati, sicuramente non nella disponibilità del linguaggio corrente di Dante. Non sono mai stati modificati i tempi dei verbi che, quando si riferiscono ad eventi trascorsi, variano costantemente dal passato remoto (disponibile a Dante per forzatura scolastica), al passato prossimo (gergo colloquiale comunemente utilizzato), ad un efficacissimo presente storico (anch’esso di impiego comune nel linguaggio corrente). Sono stati lasciati inalterati anche i già citati salti dalla terza alla prima persona, che talvolta si presentano insieme a quelli dal passato al presente storico (“Dante ottiene di tornare dalla sorella… che tanto mi aspettava…”) anche, come si vede, nella stessa frase. Ho dovuto, piuttosto, far ricorso frequente ai due punti per poter omologare una frase o raccordare due periodi nei quali ad un’azione o ad un pensiero rispondeva, a scapito di una punteggiatura trascurata, una pronta ed immediata conseguenza-reazione.
Sulle pagine dei quaderni, in alto e sottolineata, è in certi periodi riportata una data, spesso solo il mese. L’indicazione è fatta con inchiostro blu, diversamente dal testo che è in nero e sicuramente in un momento successivo alla stesura di questo. La data o il mese indicati non coprono temporalmente tutto il testo della pagina o delle pagine seguenti, che invece è steso senza soluzione di continuità tra una pagina e l’altra: pare invece indicare la centralità della data rispetto a quanto raccontato nella (e) pagina (e), quasi come una guida ai contenuti attraverso i passi temporali più significativi. Tali indicazioni sono però state omesse nel racconto, proprio per evitare che la suddetta approssimazione dei riferimenti possa causare incertezze di datazione. In ogni caso l’anno di riferimento è sempre indicato e le note forniscono le necessarie informazioni di riferimento e datazione.

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